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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Cesare tenta di far condiscendere i protestanti a sottomettersi al concilio]
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[Cesare tenta di far condiscendere i protestanti a sottomettersi al concilio]

Tornando a quello che tocca piú prossimo il concilio, furono dall'imperatore fatti diversi tentativi nella dieta, acciò i protestanti condescendessero ad accordare gli aiuti contra i turchi, senza far menzione delle cause della religione: al che perseveravano rispondendo non potere fare risoluzione, se non gli era data sicurezza che la pace si dovesse conservare e che per la convocazione fatta in Trento sotto nome di concilio non s'intendesse venuto il caso della pace finita, secondo il decreto della dieta superiore, ma fosse dichiarato che la pace non potesse esser interrotta, né essi sforzati per qualonque decreti si facessero in Trento: perché a quel concilio non possono sottomettersi, dove il papa, che gli ha già condannati, ha intiero arbitrio. L'imperatore diceva non potergli dare pace che gli essenti dal concilio, all'autorità del quale tutti sono sottoposti; che non averebbe modo di scusarsi appresso agli altri re e prencipi, quando alla sola Germania si concedesse non ubedire al concilio, congregato principalmente per rispetto di lei. Ma se essi pretendevano aver causa, come dicevano, di non sottomettersi, andassero al concilio, rendessero le raggioni perché l'hanno in sospetto; che sarebbono ascoltati, e se allora gli fosse parso essergli fatto torto, averebbono potuto ricusarlo, non essendo pertinente il prevenire et insospettirsi di quello che non appare, e pretendere gravame di cose future, facendo giudicio di quello che ancora non si vede. A che replicavano non parlare di cose future, ma passate, essendo la loro religione stata già dannata e perseguitata dal pontefice e da tutti i suoi aderenti. Onde non avevano d'aspettare giudicio futuro, essendovi già il passato. Perilché esser giusta cosa che nel concilio il papa con aderenti suoi di Germania e d'ogni altra regione facessero una parte, et essi l'altra, e della difficultà circa il modo et ordine di procedere fossero giudici l'imperatore et i re e prencipi; ma quanto al merito della causa, la sola parola di Dio.

potero essere mai rimossi da questa risoluzione, ancorché l'ambasciatore di Francia, che era ivi presente, facesse instanza grandissima che acconsentissero al concilio con parole che tenevano del minaccievole, dettate a quell'ambasciatore, quando di Francia partí, da' ministri di quel re fautori del pontefice. Fu messo in campo da' cesarei di trasferire il concilio in Germania, sotto promessa dell'imperatore di far efficace opera che il pontefice vi condescendesse: la qual proposta fu dagli altri accettata sotto condizione che fosse stabilita la pace sin tanto che fosse quivi congregato. Ma Carlo, certo che il pontefice mai averebbe acconsentito, vidde che questo era un dargli pace perpetua, e però meglio era lasciare le cose in sospeso, concedendola solo fin ad un'altra dieta, vedendosi costretto per non avere ancora concluso la tregua co' turchi e stimando piú quella guerra, e pensando che per occasioni d'un colloquio si sarebbono offerti altri mezi raggionevoli all'avvenire per costringerli di nuovo che acconsentissero al concilio di Trento, e, recusando, avergli per contumaci e fargli la guerra. Perilché finalmente a' 4 d'agosto mise fine alla dieta, ordinandone una per il mese di genaro seguente in Ratisbona, dove i prencipi intervenissero in persona, et instituendo un colloquio sopra le cause della religione, di 4 dottori e 2 giudici per parte, il qual s'incomminciasse al decembre, acciò la materia fosse digesta inanzi la dieta; confermando e rinovando i passati editti di pace, et ordinando il modo di pagare le contribuzioni per la guerra. Come il colloquio procedesse nel suo luogo si dirà.

Partiti i protestanti da Vormazia, diedero fuori un libro dove dicevano in somma che non avevano il tridentino per concilio, come non congregato in Germania, secondo le promesse di Adriano e dell'imperatore; al che avendo mostrato di sodisfare con eleggere Trento, era un farsi beffe di tutto 'l mondo, non potendosi dire Trento in Germania, se non perché il vescovo è prencipe dell'Imperio: ma per quello che tocca alla sicurtà, essere cosí ben in Italia et in potere del pontefice, come Roma medesima; e maggiormente non averlo per legitimo, perché papa Paolo voleva presedere in quello e proponere per i legati, perché i giudici a lui erano obligati con giuramento; che essendo contra il papa la lite instituita, non doveva egli essere giudice; che bisognava trattare prima della forma del concilio che delle autorità sopra quali si doveva fare fondamento.

Ma ugualmente in Trento, come a Roma dispiacque sopra modo la resoluzione dell'imperatore, cosí perché un prencipe secolare s'introme[tte]sse in cause di religione, come perché gli pareva esser essautorato il concilio, poiché essendo quello imminente, si dava ordine di trattare altrove le cause della religione. I prelati che in Trento si ritrovavano quasi con una sola bocca biasimavano il decreto, dicendo essere peggio che quello di Spira, e maravigliandosi come il pontefice, che contra quello si era mostrato cosí vivo, avesse tolerato e tolerasse questo, dopo che era inditto e già congregato il concilio. Cavavano da questo manifesto indizio che lo star loro in Trento era una cosa vana e disonorevole: s'ingegnavano i legati quanto potevano di consolargli e persuadergli che tutto era stato permesso da Sua Santità a buon fine. Ma essi replicavano che a qualonque fine sia permesso e qualonque cosa ne segua, non si torrà mai la nota fatta non solo al pontefice e Sede apostolica, ma al concilio et a tutta la Chiesa; né potevano i legati resistere alle loro querele, le quali poi terminavano tutte in domandar licenza di partire, alcuni allegando necessarii et importanti loro affari, altri per ritirarsi in alcune delle città vicine per infermità o indisposizione. E se ben i legati non concedevano licenza a nissuno, alcuni alla giornata se l'andavano prendendo, che inanzi il fine del mese di settembre restarono pochissimi. Ma in Roma, se ben per la negoziazione del cardinale Farnese si prevedeva che cosí dovesse essere, nondimeno, dopo succeduto, si comminciò a pensarci con maggior accuratezza: si consideravano i fini dell'imperatore molto differenti da quello che era l'intenzione del pontefice: perché Cesare, col tenere le cose cosí in sospeso, faceva molto ben il fatto suo con la Germania, dando speranza a protestanti che, se fosse compiacciuto, non averebbe lasciato aprire il concilio, e mettendogli anco in timore che, non compiacciuto l'averebbe aperto e lasciato procedere contra di loro. Per il che faceva nascere sempre nuovi emergenti che tenessero le cose in sospeso, trasportando dolcemente il tempo sotto diversi colori, et alle volte proponendo anco che fosse meglio trasferirlo altrove, dando anco speranza di contentarsi che si transferisse in Italia et anco a Roma, accioché piú facilmente il papa et i prelati italiani porgessero orrecchie alla proposta e tirassero il concilio in longo.

 

 




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