IL
RIONE DELLA BELLEZZA
Una delle cose più amenamente false, che si
dicono, si ripetono, si sostengono, per Napoli è la profonda miseria del suo
Comune, è la mancanza della lira e del soldo per tirare avanti: una di quelle
leggende bizzarre, grottesche, e ingiuriose che moltissimi illustri e oscuri
cittadini nostri si compiacciono, dappertutto, di confermare; che le prove più
singolari e più fantastiche. Sapete? Non vi è un centesimo per aprire una
scuola: il Municipio può a stento, pagare i suoi maestri e le sue maestre.
Sapete? Non vi sono che quattromila lire l'anno, per ripiantare di alberi i
giardini pubblici e la Villa, quìndi, deve conservare, verso il mare,
quell'aspetto di orto devastato. Sapete? È impossibile che si colmino i buchi
perigliosi nel basolato di via Chiaia: vi dovete rompere il collo: i basoli
costano troppo, bisogna aspettare il bilancio dell'anno venturo: allora, si
vedrà. Di questo passo, ogni volta che il Municipio deve cavare cinquanta
centesimi, si risolleva la leggenda della mendicità cui è ridotto, accattone
che nessun ospizio può ricevere, oramai, più: e, su queste bugiarde apparenze,
su queste frasi fatte, da cui la folla si fa così comodamente governare,
nessuno si accorge che, al Municipio, piano piano, con aria di nulla, i milioni
presenti e futuri, ballano una ridda che, ogni giorno, diventa più vivace. Chi
mai oserà sostenere, se ha occhi e orecchie, che il Municipio di Napoli è
povero, quando ha messo in discussione, da uno o due anni, delle somme enormi,
ora per una cosa, ora per l'altra? Chi mai potrà continuare a dir questo,
quando, man mano, si verranno esaminando tutti i progetti che sono sul tappeto
e, ognuno di essi, costa molte centinaja di migliaja di lire e qualcuno dei
milioni? Chi sosterrà, ancora, che non vi sono quattrini per gli asili, per le scuole,
per i giardini, per lo spazzamento, per l'innaffiamento, quando sono alle porte
un sacco di castelli in aria, tutti uno più costoso dell'altro? Chi dichiarerà
esservi ben pochi milionari a Napoli, per dare l'indice meschino, esiguo, della
nostra ricchezza, quando il primo milionario è, appunto, il Comune, e, come
tutti i milionari, è un po' folle, cioè lesina qualche centinaio di lire, in
cose necessarie e profonde il suo denaro, o s'impegna a profonderlo, nelle
spese superflue? Il Municipio nostro non è, forse, nè Morgan, nè Carnegie, nè
Vanderbilt, nè Rockefeller; la sua fortuna è più modesta: i suoi milioni sono
in minor numero: ma esso ci gioca, oramai, come un buon piccolo milionario che
fuma delle sigarette da tre centesimi, ma che ha una scuderia da corse. Ho
innanzi agli occhi e io spero di potervelo comunicare, sempre che ne sia il
caso, un elenco di progetti, di proposte, di cose mezze fatte o da farsi, ove
la spesa, talvolta inutile, talvolta stravagante, quasi sempre imprudente, è
fortissima. Io non sono il tutore del Comune, per grazia di Dio e neppure tu,
amico lettore, per tua fortuna: ma qualche soldo, di questi milioni, è tuo ed è
mio. Interessiamoci a questi pochi centesimi, tuoi, miei, lettore, perchè essi
sono una parte di questi milioni.
Il Rione della Bellezza Eccone uno, eccolo qua.
Il suo nome è eminentemente pretenzioso: quando saprai bene che è, questo
rione, amico lettore e fratello mio, lo troverai anche eminentemente ridicolo.
