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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il papa delega i legati al concilio]
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[Il papa delega i legati al concilio]

Fu grande la fretta del pontefice non solo a convocare il concilio, ma anco ad ispedire i legati, i quali non volle, come alcun consegliava, che per degnità mandassero prima qualche sostituto a ricevere i primi prelati, per fare poi essi entrata con incontri e ceremonie, ma che fossero i primi e giongessero inanzi il tempo. Deputò per legati Giovanni Maria di Monte, vescovo cardinale di Palestrina, Marcello Cervino, prete di Santa Croce, e Reginaldo Polo, diacono di Santa Maria in Cosmedin: in questo elesse la nobiltà del sangue e l'opinione di pietà che communemente si aveva di lui, e l'esser inglese, a fine di mostrare che non tutta Inghilterra fosse ribelle; in Marcello la costanza e perseveranza immobile et intrepida, insieme con isquisita cognizione; nel Monte la realtà e mente aperta, congionta con tal fideltà a' patroni, che non poteva preporre gli interessi di quelli alla propria conscienza. Questi spedí con un breve della legazione e non diede loro, come si costuma a' legati, la bolla della facoltà, né meno scritta instruzzione, non ben certo ancora che commissioni dargli, pensando di governarsi secondo che i successi e gli andamenti dell'imperatore consegliassero, ma con quel solo breve gli fece partire.

Ma oltre il pensiero che il papa metteva allora alle cose di Trento, versava nell'animo suo un altro di non minor momento intorno la dieta che si doveva tener in Vormazia, alla quale si credeva che l'imperatore non interverrebbe; temendo il papa che Cesare, irritato dalla lettera scrittagli, non facesse sotto mano fare qualche decreto di maggior pregiudicio alle cose sue, che i passati, overo almeno non lo permettesse; per questo giudicava necessario avere un ministro d'autorità e riputazione con titolo di legato in quel luogo. Ma era in gran dubio di non ricevere per quella via affronto, quando dalla dieta non fosse ricevuto con onore debito. Trovò temperamento di mandare il cardinale Farnese, suo nepote, all'imperatore e farlo passare per Vormazia, e quivi dare gli ordeni a' catolici, e fatti gli ufficii opportuni, passare inanzi verso l'imperatore, e fra tanto mandare Fabio Mignanello da Siena, vescovo di Grosseto, per noncio residente appresso il re de' Romani, con ordine di seguirlo alla dieta.

Poi applicando l'animo a Trento, fece dare principio a consultare il tenor delle facoltà che si dovevano dare a' legati. Il che ebbe un poco di difficoltà, per non avere essempii da seguire. Imperoché al lateranense precedente era intervenuto il pontefice in persona; inanzi quello, al fiorentino, parimente intervenne Eugenio IV; il costanziense, dove fu levato il schisma, ebbe il suo principio con la presenza di Giovanni XXIII, uno de' tre papi demessi, et il fine con la presenza di Martino V; inanzi di quello, il pisano fu prima congregato da cardinali e finito da Alessandro V. In tempi ancora piú inanzi, al vienense fu presente Clemente V; a' doi concilii di Lion, Innocenzio IV e Gregorio X, et inanzi questi al lateranense, Innocenzio III. Solo il concilio basileense, in quel tempo che stette sotto l'obedienza d'Eugenio IV, fu celebrato con presenza de' legati. Ma immitare qualsivoglia delle cose in quello osservate era cosa di troppo cattivo presagio. Si venne in risoluzione di formare la bolla con questa clausula, che gli mandava come angeli di pace al concilio intimato per l'inanzi da lui in Trento; et esso gli dava piena e libera autorità, accioché per mancamento di quella, la celebrazione e continuazione non potesse essere ritardata, con facoltà di presedervi et ordinare qualonque decreti e statuti, e publicarli nelle sessioni, secondo il costume; proponere, concludere et esseguire tutto quello che fosse necessario per condannare et estirpare da tutte le provincie e regni gli errori; conoscere, udire, decidere e determinare nelle cause d'eresia e qualonque altre concernenti la fede catolica, riformare lo stato della santa Chiesa in tutti i suoi membri, cosí ecclesiastici, come secolari, e mettere pace tra i prencipi cristiani, e determinare ogni altra cosa che sia ad onore di Dio et aummento della fede cristiana, con autorità di raffrenare con censure e pene ecclesiastiche qualonque contradittori e rebelli d'ogni stato e preminenza, ancora ornati di dignità ponteficale overo regale, e di fare ogni altra cosa necessaria et opportuna per l'estirpazione dell'eresie et errori, riduzzione de' popoli alienati dall'ubedienza della Sede apostolica, conservazione e redintegrazione della libertà ecclesiastica, con questo però, che in tutte le cose procedessero col consenso del concilio.

E considerando il papa non meno ad inviare il concilio che a' modi di dissolverlo quando fosse incomminciato, se il suo servizio avesse cosí ricercato, per provedersi a buon'ora, seguendo l'essempio di Martino V, il quale, temendo di quei incontri che avvennero a Giovanni XXIII in Costanza, mandando i noncii al concilio di Pavia, gli diede un particolar breve con autorità di prolongarlo, dissolverlo, trasferirlo dovunque fosse loro piacciuto, arcano per attraversare ogni deliberazione contraria a' rispetti di Roma. Pochi dopo fece un'altra bolla, dando facoltà a' legati di trasferire il concilio. Questa fu data sotto il 22 febraro dell'istesso anno, della quale dovendo di sotto parlare quando si dirà della translazione a Bologna, si deferirà sino allora quel tutto che sopra ciò si ha da dire.

 

 




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