[Il papa si risolve a far aprire il
concilio]
Il cardinale vescovo e patrone di Trento,
considerando che quella città in se stessa picciola e vuota d'abitatori, se il
concilio fosse caminato inanzi, restava in discrezione di forestieri con
pericolo di sedizioni, fece sapere al papa che era necessario un presidio
almeno di 150 fanti, massime se venissero i luterani: qual spesa esso non
poteva fare, essendo essausto per i molti debiti lasciatigli dal suo
precessore. A questo rispose il pontefice che il mettere presidio nella città
sarebbe stato un pretesto a' luterani di publicare che il concilio non fosse
libero; che mentre soli italiani erano in Trento, vano sarebbe aver dubio, e
che egli non aveva minor cura della quiete della città, che esso medesimo
cardinale, importando piú al pontefice la sicurezza del concilio, che al
vescovo della città; però lasciasse la cura a lui e tenesse per certo che starà
vigilante e provederà a' pericoli per suo interesse, né lo aggraverà di far
alcuna spesa; et avendo ben pensato tutte le raggioni che persuadevano e
dissuadevano il dare principio al concilio, per la dissuasione non vedeva
raggione di momento, se non che quando fosse aperto, egli fosse ricercato di
lasciarlo cosí, sino che cessassero gli impedimenti della guerra de turchi et
altri: il che era mettergli un freno in bocca per agitarlo dove fosse piacciuto
a chi ne tenesse le redine, sommo pericolo alle cose sue. Questo lo fece
risolvere stabilmente in se stesso che per niente si doveva lasciarlo stare
ociosamente aperto, né partirsi da questa disgiontiva: che overo il concilio si
celebri, potendo; o non potendo, si serri o si sospenda sino che da lui fosse
publicato il giorno nel quale si avesse da riassumere. E fermato questo ponto,
scrisse a' legati che l'apprissero per il dí di Santa Croce; qual ordine essi
publicarono all'ambasciatore cesareo et a tutti gli altri, senza venire al
particolare del giorno. E poco dopo gionse il cardinal Farnese in Trento per
transitare di là in Vormazia e portò l'istessa commissione, e consultato il
tutto tra lui et i legati, fu tra loro determinato di continuare, notificando a
tutti la commissione d'aprire il concilio in genere, ma non descendendo al
giorno particolare, se non quando egli, gionto in Vormes, avesse parlato
all'imperatore, avendo conceputa molto buona speranza per aver inteso che
l'imperatore, udita l'espedizion della legazione, era rimasto molto sodisfatto
del papa e lasciatosi intendere di volere procedere unitamente con lui; il che
per non sturbare, non volevano senza notizia della Maestà Sua procedere a
nissuna nuova azzione, massime che cosí don Diego, come il cardinal di Trento
consegliavano l'istesso.
Rinovò don Diego la sua pretensione di
precedere tutti, eccetto i legati, allegando che sí come quando il papa e
Cesare fossero insieme, nissuno sederebbe in mezo, l'istesso si dovesse
osservare ne representanti l'uno e l'altro e dicendo d'aver in ciò il parere e
conseglio di persone dotte. Da' legati non fu risposto se non con termini generali,
che erano preparati di dar a ciascuno il suo luogo, aspettando d'aver ordine da
Roma; il che anco piaceva a don Diego, sperando che là nelli archivi publici si
troverebbono decisioni et essempii di ciò; mostrandosi pronto, fuori del
concilio di cedere ad ogni minimo prete; ma soggiongendo che nel concilio
nessuno ha maggior autorità, dopo il papa, che il suo prencipe. Ad alcuno, nel
legere questa relazione, potrebbe parere che essendo di cose e raggioni
leggiere, tenesse del superfluo: ma lo scrittore dell'istoria, con senso
contrario, ha stimato necessario fare sapere da quali minimi rivoli sia causato
un gran lago che occupa Europa, e chi nel registro vedesse quante lettere
andarono e venirono prima che quell'apertura fosse conclusa, stupirebbe della stima
che se ne faceva e delli sospetti che andavano attorno.
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