Si tratta di quel grande deserto di Santa Lucia nuova, ove tutti gli innamorati
del vecchio Napoli, preferivano, forse, vedere quel bel mare di Santa Lucia,
l'antico, il nostro mare: diamogli un sospiro di rimpianto, in nome del
pittoresco, consoliamo gli stranieri nella loro delusione e rinneghiamo la civiltà,
tacitamente, nel nostro spirito. Quando non era stato inventato il rione della
Bellezza, questo deserto malinconico, atrocemente triste, in certe ore del
giorno, fiancheggiato da quella via polverosa e ineguale, doveva esser popolato
così, dalla Cassa di sovvenzioni genovese: cioè dovevano sorgervi tredici
grandissimi palazzi, tredici caserme enormi, simili alle due già costruite,
quella ove si trova l'Hôtel Santa Lucia e la seconda che è in
costruzione. Nulla di più brutto, di più goffo, di più pesante: strette, le
vie, fra ogni edificio: e completamente perduta, dietro, la via di salita Lucia
vecchia. Quando queste caserme orribili fossero sorte, un'altra pruova della
mancanza di educazione estetica, sarebbe venuta ad affliggere il nostro spirito
inquìeto: e le abbominazioni rettilinee, di cui parla Edgar Poe, avrebbero
schiacciato, col loro orrendo aspetto, la nostra fantasia, amante della beltà,
della grazia, della leggerezza. Ma vi è un Dio, in cielo! Dato il forte prezzo
a cui la Cassa di Sovvenzioni aveva messo e tiene ancora quei suoli da
cinque anni, dato che per costruire, là, dove vi è il mare, sotto, ci vuole un
prezzo doppio e triplo di costruzione, nessuno volle comperare quei terreni,
nessuno pensò di erigervi un palazzo o una palazzina e la società molto meno
osò di costruirvi niente. Certo, la società vi ha perduto e vi perde molti
denari: ma questo non ci riguarda. Noi rimpiangiamo Santa Lucia vecchia, gli
stabilimenti di bagni, l'acqua sulfurea, le venditrici di acqua, gli ostricari,
le trattorie e i tessitori di nasse! Noi li rimpiangeremo anche di più insieme,
amico lettore, se mai il rione della Bellezza vi si debba compiere. Il nuovo
progetto dunque in cui pare, quasi, che abbiano concorso Raffaello da Urbino,
Michelangelo Buonarroti, Vanvitelli e Dante Gabriele Rossetti, è questo: invece
di tredici caserme, esse saranno undici e saranno divise da vie più larghette,
con file di alberi lungo le vie, simili a quelli da cui è contristato il
Rettifilo e che, certamente, verso il mare, saranno distrutti dalle brezze
marine, come si dice, sieno stati distrutti quelli della Villa. Questi undici
edificî avranno, anche, attorno, un poco di verdura, una piccola fascia, verso
il mare. E basta. Ma questa è dunque, la peregrina idea per cui il rione Santa
Lucia, sarà chiamato il rione della Bellezza? E il progettista, diciamo cosi,
sarà paragonato a Arnolfo di Lapo o a Lenôtre, architetto di Versailles?
Nossignore. Nel centro del nuovo rione, verso il mare, gli edifici si
divideranno in semicerchio e lasceranno uno spazio, in mezzo, di ottomila metri
quadrati - non t'illudere, amico lettore, ottomila metri quadrati non sono gran
che - ove vi sarà un giardino, e, in mezzo, pare impossibile, una fontana.
