UNA
DONNA
Avete mai
provato il sottile e malinconico piacere, piene di segrete sorprese e d'intimi
sussulti, di frugare fra i vecchi ritratti in un antico albo di cui da anni,
non si schiudeva il fermaglio, una polverosa cartella di cui, da tanto tempo
non si scioglievano i nastri? Avete mai fissato gli occhi sui pallidi ritratti
di colori che sono morti, poichè, misteriosamente, tutti i ritratti dei morti
appaiono scolorati? Volti di morti, volti di persone scomparse, che, non
rivedrete mai più, volti di creature che, forse vi amarono e che voi amaste
male, forse, e, che non vi amarono a tempo, forse, volti già consunti dalla
tristezza o floridi di una beltà quasi intangibile, volti di tanto vecchi
ritratti, di persone che portarono via una parte del vostro cuore, che vi
tolsero una luce dall'anima, forse, o che, forse, vi lasciarono un profondo e
indelebile ricordo! Questo sottile piacere di scorrere con le dita trepide, fra
gli antichi ritratti, dalla malinconia vi fa passare allo spasimo: e quando,
sgomento dai fantasmi che voi stessi avete evocati, lasciate cader l'albo e
chiudete la cartella, onde di amarezza seguitano a fluttuare nel vostro sangue.
O passato, tu solamente sei vero! Ecco, io ho innanzi un tanto antico ritratto,
di una donna: di una signora: è una fotografia, che avrà trent'anni, forse, e
che fu data alla donna che degnamente, io ho più amata e venerata nel mondo, a
mia madre.
Questo
ritratto è di Teresa Ravaschieri e già in quel tempo in cui fu amichevolmente
donato, non era un ritratto nuovo: veggo un viso ovale, sereno, sorridente,
eminentemente giovanile; e dei bruni e folti capelli neri, ove si appoggia un
diadema prezioso: un vestito da festa che scovre un collo e delle spalle
statuarie, adorne di una collana ricchissima: una testa da cameo, infine, ove
la purezza delle linee è animata dalla espressione più spirituale nella luce
dei cari occhi larghi e limpidi, nel sorriso della bella bocca, in tutta la
quiete viva e fresca della fisionomia. Il prezioso ritratto, dunque, mostra una
Teresa Ravaschieri in tutta la pienezza della sua beltà e della sua grazia
muliebre, quando la sua persona e il suo intelletto, il suo fascino e la sua
cultura attiravano verso lei gli omaggi divoti d'italiani e di stranieri,
quando il suo nome, illustre per tutti i suoi antenati, illustre per suo nonno,
per suo padre, rappresentava, in Napoli, quello della vera gran dama, la
gran dama per cui l'alta società napoletana, di allora, era veramente alta.
Prezioso ritratto che ha fatto, che fa profondamente trasalire l'anima mia, che
esalta, in un sogno di bellezza e di bontà la mia fantasia e che dà al mio
cuore, che non sa obliare, con un nuovo fiotto l'inconsolabile rammarico,
quello di non aver visto, l'anno scorso, trapassar l'anima grande di Teresa
Ravaschieri, quello di non aver potuto, in gramaglia, seguire, a piedi, il suo
corteo funebre, quello di non aver potuto baciare, piangendo, la pietra
marmorea che chiude il suo sepolcro, come quello di una seconda madre.
Qual donna,
mai, eguaglierà costei? Chi oserà mai fare quello che essa fece? La
somma delle sue virtù morali non è, forse, grande quanto quella delle sue
opere, non ha essa, forse, operato tutto il bene che ha pensato e che ha
sentito? Chi mai realizzò un alto sogno di amore come ella volle e fece? Chi
mai raggiunse uno scopo più lontano, più nobile e più puro, con la sola volontà
del bene? Dove non giunse il suo desiderio di carità e dove non mise ella la
testimonianza del suo desiderio soddisfatto? Che cosa ella non invocò sui
poveri, sugli afflitti, sui derelitti e qual balsamo, per lei, non sanò le
crudeli ferite di costoro? Balzano i ricordi belli, nella mia mente e Teresa
Ravaschieri mi appare come in una selva di vivide rose fragranti, ed ognuna di
esse è un beneficio, ognuna di esse è una carità, ognuna di esse è un atto di
amore! Quante volte, al suo contatto spirituale, io sentii ringagliardire
l'affievolita mia fede cristiana: poichè ella era una cristiana perfetta, umile
senza cecità, tenera senza leziosaggine, speranzosa senza baldanza, fidente
senza esitazione. Un giorno, parlavamo di Galilea, insieme, e del grande lago
di Genesareth, ove Cristo sedò la tempesta, e della montagna di Hattine, ove
Egli pronunciò l'inobliabile sermone: e gli occhi di Teresa Ravaschieri si
riempirono di sogno e come in sogno, ella mi disse: senti, io son certa che
se avessi avuto la fortuna di vivere là, in quei tempi, avrei seguito Gesù,
dovunque, come le Marie: ed era vero, poichè la sua anima ardente era
