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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [La pace fatta tra Cesare e 'l re di Francia dà occasione di ritornare a trattar del concilio]
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[La pace fatta tra Cesare e 'l re di Francia dà occasione di ritornare a trattar del concilio]

La guerra tra l'imperatore et il re di Francia non durò longamente; perché Cesare conobbe chiaro che, restando egli in quella implicato et il fratello in quella contra turchi, la Germania s'avvanzava tanto nella libertà, che in breve manco il nome imperiale sarebbe stato riconosciuto, e che egli, facendo guerra in Francia, immitava il cane d'Esopo che, seguendo l'ombra, perdette e quella et il corpo; onde diede orecchie alle proposte de' francesi per fare la pace, con dissegno non solo di liberarsi da quello impedimento, ma anco, col mezo del re, accommodare le cose con turchi et attendere alla Germania. Perilché a 24 di settembre in Crespino fu conclusa fra loro la pace, nella quale, tra le altre cose, l'uno e l'altro prencipe capitolarono di defendere l'antica religione, d'adoperarsi per l'unione della Chiesa e per la riforma della corte romana, d'onde derivavano tutte le dissensioni, e che a questo effetto fosse unitamente richiesto il papa a congregar il concilio, e dal re di Francia fosse mandato alla dieta di Germania a far ufficio con i protestanti che l'accettassero. Il pontefice non si spaventò per il capitolo del concilio e di riformare la corte, tenendo per fermo che quando avessero posta mano a quella impresa, non averebbono potuto longamente restare concordi per i diversi e contrarii interessi loro, e non dubitava che dovendosi esseguire il dissegno per mezo del concilio, egli non avesse fatto cadere ogni trattazione in modo che l'autorità sua si fosse amplificata; ma ben giudicò che quando, avesse convocato il concilio alla richiesta loro, sarebbe stato riputato che l'avesse fatto costretto, che sarebbe stato con molta diminuzione della sua riputazione e d'accrescimento d'animo a chi dissegnava moderazione dell'autorità ponteficia. Per il che non aspettando d'essere da alcuno di loro prevenuto, e dissimulate le sospizioni contra l'imperatore concepute, e le piú importanti, che gli rendeva la pace fatta senza suo intervento con capitoli pregiudiciali alla sua autorità, mandò fuori una bolla, nella quale, invitando tutta la Chiesa a rallegrarsi della pace, come per quale era levato l'unico impedimento al concilio, lo stabilí di nuovo in Trento, ordinando il principio per il 15 marzo.

Vedeva il termine angusto, et insufficiente a mandare la notizia per tutto, nonché a lasciare spacio a' prelati di mettersi in ordine e far il viaggio; riputò nondimeno che fosse vantaggio suo che, se però s'aveva da celebrare, s'incomminciasse con pochi, e quelli italiani, corteggiani e suoi dependenti, i quali sarebbono stati i primi, cosí sollecitati da lui, dovendosi nel principio trattare del modo come proceder nel concilio che è il principale, anzi il tutto per conservare l'autorità ponteficia; alla determinazione de' quali sarebbono costretti stare quelli che alla giornata fossero sopragionti; né essere maraviglia che un concilio generale s'incomminci con pochi, perché nel pisano e costanziense cosí occorse, i quali ebbero però felice progresso. Et avendo penetrata la vera causa della pace, scrisse all'imperatore che in servizio suo aveva prevenuto et usato celerità nell'intimazione del concilio. Imperoché sapendo come Sua Maestà, per la necessità della guerra francese, era stata costretta permettere e promettere molte cose a' protestanti, con l'intimazione del concilio gli aveva dato modo d'escusarsi nella dieta che si doveva fare al settembre, se, instante il concilio, non effettuava quello che aveva promesso concedere sino alla celebrazione di quello.

Ma la prestezza del pontefice non piacque all'imperatore, né la ragione resa lo sodisfece: averebbe egli voluto per sua riputazione, per far accettare piú facilmente il concilio alla Germania e per molti altri rispetti, essere causa principale; nondimeno, non potendo altro fare, usò però tutti quei termini che lo potessero mostrare lui autore et il papa aderente, mandò ambasciatori a tutti i prencipi a significare l'intimazione e pregargli mandare ambasciatori per onorare quello consesso e confermare i decreti che si li farebbono. Et attendeva a fare seria preparazione come se l'impresa fosse stata sua. Diede diversi ordeni a' prelati di Spagna e de' Paesi Bassi, et ordinò tra le altre cose che i teologi di Lovanio si congregassero insieme per considerare i dogmi che si dovevano proporre, i quali ridussero a 32 capi, senza però confermargli con alcun luogo delle Sacre Lettere, ma esplicando magistralmente la sola conclusione: i quali capi furono dopo confermati con l'editto di Cesare e divulgati con precetto che da tutti fossero tenuti e seguiti. E non occultò l'imperatore il disgusto conceputo contra il pontefice in parole al noncio dette, cosí in quella occasione, come in altre audienze; anzi, avendo al decembre il papa creati 13 cardinali, tra quali tre spagnoli, gli proibí l'accettare le insegne et usare il nome e l'abito.

Il re di Francia ancora fece convenire i teologi parigini a Melun per consultare de' dogmi necessarii alla fede cristiana che si dovevano proponere in concilio; dove vi fu molta contenzione, volendo alcuni che si proponesse la confermazione delle cose statuite in Costanza et in Basilea et il restabilimento della Pragmatica, et altri dubitando che per ciò il re dovesse restar offeso, per la destruzzione che ne seguiva del concordato fatto da lui con Leone, consegliavano di non metter a campo questa disputa. Et appresso, perché in quella scuola sono varie opinioni anco nella materia de' sacramenti, a' quali alcuni dànno virtú effettiva ministeriale, et altri no, e desiderando ogni uno che la sua fosse articolo di fede, non si poté concludere altro, se non che si restasse ne' 25 capi publicati due anni inanzi.

Ma il pontefice, significato al re di Francia il poco buon animo dell'imperatore verso lui, lo richiese che per sostentamento della Sede apostolica mandasse quanto prima suoi ambasciatori al concilio, et al noncio suo appresso l'imperatore commise che, stando attento a tutte le occasioni, quando da' protestanti gli fusse dato qualche disgusto, gli offerisse ogni assistenza dal pontefice per ricuperare l'autorità cesarea con aiuti spirituali e temporali; di che avendo il noncio purtroppo spesso avuto occasione, operò che Cesare, comprendendo di potere avere bisogno del papa nell'un e nell'altro modo, rimise la durezza e ne diede segno concedendo a' nuovi cardinali di assumer il nome e l'insegne, et al noncio dava audienze piú grate e con lui conferiva delle cose di Germania piú del solito.

 

 




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