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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Farnese tratta dell'infeudazione di Parma e Piacenza per li suoi]
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[Farnese tratta dell'infeudazione di Parma e Piacenza per li suoi]

Oltra questi negozii publici, ebbe il cardinale un altro privato di casa sua. Il pontefice, parendogli poco aver dato a suoi il ducato di Camerino e Nepi, pensò dargli le città di Parma e Piacenza, le quali essendo poco tempo inanzi state possedute da' duchi di Milano, desiderava che vi intervenisse il consenso di Cesare per stabilirne meglio la disposizione; e di questo trattò il cardinale con l'imperatore, mostrando che sarebbe tornato a maggior servizio di Sua Maestà, se quelle città tanto prossime al ducato di Milano fossero state in mano d'una casa tanto devota e congionta, piú tosto che in poter della Chiesa, nella quale succedendo qualche pontefice mal affetto, diversi inconvenienti potevano nascere; che quella non sarebbe stata alienazione del patrimonio della Chiesa, poiché erano pervenute primieramente solo in mano di Giulio II, né ben confirmato il possesso se non sotto Leone; che sarebbe stata con evidente utilità della Chiesa, perché, in cambio di quelle, il pontefice gli dava Camerino e, detratte le spese che si facevano nella guardia di quelle due città e gionti 8000 scudi che averebbe il nuovo duca pagato, s'averebbe cavato piú entrata di Camerino, che di quelle. A queste esposizioni aggionse anco il cardinale lettere della figliuola, che per proprio interesse ne pregava efficacemente l'imperatore, il quale non aveva la cosa discara, cosí per l'amore della figliuola e de' nepoti, come perché sarebbe stato piú facile di ricuperarla da un duca che dalla Chiesa. Con tutto ciò non negò, né acconsentí; disse solamente che non averebbe fatto opposizione.

Trattò il legato co' catolici et ecclesiastici massime, confortandogli alla diffesa della religione vera, promettendogli dal papa ogni favore. Della negoziazione della guerra, se ben trattata secretamente, ne presero sospetto i protestanti: perché un frate franciscano, in presenza di Carlo e di Ferdinando e del legato predicando, dopo una grand'invettiva contra i luterani, voltato all'imperatore disse il suo ufficio essere di difendere con le arme la Chiesa; che aveva mancato sino allora di quello che già bisognava avere del tutto effettuato; che Dio gli aveva fatto tanti beneficii meritevoli che ne mostrasse ricognizione contra quella peste d'uomini, che non dovevano piú vivere, né doveva differirlo piú oltre, perdendosi ogni giorno molti per questo, de' quali Dio domandarà conto da lui, se non vi porgesse presto rimedio. Questa predica non solo generò sospetto, ma eccitò anco raggionamenti che dal legato fosse stata commandata, e dalle essortazioni publiche, concludevano quali dovevano essere le private: al qual romore per rimediare, il cardinale partí di notte secrettamente e ritornò con celerità in Italia. Ma la sospezzione de' protestanti s'accrebbe per gli avisi andati da Roma che il papa, nel licenziare alcuni capitani, avesse loro data speranza d'adoperargli l'anno futuro.

 

 




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