apostolica, poichè ella amava diffondere la sua fiamma vivida, e generatrice di
vita dello spirito! Quante volte ella mi ha chiamata a sè per comunicarmi una
sua idea schietta, provvida, generosa e io, come altri miseri esseri, con le
mani e con le anime legate dall'incertezza e dalla debolezza, come tanti altri
infelici che, guasti dal dubbio, temono di abbandonarsi alle imprese audaci,
rischiose e magnifiche, le ponevo, miserabilmente, delle obbiezioni meschine
sempre sgomentandomi delle complicazioni, in cui ella comprometteva la sua
salute, la sua pace, il suo tempo. Ella crollava il capo: sorrideva:
riconciliava il suo discorso, in cui tutto il suo progetto ideale di soccorso,
di sussidio, di protezione appariva magicamente colorito: e a un tratto, io,
come gli altri, eravamo colpiti dalla grazia, e innanzi a lei ci sentivamo
stupiti e fiacchi, e sentivamo che una volontà alta e bella ci
trascinava, e tutti eravamo travolti in un'onda di bene che, da lei emanava,
che ci rendeva capaci di cento cose più forti di noi, che ci dava la forza di
servirla, Teresa Ravaschieri, nei suoi miracoli di tenerezza che ci metteva
dietro a lei, come discepoli di un Maestro divino. Ah Ella, sì, avrebbe
seguito, col capo avvolto nel manto e i piedi nudi nei sandali, Gesù,
per le altitudini del Thabor, per le pianure di Elsdrelon e per le balze
della Samaria, fino a Gerusalemme, fino al Calvario, sin oltre il Calvario: ma
alla sua parola di pietà, al suo sentimento di amore, a questa luce costante e
generatrice di ogni bene che emanava da lei, ognuno di noi sarebbe con lei
partito, dove ella volesse, con lei, ove ferveva il più crudele morbo, ove
giacevano i morti del cataclisma, ove strideva il grido di guerra. Chi, chi mai
dirà più a noi, come Teresa Ravaschieri la diceva, la parola che desta l'anima
e che la sospinge alla divozione suprema? Chi più, chi più indicherà a noi, con
la mano bianca e l'occhio scintillante, la via del sacrificio sublime? Ah che
noi siamo soli, freddi, tristi e dubbiosi di ogni cosa e dubbiosi di ogni
persona, e giammai, più udremo la voce che ci dava la forza di vivere,
l'energia di vivere per gli altri, l'abnegazione di vivere per tutti gli altri,
tutti, amici, indifferenti, estranei, nemici. Non è morta una donna, l'anno
scorso, il dieci di settembre: si è dileguata la più incomparabile forza
spirituale: è scomparsa la miglior parte di noi, quella che riassumeva le tre
virtù dell'anima, la carità, la fede, la speranza: abbiamo perduto, con lei il
segreto della nostra vita di cristiani operosi e di creature umane degne di
questo nome, il senso della tenerezza fraterna, si è spento, in noi, poichè
lei, l'Evocatrice, l'Animatrice di tutte le fraterne tenerezze, è spenta
Giusto è che,
oggi, in un tempio, i maggiori cittadini napoletani e le più pietose donne e
quanti sono i più noti che amarono e ammirarono Teresa Ravaschieri, convengano
per onorar la sua memoria e per pregar pace a lei. Tali feste funebri solenni,
sono assai belle, e commoventi, anche. Ma se io penso che, in quel tempio,
dovrebbero entrare tutti coloro che essa ha beneficati, esso è piccolo, troppo
piccolo, infinitamente piccolo: la folla dei poveri, degli infelici, degli
infermi, degli abbandonati, cui ella provvide di dignitosa elemosina, di
ricovero, di sanità recuperata, di cure materne, la folla, a cui ella dette il
suo amore e la sua fortuna, il suo tempo e la sua anima, la folla a cui ella
dette sè stessa, in un lungo ed entusiasta olocausto, è immensa. Niun tempio la
potrebbe contenere e ognuno di costoro, poichè gli oscuri, i derelitti non
dimenticano, certo, ogni volta che il suo spirito si effonde nella preghiera,
rammenterà il nome di Teresa Ravaschieri. Ed è, forse, più giusto domandare a
Lei, dal suo eterno riposo che ella ci preghi pace: assai più giusto che noi,
combattuti, trafitti, stanchi, oppressi, senza più guida nell'esistenza,
chiediamo pace a Lei. Ella lottò e vinse, nel nome di Dio e nel nome della
virtù d'amore che raccoglie tutta l'umanità. Assai prima di morire, ella era in
pace. Ella aveva detto a Dio le parole estreme, assai prima di morire: e aveva
avuto il dono della pace. È alla nostra nave pericolante, in gran tempesta,
nella notte, che bisogna chiedere l'aiuto di uno spirito orante, nella
beatitudine celeste: è al nostro naufragio che l'anima eletta deve dar
soccorso, dal misterioso mondo delle anime. La grande anima aveva la
consuetudine dei miracoli, per la forza della preghiera, e della bontà.
Preghiamo che Ella continui!
Napoli,
autunno 1904
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