L'anima di Napoli
L'ONORE
Malinconicamente assiso presso un desco, nella
famosa Osteria della Giarrettiera il grosso cavaliere Falstaff rumina il
malizioso e audace affronto fattogli dalle allegre comari di Windsor, che lo
hanno sepolto in un canestrone, sotto una montagna di biancheria sporca e lo
hanno calato nel Tamigi. Con un enorme boccale di vino caldo, egli cerca di
riscaldare il suo povero stomaco, gelato dalle acque del fiume: con filosofiche
meditazioni, fra ciniche e dolenti, egli cerca di rinvigorire la sua anima
depressa. Beve, Falstaff, un largo sorso del suo grog e dice con un
sorriso amaro: «L'onore? Che cosa è mai, l'onore? È forse, un giustacuore
l'onore? È un pajo di stivaloni, l'onore? Si mangia, l'onore? Si beve, forse,
l'onore? Che ne fai, tu, dell'onore? Si batte, moneta, forse con l'onore? Di
quale onore, tu parli? Del mio? Del tuo? Il mio è diverso dal tuo! L'onore? Una
parola: un soffio, veramente, non altro che un soffio.» E crolla le pingui
spalle, bevendo ancora e con la mano quadrata che posa il gotto, fa un cenno
per diradare questo soffio che è l'onore, dalla sua vita di beone.
Falstaff, colui che, giovine, era stato paggio
del duca di Norfolk ed era in giovinezza, tanto sottile da passare dentro un
anello, colui che era stato l'amico di Harry Plantagenet, principe ereditario e
poi re d'Inghilterra, Falstaff, diventato cinquantenne, obeso, calvo, poltrone,
goloso, mangione, ubbriacone, dissoluto, pieno di spirito, pieno di risorse,
lesto di mano, imbroglione famoso e pure piacevole, non mancante di chic,
Falstaff, osa dire, in quel tempo, tutto il suo pensiero sull'onore. Egli ha tutti
i vizî, salvo quello immondo della ipocrisia; egli è capace di coprirsi di
tutti i crimini, ma non di fingere la virtù: egli vive di ogni porcheria, ma lo
dichiara, non può fare altrimenti, che commetter frodi e ladrerie, visto che
deve vivere, mangiare, bere, vestirsi, infine! Il grande William, è così
sincero, così umanamente sincero e persino brutale nelle sue creature di verità
o di vita! Dal momento che, con l'onore, Falstaff non può aver nè un abito, nè
un pajo di scarpe, nè un boccale di claret, nè un'oca farcita, nè un
vasto letto per rotolarvi la sua colossale persona, egli dichiara apertamente
che ci rinunzia, all'onore e che disperde questo soffio vano della sua
esistenza. Altri tempi! Chi oserebbe mai dir questo, ora, con tutte le
levigature, le lustrature e i seize reflets della società
moderna? Quale cinico fra i più cinici finanzieri moderni, o quale celeberrimo
avventuriero farebbe mai il proclama di Falstaff? Chi mai rinnegherebbe
l'onore, con tanta filosofia crudele come il ventruto cavalier di ventura
inglese? Altri tempi! Tanti, probabilmente, pensano come egli pensa, anche
adesso; tanti come Falstaff, nel segreto del loro spirito, sono convinti che
non battendosi moneta, con l'onore, e la moneta, essendo non solo utile, ma
necessaria è meglio rinunziare tacitamente a questo vano soffio dell'onore:
tanti, e sono, forse, i meno numerosi ma i più temibili, hanno cominciato per
fare il glaciale e mortale ragionamento di Falstaff, anche prima di entrare
nella lotta della vita. Altri tempi! La superficie umana è mutata: tutta
l'apparenza sociale è diversa: e Falstaff, grasso o magro, fine paggetto
gentile o grosso capitano di ventura, può sempre sviluppare i suoi istinti,
sotto ogni forma delle più alte e delle più basse, ma niuno gli udrà mai dire
che l'onore è un soffio e che non si fa denaro col vento.
Noi, però, abbiamo una idea solitaria.
Contrariamente a quanto si agita in fondo alle coscienze attaccate dal tarlo
del bisogno, minate dal desiderio di ogni ricchezza e di ogni potenza, in opposizione
a questo comodo e facile cinismo segreto, noi crediamo che l'onore non sia una
parola, non sia un soffio vano e che non sia nè bello nè utile fare un gesto,
con la mano, e scacciarlo dalla propria vita. Noi crediamo di più: cioè che,
con l'onore, si possa anche batter moneta. Ci riesce impossibile di credere che
solo i furfanti, solo i ladri si possano arricchire, nella società; accade,
questo è vero: accade troppo: ma, dall'altra parte, di fronte a tutta la gente
di coscienza ambigua, di carattere equìvoco, di tendenze losche, di fronte a
tutta la gente che farebbe ogni cosa, pur di arrivar a tutto, i nostri occhi
mortali ne veggono molt'altra che, quìetamente, austeramente, compie la sua
parte, nel mondo, crea la sua fortuna e quella altrui senza mancare all'onore.
