GUERRA
AI LADRI
Un cattivo odore di stantio, di cose antiche e
consunte, tenute troppo tempo chiuse e tirate fuori, si è diffuso nell'aria che
respiriamo, da qualche giorno. Nei primi comizî, nei primi proclami, con una
certa finzione di serietà, anche, son venuti fuori dagli armadi sgangherati
della rettorica amministrativa: il partito clerico-borbonico, il partito
clerico-moderato, il partito socialistoide, il partito anarcoide
e, persino, guarda, guarda, quella consumatissima cosa che è il partito liberale.
È come un mucchio di ferri vecchi polverosi e arruginiti, tirato fuori da un
camerino di sbarazzo: come un fagottello di cenci sdruciti e sporchi,
disciolto, in terra. La polvere acre si distacca da tutto questo tritume: la
muffa si attacca, viscida, alle mani di chi vi si accosta: e il libero aere ne
è ammorbato. La gente passa, si tura il naso, alza le spalle e sorride di
scherno. Per molti anni, queste parole, queste frasi, ebbero un contenuto di
vita: ma il tempo è trascorso e i tempi si sono mutati: ma tutto questo è
vuoto, è floscio, è senza colore, è senza sangue, è simile al palloncino di
pelle che era leggiero, volava in aria, aveva i bei colori della gioja, che il
bimbo ha rotto e che è, adesso, uno straccetto ignobile. Nulla di questo
esiste, più: nulla di questo risponde alla rinovellata coscienza moderna: nessuna
di queste formole, ha più espressione e nessuna ha più influenza. Guardate,
nella vita vera, piuttosto! Osservate, nella vita vera, tutte le profonde
trasformazioni che stupiscono. Vi sono dei cattolici che sono italianissimi: vi
sono degli anticlericali che sono credenti, vi sono dei clericali che sono
democratici: vi sono dei democratici che sono imperialisti: vi sono dei
liberali che restaurerebbero la pena di morte: vi sono dei repubblicani
autoritarii e assolutisti: vi sono dei socialisti che adorano il Re: vi sono
dei radicali perfettamente monarchici: vi sono dei monarchici che dicono un
male orrendo della monarchia: i framassoni che detestano il clero, credono
all'Architetto dell'Universo: e i borbonici, infine, poichè anche di questo si
parla, i borbonici si riassumono in quell'incantevole uomo d'età - egli
invecchierà, più tardi - che è il duca di Regina, caro a tutti, riverito da
tutti i partiti, sottopartiti, frazioni e sottofrazioni. Il travolgimento
tumultuario delle idee, il turbine sempre più precipitato delle opinioni, tutto
questo enorme cataclisma morale, donde escirà, domani, e già essa sorge
splendente come l'aurora, la coscienza nova, ha già così capovolto ogni ordine
di criteri e di concetti che, veramente, coloro che, ancora, si attaccano al
funesto ciarpame del passato, coloro che tentano di brandire delle armi
infrante e senza taglio, che tentano di agitare una bandiera stinta e a
brandelli, destano un sorriso di ironia e di pietà!
Ma in tanta bizzarra confusione, il paese nostro,
questa Napoli nostra, cerca una guida nei fatti, cerca la verità nel buon
senso. Dice Napoli, quietamente: ecco, io ho bisogno di risorgere. Io non solo
debbo vivere, ma debbo svolgere tutte le mie forze sociali e individuali:
ognuno dei miei cittadini, sia pure il più oscuro, il più ignoto deve aver
lavoro, salute, protezione, educazione, e tutti i cittadini e, io, Napoli,
debbo prendere il mio posto bello, nobile, forte, nella vita operosa ed
efficace moderna. Non solo io voglio risorgere; ma, tutti gl'italiani che hanno
cuore, vogliono la mia risurrezione: ma tutti i miei fratelli del nord mi
stendono la mano affettuosa e salda, perchè io risorga: ma gli uomini del
parlamento, ma gli uomini dello Stato, ma il Sovrano vogliono
ardentemente la mia resurrezione. Essa, però, si deve compiere con tutte le
forme più larghe, più potenti, più limpide e più pure. Perchè io risorga
debbono fra me giungere i capitali stranieri e i capitali nordici e siano
benedetti, purchè essi non trovino alle mie porte e fra le mie mura, chi metta
loro la taglia, se vogliono entrare. Perchè io risorga debbono formarsi, quì,
delle vaste imprese industriali, ove chi è lavoratore, trovi mercede onesta e
aiuto sociale, ove chi è possidente trovi onesto guadagno, ove chi è capitalista,
possa collocare onestamente e securamente il suo danaro, ove tutte le
intelligenze belle e vivide napoletane possano trovar campo di azione, ove
tutta questa forza simpaticissima d'ingegno, possa manifestarsi in opera utile,
efficace: ma queste imprese industriali debbono esser fatte alla luce del sole,
senza transazioni equivoche, senza concessioni losche, senza premî, senza
provvigioni; e come si è fatto altrove, a Milano, a Genova, a Torino, ove
centinaja di tali imprese nacquero, vivono e prosperano, senza che sia stato
loro necessario di corromper nessuno, anche da me, quì, nella mia nuova
atmosfera morale, questa, cosa bella l'affare onesto, l'affare semplice,
l'affare in cui non vi sono guadagni illeciti o strabocchevoli, da nessuna
parte, ma in cui tutti possano prosperare, l'affare deve sorgere, svilupparsi,
dilatarsi, portar bene ed esser parte integrante della mia risurrezione. Perchè
io risorga, completamente, debbono le banche che già sono, quì, aiutare il mio
popolo, aiutare le oneste industrie, aiutare le oneste iniziative e sottrarre
il popolo e gli industriali e tutti quelli che han bisogno del credito,
all'usura: e altre banche si debbono fondare, ancora, con denari venuti di
fuori, con denari di quì, e tutte, le nuove, le vecchie, non debbono pesare sui
deboli e sui miseri, non debbono servire a scopi non bene definiti, ma avere,
sì, sì, anche le banche, un criterio morale di assistenza alla popolazione mia.
