[La pace fatta tra Cesare e 'l re di
Francia dà occasione di ritornare a trattar del concilio]
La guerra tra l'imperatore et il re di
Francia non durò longamente; perché Cesare conobbe chiaro che, restando egli in
quella implicato et il fratello in quella contra turchi, la Germania s'avvanzava
tanto nella libertà, che in breve manco il nome imperiale sarebbe stato
riconosciuto, e che egli, facendo guerra in Francia, immitava il cane d'Esopo
che, seguendo l'ombra, perdette e quella et il corpo; onde diede orecchie alle
proposte de' francesi per fare la pace, con dissegno non solo di liberarsi da
quello impedimento, ma anco, col mezo del re, accommodare le cose con turchi et
attendere alla Germania. Perilché a 24 di settembre in Crespino fu conclusa fra
loro la pace, nella quale, tra le altre cose, l'uno e l'altro prencipe
capitolarono di defendere l'antica religione, d'adoperarsi per l'unione della
Chiesa e per la riforma della corte romana, d'onde derivavano tutte le
dissensioni, e che a questo effetto fosse unitamente richiesto il papa a congregar
il concilio, e dal re di Francia fosse mandato alla dieta di Germania a far
ufficio con i protestanti che l'accettassero. Il pontefice non si spaventò per
il capitolo del concilio e di riformare la corte, tenendo per fermo che quando
avessero posta mano a quella impresa, non averebbono potuto longamente restare
concordi per i diversi e contrarii interessi loro, e non dubitava che dovendosi
esseguire il dissegno per mezo del concilio, egli non avesse fatto cadere ogni
trattazione in modo che l'autorità sua si fosse amplificata; ma ben giudicò che
quando, avesse convocato il concilio alla richiesta loro, sarebbe stato
riputato che l'avesse fatto costretto, che sarebbe stato con molta diminuzione
della sua riputazione e d'accrescimento d'animo a chi dissegnava moderazione
dell'autorità ponteficia. Per il che non aspettando d'essere da alcuno di loro
prevenuto, e dissimulate le sospizioni contra l'imperatore concepute, e le piú
importanti, che gli rendeva la pace fatta senza suo intervento con capitoli pregiudiciali
alla sua autorità, mandò fuori una bolla, nella quale, invitando tutta la
Chiesa a rallegrarsi della pace, come per quale era levato l'unico impedimento
al concilio, lo stabilí di nuovo in Trento, ordinando il principio per il 15
marzo.
Vedeva il termine angusto, et
insufficiente a mandare la notizia per tutto, nonché a lasciare spacio a'
prelati di mettersi in ordine e far il viaggio; riputò nondimeno che fosse
vantaggio suo che, se però s'aveva da celebrare, s'incomminciasse con pochi, e
quelli italiani, corteggiani e suoi dependenti, i quali sarebbono stati i
primi, cosí sollecitati da lui, dovendosi nel principio trattare del modo come
proceder nel concilio che è il principale, anzi il tutto per conservare
l'autorità ponteficia; alla determinazione de' quali sarebbono costretti stare
quelli che alla giornata fossero sopragionti; né essere maraviglia che un
concilio generale s'incomminci con pochi, perché nel pisano e costanziense cosí
occorse, i quali ebbero però felice progresso. Et avendo penetrata la vera
causa della pace, scrisse all'imperatore che in servizio suo aveva prevenuto et
usato celerità nell'intimazione del concilio. Imperoché sapendo come Sua
Maestà, per la necessità della guerra francese, era stata costretta permettere
e promettere molte cose a' protestanti, con l'intimazione del concilio gli
aveva dato modo d'escusarsi nella dieta che si doveva fare al settembre, se,
instante il concilio, non effettuava quello che aveva promesso concedere sino
alla celebrazione di quello.
Ma la prestezza del pontefice non piacque
all'imperatore, né la ragione resa lo sodisfece: averebbe egli voluto per sua
riputazione, per far accettare piú facilmente il concilio alla Germania e per
molti altri rispetti, essere causa principale; nondimeno, non potendo altro
fare, usò però tutti quei termini che lo potessero mostrare lui autore et il
papa aderente, mandò ambasciatori a tutti i prencipi a significare
l'intimazione e pregargli mandare ambasciatori per onorare quello consesso e
confermare i decreti che si li farebbono. Et attendeva a fare seria
preparazione come se l'impresa fosse stata sua. Diede diversi ordeni a' prelati
di Spagna e de' Paesi Bassi, et ordinò tra le altre cose che i teologi di
Lovanio si congregassero insieme per considerare i dogmi che si dovevano
proporre, i quali ridussero a 32 capi, senza però confermargli con alcun luogo
delle Sacre Lettere, ma esplicando magistralmente la sola conclusione: i quali
capi furono dopo confermati con l'editto di Cesare e divulgati con precetto che
da tutti fossero tenuti e seguiti. E non occultò l'imperatore il disgusto
conceputo contra il pontefice in parole al noncio dette, cosí in quella
occasione, come in altre audienze; anzi, avendo al decembre il papa creati 13
cardinali, tra quali tre spagnoli, gli proibí l'accettare le insegne et usare
il nome e l'abito.
Il re di Francia ancora fece convenire i
teologi parigini a Melun per consultare de' dogmi necessarii alla fede
cristiana che si dovevano proponere in concilio; dove vi fu molta contenzione,
volendo alcuni che si proponesse la confermazione delle cose statuite in
Costanza et in Basilea et il restabilimento della Pragmatica, et altri
dubitando che per ciò il re dovesse restar offeso, per la destruzzione che ne
seguiva del concordato fatto da lui con Leone, consegliavano di non metter a
campo questa disputa. Et appresso, perché in quella scuola sono varie opinioni
anco nella materia de' sacramenti, a' quali alcuni dànno virtú effettiva
ministeriale, et altri no, e desiderando ogni uno che la sua fosse articolo di
fede, non si poté concludere altro, se non che si restasse ne' 25 capi
publicati due anni inanzi.
Ma il pontefice, significato al re di
Francia il poco buon animo dell'imperatore verso lui, lo richiese che per
sostentamento della Sede apostolica mandasse quanto prima suoi ambasciatori al
concilio, et al noncio suo appresso l'imperatore commise che, stando attento a
tutte le occasioni, quando da' protestanti gli fusse dato qualche disgusto, gli
offerisse ogni assistenza dal pontefice per ricuperare l'autorità cesarea con
aiuti spirituali e temporali; di che avendo il noncio purtroppo spesso avuto
occasione, operò sí che Cesare, comprendendo di potere avere bisogno del papa
nell'un e nell'altro modo, rimise la durezza e ne diede segno concedendo a'
nuovi cardinali di assumer il nome e l'insegne, et al noncio dava audienze piú
grate e con lui conferiva delle cose di Germania piú del solito.
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