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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [Il papa stimolato da' rimproveri, ritorna alla riforma della sua corte]
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[Il papa stimolato da' rimproveri, ritorna alla riforma della sua corte]

In Italia anco vi era una gran disposizione ad interpretare in sinistro le azzioni del pontefice, e si parlava liberamente che, quantonque versasse la colpa sopra il duca di Mantova, da lui però nasceva che il concilio non si facesse, et esserne manifesto indicio, perché nel medesimo tempo aveva publicata la bolla della riforma della corte e dato il carico a' quatro cardinali, né a ciò esservi opposizione del duca, né di altri, che non fosse in sua potestà, e pur di quella piú non si parlava, come anco era stata in silenzio 3 anni doppo che la propose immediate assonto al pontificato. Per ovviare a queste diffamazioni deliberò il papa di nuovo ripigliare quel negozio, riformando prima sé, i cardinali e la corte, per poter levar ad ogni uno l'obiezzione e la sinistra interpretazione di tutte le azzioni sue; et elesse quattro cardinali e cinque altri prelati tanto da lui stimati, che quattro di essi nelli anni seguenti creò poi cardinali, imponendo a tutti 9 di raccogliere gli abusi che meritavano riforma, et insieme aggiongervi i rimedii co' quali si potesse prestamente e facilmente levargli, e ridur il tutto ad una buona riformazione. Fecero quei prelati la raccolta secondo il commandamento del pontefice, e la ridussero in scritto.

Proposero nel principio, per fonte et origine di tutti gli abusi, la prontezza de' pontefici a dar orecchie alli adulatori e la facilità in derogare le leggi, con la inosservanza del commandamento di Cristo di non cavar guadagno delle cose spirituali; e descendendo a particolari, notarono 24 abusi nell'amministrazione delle cose ecclesiastiche, e 4 nel governo speciale di Roma; toccarono l'ordinazione di clerici, la collazione di beneficii, le pensioni, le permutazioni, li regressi, le reservazioni, la pluralità di beneficii, le commende, la residenza, le essenzioni, la deformazione dell'ordine regolare, la ignoranza de' predicatori e confessori, la libertà di stampare libri perniciosi, le lezzioni, la toleranza de' apostati, i questuarii; e passando alle dispensazioni, toccarono prima quella di maritare gli ordinati, facilità di dispensare matrimonii ne' gradi proibiti, la dispensa a' simoniaci, la facilità nel conceder confessionali et indulgenze, la dispensazione de' voti, la licenza di testare de' beni della Chiesa, la commutazione delle ultime volontà, la toleranza delle meretrici, la negligenza del governo delli ospedali, et altre cose di questo genere, trattate minutamente, con esporre la natura degli abusi, le cause et origine loro, le consequenze dei mali che portano seco, i modi di rimediarvi e conservar il corpo della corte per l'avvenire in vita cristiana: opera degna d'esser letta, che se la sua longhezza non avesse impedito, meritava esser registrata di parola in parola.

Il pontefice, ricevuta la relazione di questi prelati, la fece considerar a molti cardinali e propose poi in consistorio la materia per prenderne deliberazione. Frate Nicolò Scomberg dell'ordine dominicano, cardinale di San Sisto, con altro nome chiamato di Capua, con longhissimo discorso mostrò, che quel tempo allora presente non comportava che si riformasse alcuna cosa. Primieramente considerò la malizia umana, che sempre, quando li è impedito un corso al male, ne ritrova un peggiore, e che è manco mal tolerar il disordine conosciuto, e che per esser in uso non tanta maraviglia, che, per rimediar a quello, dar in uno che, come nuovo, restarà piú apparente e sarà anco piú ripreso. Aggionse che sarebbe dar occasione a' luterani di vantarsi che avessero sforzato il pontefice a far quella riforma, e sopra tutte le cose considerava che sarebbe stato principio non di levar gli abusi soli, ma ancora insieme i buoni usi, e metter in maggior pericolo tutte le cose della religione: perché con la riforma si confesserebbe che le cose provedute meritamente erano riprese da luterani, che non farebbe altro che dar fomento a tutta la loro dottrina. In contrario Giovan Pietro Caraffa, cardinale teatino, mostrò che la riforma era necessaria e grand'offesa di Dio esser il tralasciarla, e rispose esser regola delle azzioni cristiane che come non s'ha da far alcun male acciò ne succeda bene, cosí non si debbe tralasciare alcun bene di obligazione per timore che ne venga il male. Varie furono le opinioni, e finalmente, dopo detti diversi pareri, fu concluso che si differisse di parlarne ad altro tempo, e commandò il pontefice che fosse tenuta segreta la rimostranza fattagli da' prelati. Ma il cardinal Scomberg ne mandò una copia in Germania, il che da alcuni fu creduto non esser fatto senza saputa del pontefice, acciò fusse veduto che in Roma vi era qualche dissegno e qualche opera ancora di riformazione. La copia mandata fu subito stampata e publicata per tutta Germania, e fu anco scritto contra di quella da diversi in lingua tedesca e latina. E pur tuttavia nella medesima regione cresceva il numero de' protestanti, essendo entrati nella loro lega il re di Dania et alcuni prencipi della casa di Brandeburg.

 

 




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