[Cesare gionge in dieta, e 'l Farnese
legato preme al concilio contra le opposizioni de' protestanti]
Ma in Germania a' 16 di maggio gionse in
Vormazia l'imperatore, et il giorno seguente vi arrivò il cardinal Farnese, il
qual trattò con lui e col re de' Romani a parte; espose le sue commissioni,
particolarmente nel fatto del concilio, facendo sapere che il pontefice aveva
dato facoltà a' legati d'aprirlo; il che aspettavano di fare dopo che avessero
inteso da esso lo stato delle cose della dieta. Considerò all'imperatore che
non bisognava avere alcun rispetto alle opposizioni fatte da' protestanti,
poiché l'impedimento da loro posto non era nuovo e non anteveduto dal giorno,
che si comminciò a parlare di concilio; doversi tener per certo che, avendo
essi scosso il giogo dell'obedienza, fondamento principale della religione
cristiana, e proceduto in tanto empie e scelerate innovazioni contro il rito
osservato per centenara d'anni con l'approbazione di tanti celeberrimi
concilii, con la medesima animosità ricalcitrarebbono contra il concilio che
s'incomminciava, quantonque legitimo, generale e cristiano, essendo certi di
dover essere condannati da quello. Però altro non rimaneva se non che la Maestà
Sua o con l'autorità gli inducesse, o con le forze gli constringesse ad
ubedire. Il che quando non si facesse, e per loro rispetto si desistesse da
procedere inanzi alla condannazione loro, overo dopo condannati non fossero
costretti a deporre i loro errori, si mostraria a tutto 'l mondo che gli
eretici commandano, et il papa con l'imperatore ubediscono. Che sí come la Sua
Santità lodava usare prima la via della dolcezza, cosí riputava necessario
mostrare con effetti che, dopo quella, sarebbe seguita la forza armata. Gli
offerí per questo effetto concessione di valersi di parte delle entrate
ecclesiastiche di Spagna e vendere vassellaggi di quelle chiese, di sovvenirlo
de dannari proprii e di mandargli d'Italia in aiuto 12000 fanti e 500 cavalli
pagati, e far opera che dagli altri prencipi d'Italia fossero parimente mandati
altri aiuti, e mentre facesse quella guerra, procedere con arme spirituali e
temporali contra qualonque tentasse molestare i Stati suoi. Espose anco Farnese
all'imperatore il tentativo del vicerè di Napoli di volere mandare quattro
procuratori per nome di tutti i vescovi del regno, con mostrargli che questo
non era né raggionevole, né legitimo modo, né sarebbe stato con reputazione del
concilio; che se vescovi tanto vicini, in numero cosí grande, avessero potuto
scusarsi con la missione di quattro, molto piú l'averebbe fatto la Francia e la
Spagna, e s'averebbe fatto un concilio generale con 20 vescovi. E pregò
l'imperatore a non tolerare un tentativo cosí contrario all'autorità del papa
et alla dignità del concilio, del quale è protettore, pregandolo a darci
rimedio opportuno. Trattò anco il cardinale sopra la promessa fatta per nome di
Sua Maestà nella proposta mandata alla dieta, cioè che per terminare le
discordie della religione, caso che il concilio non facesse progresso, si
farebbe un'altra dieta; e gli pose in considerazione che, non restando dalla
Santità Sua, né da' suoi legati e ministri, né dalla corte romana che il
concilio non si celebri e non faccia progresso, non poteva in alcun modo nel
recesso intimare altra dieta sotto questo colore; et inculcò grandissimamente
questo ponto, perché ne aveva strettissima commissione da Roma, e perché il
cardinale del Monte, uomo molto libero, non solo glie ne fece instanza a bocca,
ma anco gli scrisse per nome proprio e de' colleghi dopo che partí da Trento
con apertissime parole, che questo era un capo importantissimo, al quale doveva
sempre tenere fissa la mira e non se ne scordare in tutta la sua negoziazione,
avvertendo ben di non ammettere coperta alcuna, perché questo solo partorirebbe
ogni altro buon appontamento. E che quanto a lui, raccordarebbe a Sua
Beatitudine che elegesse piú presto d'abandonare la Sede e rendere a san Pietro
le chiavi, che comportare che la potestà secolare arrogasse a sé l'autorità di
terminare le cause della religione, con pretesto e colore che l'ecclesiastico
avesse mancato del debito suo nel celebrar concilio, o in altro.
Intorno al tentativo del vicerè, disse
l'imperatore che il motivo non veniva da altronde che da proprio e spontaneo
moto, e che quando non avesse avuto urgente raggione si sarebbe rimosso. Sopra
l'aprire del concilio non gli diede risoluta risposta, ma, parlando variamente,
ora disse che sarebbe stato ben incomminciarlo in luogo piú opportuno, ora che
era necessario inanzi l'apertura fare diverse provisioni: onde il cardinale
chiaramente vedeva che mirava a tenere la cosa cosí in sospeso e non far altro,
per governarsi secondo i successi o aprendolo, o dissolvendolo. Al non intimare
altra dieta per trattare della religione diede risposta generale et
inconcludente, che averebbe sempre fatto, quanto fosse possibile, la stima
debita dell'autorità ponteficia. Ma alla proposta di fare la guerra a' luterani
rispose essere ottimo il conseglio del pontefice, e la via da lui proposta
unica; la quale era risoluto d'abbracciare, procedendo però con la debita
cauzione, concludendo prima la tregua co' turchi, che col mezo del re di
Francia sollecitamente e secretissimamente trattava, e con avvertenza che,
essendo il numero et il poter de' protestanti grande et insuperabile, se non si
divideranno tra loro o non saranno sprovistamente soprapresi, la guerra sarebbe
riuscita molto ambigua e pericolosa. Che il disegno era da tenersi
secretissimo, sin che l'opportunità apparisse, la quale scoprendosi, egli
averebbe mandato a trattare col pontefice: tra tanto accettava le oblazioni
fattegli.
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