Di fronte a organismi finanziarî che assidono la loro sorte sovra i mille
calcoli più sottilmente ingannatori e di cui ogni manifestazione economica
rappresenta un marchè de dupes, di fronte a queste compagini che, ormai,
si fanno sempre più rare, nel mondo, altre ne vediamo sorgere, prosperare, fra
noi, in Europa, lontano, dapertutto, in cui ogni atto è regolato dalla onestà
commerciale, dalla lealtà industriale. Per chi vede il minuto presente, per chi
sa guardare verso l'orizzonte, verso l'avvenire, può sembrare, forse, che
l'onestà sia una cattiva speculazione e che un galantuomo rimanga povero: così
è: ma non per tutti: ma non per molto tempo: ma il galantuomo o finisce per
vincere il suo orribile destino, o costudisce, come un tesoro, la sua perfetta
reputazione. Con l'onore si batte anche moneta, per grazia di Dio! A centinaia,
a migliaia ci confortano in questa fede piuttosto solinga ma salda, gli esempi
particolari, gli esempi collettivi, in cui la probità, la integrità, la rigorosa
scrupolosità furono la sorgente di fortune individuali e di fortune sociali
veramente possenti; da ogni lato della terra, nei libri, nei giornali, nelle
cronache, nella vita, germogliano queste istorie di prosperità talvolta
colossali, basate solo sul lavoro, sulla volontà, sull'intelletto, ma basate,
sovra tutto, sulla onestà personale o collettiva. Era naturale al pancione di
Windsor, cui giovava restar seduto sotto la pergola della taverna, bevendo vino
aromatizzato e giuocando a dadi, di dir che l'onore non vi porta le aune di
velluto per far un giustacuore o non paga il conto dell'osteria: è comodo agli
ambiziosi moderni pensare fra sè che l'onore non si tramuta in cheques,
in palazzi marmorei, in equìpaggi smaglianti, in gallerie di quadri e in collezioni
di giojelli. È comodo: ma è falso. Chiunque ha scritto, scrive, o scriverà la
storia della ricchezza, la storia dei ricchi, dica se non è falso: e che paesi,
società, uomini, mille volte, centomila volte partirono dalle più umili volontà
di bene e di onestà per giungere ai più bei fastigi della fortuna, senza aver
traviato, giammai.
Pensino questo,
coloro che, oggi, si adunano, non senza solennità, questi deputati di Napoli,
ardentemente desiosi di fare il bene della loro città. Lo pensino: non lascino
vacillare un solo istante, la loro coscienza di galantuomini: non manchi loro
un solo momento la fiducia nella probità umana, su cui la loro vita si è
formata e ha trovato la sua formola. Essi vogliono, i deputati napoletani, la
prosperità larga della metropoli mirabile che, dotata di tutte le bellezze, è
ancor povera e triste; ma vogliono la sua prosperità insieme all'alto rispetto
del suo onore. Sia, sia anzi tutto, l'onore: anzi tutto che coloro i quali
saranno i prescelti, per sedere sulle cose del Comune e che, prescelti, saranno
additati al voto popolare, abbiano per insegna del loro nome, la specchiatezza
del loro carattere: anzi tutto che, dinnanzi all'Italia, dinnanzi all'Europa,
ovunque il nome di Napoli sia pronunciato, sia, oramai, per il decoro, per la
coscienza di chi la rappresenta, unito a quello della più bella dignità civile:
anzitutto che, per convinzione, giammai più il sospetto, l'accusa, la delazione
possa colpirla: anzitutto che ovunque esso sia, l'uomo onesto, intelligente,
attivo, fattivo, sia il suo lavoro dato a Napoli, giovandole con tutte le sue
forze. Quando ciò sia organizzato, con sapienza, con larghezza, prendendo
coloro che dovranno essere i futuri amministratori, dovunque si trovino
galantuomini e uomini capaci, senza fare viete questioni di partito, di colore,
roba vecchia, roba distrutta: quando ciò sia un fatto compiuto, l'onore di
Napoli, che si va lentamente ricostruendo, ma con sicurezza, questo onore di
Napoli servirà anche a batter moneta,. Quando i capitalisti dell'estero, del
nord, sapranno che, contro ogni ostacolo, Napoli ha voluto per suoi magistrati,
comunali, i migliori suoi cittadini, quando gli uomini di finanze di tutti i
paesi, di tutte le regioni, sapranno che, quì, il sentimento della probità
sociale si è rifatto, nelle persone, nelle cose e nei costumi: quando gli
industriali di ogni dove, comprenderanno di poter avere fiducia; allora, sì,
che ogni piccola o grande pianta della fortuna pubblica, nascerà, germoglierà,
fruttificherà in questo suolo fecondo, in questa terra di anime belle. Tutto si
farà, quì, dal momento che il buon nome napoletano, che, il decoro della sua
cittadinanza, che, tutto il suo onore, infine, sia esaltato: tutto sarà così
facile, così semplice, così naturale che il mondo si stupirà. E nell'onore, in
questa potenza tutta morale, in questo elemento più puro e, diciamo, più etereo
della coscienza sociale, Napoli ritroverà la sua vita, la sua fortuna, la sua
ricchezza!
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