IL PANE
DELL'ANIMA
Quando il direttore del MATTINO si trova, per
caso, in polemica col giornale ROMA lo chiama, per lo più, il giornale dei
portinai. Ciò mi ha sempre fatto sorridere.
Il ROMA potrebbe essere il giornale dei
portinai, come è quello dei bottegai che rientrano a pranzo, fra l'una e le due
pomeridiane, ma non è. I portinai napoletani non sanno leggere. Facendo una
inchiesta curiosa e bizzarra, voi potreste trovare, sovra un centinaio di
guardaportoni da quattro a cinque che sanno leggere, non di più; e per
disimpegnare gli obblighi del proprio mestiere, svariati e non senza
difficoltà, i portinai napoletani adoperano la sveltezza naturale del loro
ingegno, fanno le ambasciate, distribuiscono le carte da visita, dividono le
lettere e i giornali, ma non sanno leggere. Passando ai cocchieri, gente
sveltissima se mai ve ne fu, domandate ad uno di essi, per esempio, di portarvi
a via Partenope, numero diciotto: anzi tutto, egli vi chiederà se si tratta del
teatro Partenope: e, in secondo, quando sarete giunti, con la sua carrozza, a
via Partenope, egli non saprà punto trovare il numero diciotto: il cocchiere
napoletano raramente sa leggere e ignora quasi sempre la figura grafica dei
numeri, anche accanito giuocatore di lotto, come è. E, passando di classe in
classe, non solo il forestiere si accorge e si sorprende e rimpiange che fra il
popolo napoletano, così intelligente, così vivido, così rapido, sia
innumerevole il contingente di coloro che non sanno leggere, ma voi stesso,
voi, napoletano, ogni volta che vi trovate di fronte a un ignorante, a un
analfabeta, voi sentite il rammarico acuto di tanta barbarie e di tanta
oscurità; e, talvolta, vi assale il ribrezzo di tanto oblio e di tanto
abbandono, in cui è lasciata questa povera gente. E, ogni tanto, in quelle
tristi interviste con qualche spettro della notte, che la malinconia della
deambulazione notturna vi procura, in quegli incontri singolari e tetri, con un
ragazzo della malavita, con un cercatore di mozziconi, con un caffettiere
ambulante, voi udite il motto profondo, aspro, crudele, in cui il popolo
napoletano riassume il suo profondo rispetto per la cultura e il dolore della
propria ignoranza, crudele motto che emana dall'intimo dell'anima, come un
rinfaccio, come amarissimo rimprovero alle classi più alte. Voi v'interessate
al guaglione di mala vita, al fantomatico mozzonaro, al singolare
caffettiere che gira come un fantasma, esso, dall'alba, per le vie napoletane e
compiangete la sua sorte ed egli si compiange, così, crollando le spalle,
filosoficamente. Ma tu sai leggere?- voi gli chiedete. Egli vi guarda,
risponde: Signò, si sapesse leggere nun starria cca: starria a Palazzo.
Per il popolo napoletano, chi sa leggere non può esser cercatore di mozziconi,
venditore di ulive, ladruncolo notturno, ma può diventare Re o qualche cosa di
simile al re, abitare la Reggia e non un tugurio o gli scalini di una chiesa,
comandare gli uomini e non finire in carcere o all'ospedale.
Centinaia, migliaia di bambini, di bimbe pullulano,
si arrotolano, si aggrovigliano in tutte le vie, dalle più aristocratiche alle
più popolari, creature seminude, scalze o malamente coperte o appena vestite: e
non si sa donde vengano e dove vadano, non si sa a chi appartengano, come
vivano, come muoiano. Eppure hanno madre e padre, queste misere bimbe questi
bimbi miserelli e vorrebbero, questi genitori infelici, o privi di lavoro o
provvisti di un lavoro mal remunerato, faticosissimo, durissimo, vorrebbero,
questi genitori, mandare, in un asilo, in una scuola, queste creature delle
loro visceri, vorrebbero che oltre il piccolo e rude pane del corpo, dato, ahi,
con così rigorosa misura, fosse loro dato, da chi ne ha l'obbligo strettissimo,
da chi ne ha il sacrosanto dovere, il pane dell'anima, l'istruzione. Desiderio
insano! Mancherà, spesso a questa immensa folla di piccini e di piccine, di
ragazze e di ragazzi, il modo come sfamarsi poichè, pare, la povertà napoletana
sia molto pittoresca e i custodi dell'estetica adorano questa manifestazione possente
e triste di dolore sociale: mancherà, senz'altro, il pane dell'anima, quello
che dovrebbe dar frutto di bene intellettuale, di bene morale, mancherà
senz'altro la istruzione. Vi è ancora fra il popolo, una istituzione strana e
caratteristica: una specie di piccola scuola tenuta, da qualche donnetta, in un
basso più spazioso degli altri: altre donnette, operaie, serve, lavandaie,
stiratrici, vi portano i loro figliuoli e le loro figliuole, alla mattina,
