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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il papa si risolve a far aprire il concilio]
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[Il papa si risolve a far aprire il concilio]

Il cardinale vescovo e patrone di Trento, considerando che quella città in se stessa picciola e vuota d'abitatori, se il concilio fosse caminato inanzi, restava in discrezione di forestieri con pericolo di sedizioni, fece sapere al papa che era necessario un presidio almeno di 150 fanti, massime se venissero i luterani: qual spesa esso non poteva fare, essendo essausto per i molti debiti lasciatigli dal suo precessore. A questo rispose il pontefice che il mettere presidio nella città sarebbe stato un pretesto a' luterani di publicare che il concilio non fosse libero; che mentre soli italiani erano in Trento, vano sarebbe aver dubio, e che egli non aveva minor cura della quiete della città, che esso medesimo cardinale, importando piú al pontefice la sicurezza del concilio, che al vescovo della città; però lasciasse la cura a lui e tenesse per certo che starà vigilante e provederà a' pericoli per suo interesse, né lo aggraverà di far alcuna spesa; et avendo ben pensato tutte le raggioni che persuadevano e dissuadevano il dare principio al concilio, per la dissuasione non vedeva raggione di momento, se non che quando fosse aperto, egli fosse ricercato di lasciarlo cosí, sino che cessassero gli impedimenti della guerra de turchi et altri: il che era mettergli un freno in bocca per agitarlo dove fosse piacciuto a chi ne tenesse le redine, sommo pericolo alle cose sue. Questo lo fece risolvere stabilmente in se stesso che per niente si doveva lasciarlo stare ociosamente aperto, né partirsi da questa disgiontiva: che overo il concilio si celebri, potendo; o non potendo, si serri o si sospenda sino che da lui fosse publicato il giorno nel quale si avesse da riassumere. E fermato questo ponto, scrisse a' legati che l'apprissero per il di Santa Croce; qual ordine essi publicarono all'ambasciatore cesareo et a tutti gli altri, senza venire al particolare del giorno. E poco dopo gionse il cardinal Farnese in Trento per transitare di in Vormazia e portò l'istessa commissione, e consultato il tutto tra lui et i legati, fu tra loro determinato di continuare, notificando a tutti la commissione d'aprire il concilio in genere, ma non descendendo al giorno particolare, se non quando egli, gionto in Vormes, avesse parlato all'imperatore, avendo conceputa molto buona speranza per aver inteso che l'imperatore, udita l'espedizion della legazione, era rimasto molto sodisfatto del papa e lasciatosi intendere di volere procedere unitamente con lui; il che per non sturbare, non volevano senza notizia della Maestà Sua procedere a nissuna nuova azzione, massime che cosí don Diego, come il cardinal di Trento consegliavano l'istesso.

Rinovò don Diego la sua pretensione di precedere tutti, eccetto i legati, allegando che come quando il papa e Cesare fossero insieme, nissuno sederebbe in mezo, l'istesso si dovesse osservare ne representanti l'uno e l'altro e dicendo d'aver in ciò il parere e conseglio di persone dotte. Da' legati non fu risposto se non con termini generali, che erano preparati di dar a ciascuno il suo luogo, aspettando d'aver ordine da Roma; il che anco piaceva a don Diego, sperando che nelli archivi publici si troverebbono decisioni et essempii di ciò; mostrandosi pronto, fuori del concilio di cedere ad ogni minimo prete; ma soggiongendo che nel concilio nessuno ha maggior autorità, dopo il papa, che il suo prencipe. Ad alcuno, nel legere questa relazione, potrebbe parere che essendo di cose e raggioni leggiere, tenesse del superfluo: ma lo scrittore dell'istoria, con senso contrario, ha stimato necessario fare sapere da quali minimi rivoli sia causato un gran lago che occupa Europa, e chi nel registro vedesse quante lettere andarono e venirono prima che quell'apertura fosse conclusa, stupirebbe della stima che se ne faceva e delli sospetti che andavano attorno.

 

 




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