Attorno, attorno al semicerchio sorgerà un porticato, di stile greco-romano,
dove sarà fabbricato solo un primo piano, ad uso di caffè, di birrarie, di cafè
chantant, forse, sempre in istile greco. E basta. Questo è il rione della
Bellezza: non oltre: non altro. Un giardinetto, cioè, poco più grande di quelli
di piazza Cavour, diletto ritrovo di pezzenti di San Gennaro, di cabalisti, di
piccoli pensionati del governo: un giardinetto che sarà due o tre volte grande
come quello di piazza Municipio, ritrovo, questi, di persone che è inutile quì
menzionare, sotto i paterni occhi chiusi dei consiglieri comunali, un
giardinetto, con una fontana, dove, probabilmente, vi sarà uno zampillo, basso
nei giorni di lavoro e alto nei giorni di festa: e, infine, questo porticato,
per rammentare nella vita moderna, l'origine di Partenope, per rifare un poco
Pompei, dice il progettista. Anzi, egli voleva far tutta una passeggiata
pompeiana, lì, ma questa idea parve tanto barocca, tanto sciocca, che se ne
accorsero tutte le anime buone e distratte degli assessori e protestarono. Non
vi sarà la passeggiata pompeiana ma un pezzetto di Pompei, col
porticato, l'avremo. Chi si metterà sotto questi portici: s'ignora: neppure è
certissimo che vi si costruisca il primo piano. Il rione della Bellezza, or
dunque, si riassume in un giardino, con fontana e con un portico. Il suo nome,
allora, non ti sembra un poco esagerato, amico lettore? Non ti pare che la
parola bellezza abbia un senso diverso e profondo? E che applicarlo a sì esigua
e ambigua cosa, sia una grande audacia? E che il progetto e il progettista
debbano soccombere sotto il ridicolo di quest'audacia?
Per aver questo giardino, con la fontanella e
il porticato, ecco che cosa deve spendere il Municipio di Napoli. Anzitutto
deve dare alla Cassa sovvenzioni di Genova la egregia somma di settecentomila
lire: è vero che si pagano in trent'anni, queste settecentomila lire, ma un
debito è un debito, anche se si paghi a piccole rate. Non vorrei affermare che
il Comune debba corrispondere anche l'interesse, perchè non lo so: ma è probabile
che per avere la fontanella nel giardinetto e il porticato, intorno, per aver
ciò a credito, qualche interesse si dovrà pagare. Inoltre, il Comune concede
alla società, di costruire un sesto piano a tutti gli undici edifici:
calcolato, così, a occhio e croce, un piano di più, sovra undici immensi
palazzi, può rendere alla società da novanta a centomila lire di maggior
reddito, cioè un regaluccio di oltre due milioni di capitale, sempre per aver
quel che sapete. Quanto saranno più belli, più accoglienti, più estetici questi
palazzi di sei piani, invece che di cinque, lo sa il Signore!
Vi è dell'altro: la società ha il diritto di
non lastricare più con pietre le vie fra i suoi palazzoni, poichè questo
lastricamento costa molto: allo scopo di facilitarle ancora più la posizione,
il Comune le permette di adoperare il macadam, col risultato di aver del
fango in inverno, fango che macchia i vestiti e li rode; e la polvere più acre,
in estate. Non basta ancora: la società ha la concessione della sorgente di acqua
solfurea: non sarà gran che; ma è qualche altra cosa. Non vi pare che, per un
giardino, una fontana e un porticato ciò costi molto, troppo, immensamente? E
con tanti denari, tante concessioni, tante facilitazioni, il risultato sarà
questo: e il rione presunto della Bellezza, sarà mortalmente brutto, se si
arriva a compiere col suo anacronisma di Pompei, fra edifici di sei piani come
in America; che il prezzo dei suoli, restando sempre forte e le difficoltà di
costruzione essendo sempre grandi, la Cassa Sovvenzioni, seguiterà a non vendere
e seguiterà a non costruire e che alla fine del salmo il rione della Bellezza
consisterà in un piccolo giardino, in una fontana e in un porticato
vuoto, fra un vasto deserto arido e polveroso. La società si sarà rifatta in
parte dei suoi guai, con quelle settecentomila lire; il Comune dovrà pagarle e
passando per Santa Lucia nuova, il cittadino inconscio creperà dal ridere, a
veder quella buffonata, e tu amico lettore e io, cronista scettico e
pessimista, tu ed io che non siamo inconsci, rimpiangeremo quei venticinque o
cinquanta centesimi, parte tua e parte mia delle settecentomila lire!
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