[Cesare cita l'elettor di Colonia, il che
è biasimato a Trento e viepiú dal papa]
In questo medesimo tempo in Vormazia
l'imperatore citò l'arcivescovo di Colonia, che in termine di 30 giorni
comparisse inanzi a sé o mandasse un procuratore per rispondere alle accuse et
imputazioni dategli; commandando anco che tra tanto non dovesse innuovare cosa
alcuna in materia di religione e riti, anzi ritornare nello stato di prima le
cose innovate. Già sino del 1536 Ermanno, arcivescovo di Colonia, volendo
riformare la sua chiesa, fece un concilio de' vescovi suoi suffraganei, dove
molti decreti furono fatti e se ne stampò un libro composto da Giovanni Gropero
canonista, che per servizii fatti alla Chiesa romana fu creato poi cardinale da
papa Paolo IV. Ma o non si satisfacendo l'arcivescovo né il Gropero medesimo di
quella riforma, avendo mutato opinione, del 1543 congregò il clero e la nobiltà
e li principali del suo Stato, e stabilí un'altra sorte di riformazione; la
quale, se ben da molti approvata, non piacque a tutto 'l clero, anzi la maggior
parte se gli oppose, e se ne fece capo Gropero, il qual prima l'aveva
consegliata e promossa. Fecero ufficio con l'arcivescovo che volesse desistere
et aspettare il concilio generale o almeno la dieta imperiale. Il che non
potendo ottenere, del 1543 appellarono al pontefice et a Cesare, come supremo
avvocato e protettore della Chiesa di Dio. L'arcivescovo publicò con una sua
scrittura che l'appellazione era frivola e che non poteva desistere da quello
che apparteneva alla gloria di Dio et emendazione della Chiesa, che egli non
aveva da fare né con luterani, né con altri, ma che guardava la dottrina
consenziente alla Sacra Scrittura. Proseguendo l'arcivescovo nella sua riforma
et instando il clero di Colonia in contrario, Cesare ricevette il clero nella
sua protezzione e citò l'arcivescovo, come s'è detto.
Di questo essendo andato aviso in Trento,
diede materia di passare l'ocio, almeno con raggionamenti. Si commossero molto
i legati, e tra i prelati che si ritrovavano, quei di qualche senso biasimavano
l'imperatore che si facesse giudice in causa di fede e di riforma; e la piú
dolce parola che dicevano era il procedere cesareo essere molto scandaloso:
comminciarono a conoscere di non esser stimati, e che lo star in ocio era
insieme un star in vilipendio del mondo. Perciò discorrevano essere costretti a
dichiararsi d'essere concilio legitimamente congregato, et a dare principio
all'opera di Dio, incomminciando le prime azzioni dal procedere contra
l'arcivescovo suddetto, contra l'elettore di Sassonia, contra il lantgravio
d'Assia et anco contra il re d'Inghilterra. Avevano concetto spiriti grandi, sí
che non parevano piú quei che pochi giorni prima si riputavano confinati in
prigione. Raffrenavano questo ardore i ministri del Magontino, considerando la
grandezza di quei prencipi e l'aderenza, et il pericolo di fargli restringere
col re d'Inghilterra, e metter un fuoco maggiore in Germania; et il cardinale
di Trento non parlava in altra forma. Ma i vescovi italiani, riputandosi da
molto se mettessero mano in soggetti eminenti, dicevano essere vero che tutto
'l mondo sarebbe stato attento ad un tal processo, nondimeno che tutta
l'importanza era principiarlo e fondarlo bene. S'incitavano l'un l'altro,
dicendo che bisognava resarcire parte della tardità passata con la celerità.
Che si dovesse domandar al papa qualche uomo di valore che facesse la
perorazione contra i rei, come fece Melchior Baldassino contra la Pragmatica
nel concilio lateranense, persuasi che il privare i prencipi delli Stati loro
non avesse altra difficoltà che di ben usare le formule de' processi. Ma i
legati, cosí per questa come per altra occorrenza, conobbero essere necessario
aver un tal dottore, e scrissero a Roma che fosse proveduto d'alcuno.
Il pontefice, intesa l'azzione
dell'imperatore, restò attonito e dubioso se dovesse querelarsi o tacere; il
querelarsi, non dovendo da ciò succedere effetto, lo giudicava non solo vano,
ma anco una publicazione del poco potere, e questo lo moveva grandemente. Ma
dall'altra parte ben pensato quanto importasse se egli avesse passato con
silenzio una cosa di tanto momento, deliberò di non fare parole, come a Trento,
ma venire a' fatti per rispondere poi all'imperatore, s'egli avesse parlato. E
però sotto il 18 luglio fece un'altra citazione contra l'istesso arcivescovo,
che in termine di 60 giorni dovesse comparire personalmente inanzi a lui. Citò
ancora il decano di Colonia e 5 altri canonici de' principali, lasciando in
disputa alle persone in che modo l'arcivescovo potesse comparire inanzi a doi
che lo citavano per la medesima causa in diversi luoghi, nel medesimo tempo, et
in che appartenesse all'onore di Cristo una disputa di competenza di foro. Ma
di questo, quello che succedesse e che termine avesse la causa si dirà al suo
luogo.
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