[Il papa delega i legati al concilio]
Fu grande la fretta del pontefice non solo
a convocare il concilio, ma anco ad ispedire i legati, i quali non volle, sí
come alcun consegliava, che per degnità mandassero prima qualche sostituto a
ricevere i primi prelati, per fare poi essi entrata con incontri e ceremonie,
ma che fossero i primi e giongessero inanzi il tempo. Deputò per legati
Giovanni Maria di Monte, vescovo cardinale di Palestrina, Marcello Cervino,
prete di Santa Croce, e Reginaldo Polo, diacono di Santa Maria in Cosmedin: in
questo elesse la nobiltà del sangue e l'opinione di pietà che communemente si
aveva di lui, e l'esser inglese, a fine di mostrare che non tutta Inghilterra
fosse ribelle; in Marcello la costanza e perseveranza immobile et intrepida,
insieme con isquisita cognizione; nel Monte la realtà e mente aperta, congionta
con tal fideltà a' patroni, che non poteva preporre gli interessi di quelli
alla propria conscienza. Questi spedí con un breve della legazione e non diede
loro, come si costuma a' legati, la bolla della facoltà, né meno scritta
instruzzione, non ben certo ancora che commissioni dargli, pensando di
governarsi secondo che i successi e gli andamenti dell'imperatore
consegliassero, ma con quel solo breve gli fece partire.
Ma oltre il pensiero che il papa metteva
allora alle cose di Trento, versava nell'animo suo un altro di non minor
momento intorno la dieta che si doveva tener in Vormazia, alla quale si credeva
che l'imperatore non interverrebbe; temendo il papa che Cesare, irritato dalla
lettera scrittagli, non facesse sotto mano fare qualche decreto di maggior
pregiudicio alle cose sue, che i passati, overo almeno non lo permettesse; per
questo giudicava necessario avere un ministro d'autorità e riputazione con
titolo di legato in quel luogo. Ma era in gran dubio di non ricevere per quella
via affronto, quando dalla dieta non fosse ricevuto con onore debito. Trovò
temperamento di mandare il cardinale Farnese, suo nepote, all'imperatore e
farlo passare per Vormazia, e quivi dare gli ordeni a' catolici, e fatti gli
ufficii opportuni, passare inanzi verso l'imperatore, e fra tanto mandare Fabio
Mignanello da Siena, vescovo di Grosseto, per noncio residente appresso il re
de' Romani, con ordine di seguirlo alla dieta.
Poi applicando l'animo a Trento, fece dare
principio a consultare il tenor delle facoltà che si dovevano dare a' legati.
Il che ebbe un poco di difficoltà, per non avere essempii da seguire. Imperoché
al lateranense precedente era intervenuto il pontefice in persona; inanzi
quello, al fiorentino, parimente intervenne Eugenio IV; il costanziense, dove
fu levato il schisma, ebbe il suo principio con la presenza di Giovanni XXIII,
uno de' tre papi demessi, et il fine con la presenza di Martino V; inanzi di
quello, il pisano fu prima congregato da cardinali e finito da Alessandro V. In
tempi ancora piú inanzi, al vienense fu presente Clemente V; a' doi concilii di
Lion, Innocenzio IV e Gregorio X, et inanzi questi al lateranense, Innocenzio
III. Solo il concilio basileense, in quel tempo che stette sotto l'obedienza
d'Eugenio IV, fu celebrato con presenza de' legati. Ma immitare qualsivoglia
delle cose in quello osservate era cosa di troppo cattivo presagio. Si venne in
risoluzione di formare la bolla con questa clausula, che gli mandava come
angeli di pace al concilio intimato per l'inanzi da lui in Trento; et esso gli
dava piena e libera autorità, accioché per mancamento di quella, la
celebrazione e continuazione non potesse essere ritardata, con facoltà di
presedervi et ordinare qualonque decreti e statuti, e publicarli nelle
sessioni, secondo il costume; proponere, concludere et esseguire tutto quello
che fosse necessario per condannare et estirpare da tutte le provincie e regni
gli errori; conoscere, udire, decidere e determinare nelle cause d'eresia e
qualonque altre concernenti la fede catolica, riformare lo stato della santa
Chiesa in tutti i suoi membri, cosí ecclesiastici, come secolari, e mettere
pace tra i prencipi cristiani, e determinare ogni altra cosa che sia ad onore
di Dio et aummento della fede cristiana, con autorità di raffrenare con censure
e pene ecclesiastiche qualonque contradittori e rebelli d'ogni stato e
preminenza, ancora ornati di dignità ponteficale overo regale, e di fare ogni
altra cosa necessaria et opportuna per l'estirpazione dell'eresie et errori,
riduzzione de' popoli alienati dall'ubedienza della Sede apostolica,
conservazione e redintegrazione della libertà ecclesiastica, con questo però,
che in tutte le cose procedessero col consenso del concilio.
E considerando il papa non meno ad inviare il
concilio che a' modi di dissolverlo quando fosse incomminciato, se il suo
servizio avesse cosí ricercato, per provedersi a buon'ora, seguendo l'essempio
di Martino V, il quale, temendo di quei incontri che avvennero a Giovanni XXIII
in Costanza, mandando i noncii al concilio di Pavia, gli diede un particolar
breve con autorità di prolongarlo, dissolverlo, trasferirlo dovunque fosse loro
piacciuto, arcano per attraversare ogni deliberazione contraria a' rispetti di
Roma. Pochi dí dopo fece un'altra bolla, dando facoltà a' legati di trasferire
il concilio. Questa fu data sotto il 22 febraro dell'istesso anno, della quale
dovendo di sotto parlare quando si dirà della translazione a Bologna, si
deferirà sino allora quel tutto che sopra ciò si ha da dire.
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