[Il papa intima il concilio in Vicenza]
Avvicinandosi il mese di novembre, il
pontefice publicò una bolla di convocazione del concilio a Vicenza, e causando
che per la vicinità dell'inverno vi era bisogno di prorogar il tempo, l'intimò
per il primo di maggio dell'anno seguente 1538, e destinò legati a quel luogo tre
cardinali, Lorenzo Campeggio, già legato di Clemente VII in Germania, Giacomo
Simoneta e Gieronimo Aleandro, da lui creati cardinali.
Uscita la bolla in luce, in Inghilterra fu
publicato un altro manifesto del re contra questa nuova convocazione, inviato a
Cesare et ai re e popoli cristiani, dato sotto gli 8 aprile dell'istesso anno
1538: che avendo già manifestato al mondo le molte et abondanti cause per quali
aveva ricusato il concilio, che il papa fingeva voler celebrar in Mantova,
prorogato poi senza assignazione di certo luogo, non gli pareva conveniente,
ogni volta che il pontefice avesse escogitato qualche nuova via, dover esso
pigliar fatica di protestare o ricusare quel concilio che egli mostrasse di
voler celebrare. Perilché quel libello defende la causa sua e del suo regno da
tutti i tentativi che si potessero fare o da Paolo overo da qualonque altro
pontefice romano, e però l'ha voluto confermare con quella epistola, che
facilmente lo doverà iscusare perché non sia piú per andar a Vicenza di quello
che non era per andare a Mantova, quantonque non vi sia chi piú desideri una
publica convocazione de' cristiani, purché sia concilio generale, libero e pio,
quale ha figurato nella protesta contra il concilio di Mantova. E sí come
nissuna cosa è piú santa che una generale convocazione di cristiani, cosí
nissuno può apportare maggiore pregiudicio e pernicie alla religione che un
concilio abusato per guadagni, per utilità, o per confermar errori. Concilio
generale chiamarsi, perché tutti i cristiani possano dire il suo parere: né
potersi dire generale dove siano uditi solamente quelli che averanno
determinato di tener sempre, in tutte le cose, le parti del pontefice e dove
l'istessi siano attori, rei, avvocati e giudici. Potersi replicare sopra
Vicenza tutte le medesime cose che si sono dette nell'altro suo libello di
Mantova. E replicato con brevità un succinto contenuto di quello, seguí
dicendo: se Federico, duca di Mantova, non ha deferito all'autorità del
pontefice in concedergli la sua città in quel modo che egli la voleva, che
raggione vi è che noi debbiamo tanto stimarla in andar dove gli piace? Se ha il
pontefice potestà da Dio di chiamar i prencipi dove vuole, perché non l'ha di
eleggere qual luogo gli piace e farsi ubedire? Se il duca di Mantova può con
raggione negar il luogo eletto dal pontefice, perché non potranno anco gli
altri re e prencipi non andar a quello? E se tutti i prencipi gli negassero le
loro città, dove sarebbe la sua potestà? Che sarebbe avvenuto, se tutti si
fussero messi in viaggio e gionti là s'avessero trovati esclusi dal duca di
Mantova? Quello che di Mantova è accaduto, può accader di Vicenza.
Andarono i legati a Vicenza al tempo
determinato, et in questo medesimo il pontefice andò a Nizza di Provenza per
intervenir al colloquio dell'imperatore e del re di Francia, procurato da lui,
dando fuori che fosse solamente per metter quei due gran prencipi in pace, se
ben il fine piú principale era di tirar in casa sua il ducato di Milano. In
quel luogo il pontefice, tra le altre cose, fece ufficio con ambidue che
mandassero gli ambasciatori loro al concilio e che vi facessero anco andare i
prelati che erano nelle loro compagnie, e dessero ordine a quelli che si
ritrovavano ne' loro regni di mettersi in viaggio. Quanto al dar l'ordine, l'uno
e l'altro si scusò che era necessario prima informarsi con i prelati de'
bisogni delle loro chiese; e quanto al mandare quei che erano quivi presenti,
che sarebbe stato difficile persuadergli ad andare soli, senza aver communicato
conseglio con altri. Restò tanto facilmente il papa sodisfatto della risposta,
che lasciò dubio se piú desiderasse l'affermativa che la negativa. Riuscito
adonque infruttuoso questo ufficio, come gli altri trattati dal papa in quel
convento, egli se ne partí, et essendo di ritorno in Genova ebbe lettere da
Vicenza da legati che si ritrovavano ancora là soli, senza prelato alcuno;
perilché gli richiamò, e sotto il 28 giugno per una sua bolla allongò il
termine del concilio sino al giorno della prossima pasca.
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