prima di andare al lavoro e pagano un soldo al giorno, le più facoltose,
diciamo così, venti soldi, e quindici soldi al mese, le più sventurate. La
donnetta che ha la scuoletta, non insegna nulla a tutte quelle creature: le
tiene raccolte un poco, poi, le lascia scorazzare: le sgrida, sempre: urla, dietro
loro: le sculaccia: pianti, strilli, singhiozzi: ma, infine, è responsabile,
per un soldo al giorno, per tre centesimi, per due centesimi, di ogni bimba, di
ogni bimbo, sino alla sera. E mi rammento, anche, la mia giovinezza, e un certo
diploma di grado superiore che mi fu dato, per tre anni, mentre raggiungevo
questo diploma, questa missione di dare il pane dell'anima alle figlie del
popolo, continuamente rammentata, a ogni problema di aritmetica
sbagliato: e infine toccato miracolosamente questo scopo del massimo diploma,
l'obbligo del tirocinio di maestra, in una di queste scuole, ove accorrevano
queste figlie del popolo, a cui io doveva insegnare a leggere e a scrivere
E andai piena
d'interesse, di gentile ansia segreta, di emozione, persino, a fare la
tirocinante e mi trovai fra molte bimbe assai decentemente vestite, alcune con
eleganza. Una per una le interrogai, queste figlie del popolo, chi fossero,
donde venissero; e appresi, man mano, che eran figliuole di professionisti,
d'impiegati, di negozianti, di bottegai, e fra settantadue scolare, una
solamente, una, era una figlia del popolo, lacera, pallida, impertinentissima,
intelligentissima, affascinante. Una! Più tardi, io sparvi dalla scuola, perchè
avevo finito di fare la tirocinante: la piccola Buonfantino, indimenticabile al
mio cuore tenerissimo, ne sparve, perchè morì, di tisi, a undici anni. Era una
figlia del popolo, quella: ma la scuola non era fatta per essa
E non vi sono
scuole, a Napoli! Non ve ne sono! Ogni tanto, noi ci riuniamo, diamo un ballo
splendido, con una lotteria di oggetti d'arte, tutta la grande società
napoletana e la meno grande v'interviene e la Croce Rossa prende trentamila
lire: ma le scuole mancano e migliaia di ragazzi e ragazze s'imputridiscono il
corpo e l'anima nelle vie fangose. Non vi sono scuole: mentre noi per un mese,
organizziamo una Kermesse enorme, con sessanta dame nei chioschi, e gli
ottanta o novanta ciechi di Caravaggio, che hanno già ereditato due o tre
fortune, ricevono venticinquemila lire. Non vi sono scuole: e altre dame della
Società Margherita e io con esse, organizzano, organizziamo, conferenze,
recite, gite, per aiutare ventidue o ventisette ciechi a domicilio, comprando
loro un pianoforte o un fonografo o una biccicletta! Non vi sono scuole, a Napoli,
e le maestre muoiono di fame e le ragazze e i ragazzi del popolo vanno al
vizio, alla corruttela, al disonore al crimine: e vi stupite delle statistiche
dell'onta, del delitto, a Napoli, quando dimenticate che non vi sono scuole,
che invano qualche anima buona di assessore grida, perchè se ne aprano delle
altre, mentre il goffissimo progetto del quartiere della bruttezza, a Santa
Lucia, chiede un milione e duecentomila lire, poichè ciò fa comodo a un
assessore qualunque! Non vi sono scuole, a Napoli, e questi cattolici che sono
al Municipio di Napoli, non si vergognano di far perdurare questa cosa infame,
che è l'analfabetismo, di cui tutti arrossiamo, innanzi non agli stranieri,
solamente, che ne ridono ironicamente, beffandoci, ma innanzi agli italiani di
Lombardia e di Piemonte. Non so da quanti anni si sta delirando e spendendo
intorno al Maschio Angioino, sempre e la cancrena più ributtante divora il
popolo napoletano, confitto nelle tenebre dell'ignoranza: e neppure i cattolici
che da Cristo Signore Nostro avrebbero dovuto apprendere l'amore dei piccoli e
degli oscuri, fanno niente. I socialisti domandavano la refezione scolastica: e
avevano ragione, ma prima della refezione che andrebbe a figliuoli delle
persone agiate, aprire delle scuole, aprirne altre cento, dappertutto, ecco
quella che è la carità sociale, la solidarietà sociale! Viceversa, noi ci
occupiamo se il lampadaro di S. Carlo toglierà la visuale a coloro che vanno in
quarta e quinta fila: questione gravissima. Costoro che si agitano per questa
cosa bizantina, sono pregati d'informarsi un poco, così, per sapere, quanti
degli abitanti ordinarii delle carceri di San Francesco, di Sant' Eframo e di
Santa Maria ad Agnone sanno leggere. Dopo, si covrano la faccia con le mani: se
hanno un poco di rossore!
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