Io invoco il lavoro, invoco le società, invoco
le industrie, invoco le banche, che dovranno redimere la mia miseria, il mio
ozio e la mia inciviltà: ma tutto questo deve esser fatto in un'altra maniera,
non più in quella di prima, in una maniera schietta, leale, franca, in una
forma delle più integre, con, una probità perfetta, con quel rigore di
coscienza, da tutte le parti, che, in tanto rivolgimento di cose, è la via
della verità e della vita
E, a proposito delle non imminenti ma prossime
elezioni amministrative sapete che dice, Napoli? Napoli dice questo: A me
importa poco che vadano al Consiglio Comunale dei clericali, dei borbonici, dei
moderati, dei liberali, dei democratici, dei socialisti, o degli anarchici:
tutto ciò mi è indifferente. Io voglio degli uomini onesti: io voglio delle
coscienze secure: io voglio delle anime austere. Le loro opinioni politiche non
mi riguardano: solo i loro sentimenti morali m'interessano. Non voglio ladri,
io, al Comune; e per ladri non intendo solo quelli che si mettono in tasca il
denaro mio, il mio povero e scarso denaro, ma tutti quelli che aiutano i ladri
miei o che permettono, chiudendo gli occhi, che mi si rubi. Non voglio, al
Comune, nè affaristi, nè compari di affaristi, nè rappresentanti di affaristi,
nè amici degli amici degli affaristi. Vi sono, fra i liberali degli onestissimi
uomini? Io lo vedrò: io avrò fede in loro, quando avrò veduto e saputo: e io
manderò al Comune questi liberali onestissimi. I clericali non amano Roma
capitale, non vogliono festeggiare il venti settembre, s'irritano di dover
riverire il Re: ma sono onesti? Io voterò per essi, poichè la loro probità mi
affida: e, più tardi, penseranno essi a non urtare i miei sentimenti
d'italianità. I socialisti sono violenti, sono intemperanti, spesso utopisti:
ma sono onesti e vogliono il trionfo della onestà, lo vogliono con tutte le
loro forze, come io lo voglio? Io voterò per essi, come un sol uomo. Io voterò
per chiunque mi risulti, in faccia al sole che egli sia un galantuomo. Un
galantuomo può sbagliare, ma non può tradirmi, un galantuomo può errare, ma non
può vendermi. Di fronte al mondo che conobbe le mie lunghe sciagure, di fronte
all'Europa che si stupì di me, come di un covo di malfattori, di fronte
all'Italia, che mi guardò dolorosamente sorpresa, io debbo, ancora una volta e,
adesso, più che mai, dimostrare che le mie sciagure mi venivano da ben pochi
infami miei figliuoli, che il covo non era che una piccola tana di sporchi
rosicanti, che io ho migliaja e migliaja di cittadini onesti e buoni e che, fra
queste migliaja, io posso, io voglio scegliere ancora una volta, gli onesti che
mi debbono amministrare. Qualunque sia la veste di cui si copra l'uomo dalla
coscienza infida, io lo riconoscerò: qualunque sia la maschera che copra il suo
viso, io ne discioglierò i nodi: in qualunque modo mi si tenti di ingannare,
non vi si giungerà più.
Troppo ho sofferto nell'onore e nella
prosperità: troppo ho lagrimato di vergogna e di indignazione. Io debbo
cominciare per salvarmi, se voglio esser salvata da tutto, da tutti. Nelle mie
mani è la mia prima risurrezione: cioè quella della mia esistenza, morale, cioè
quella del mio decoro sociale. Farò, io, veder al mondo, all'Europa, all'Italia
che di tutti i doni della sorte, io sono degna, che di tutti gli aiuti
fraterni, io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune
solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegua e si esalti la
mia riabilitazione!
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