[Cesare tenta di far condiscendere i
protestanti a sottomettersi al concilio]
Tornando a quello che tocca piú prossimo
il concilio, furono dall'imperatore fatti diversi tentativi nella dieta, acciò
i protestanti condescendessero ad accordare gli aiuti contra i turchi, senza
far menzione delle cause della religione: al che perseveravano rispondendo non
potere fare risoluzione, se non gli era data sicurezza che la pace si dovesse
conservare e che per la convocazione fatta in Trento sotto nome di concilio non
s'intendesse venuto il caso della pace finita, secondo il decreto della dieta
superiore, ma fosse dichiarato che la pace non potesse esser interrotta, né
essi sforzati per qualonque decreti si facessero in Trento: perché a quel
concilio non possono sottomettersi, dove il papa, che gli ha già condannati, ha
intiero arbitrio. L'imperatore diceva non potergli dare pace che gli essenti
dal concilio, all'autorità del quale tutti sono sottoposti; che non averebbe
modo di scusarsi appresso agli altri re e prencipi, quando alla sola Germania
si concedesse non ubedire al concilio, congregato principalmente per rispetto
di lei. Ma se essi pretendevano aver causa, come dicevano, di non
sottomettersi, andassero al concilio, rendessero le raggioni perché l'hanno in
sospetto; che sarebbono ascoltati, e se allora gli fosse parso essergli fatto
torto, averebbono potuto ricusarlo, non essendo pertinente il prevenire et
insospettirsi di quello che non appare, e pretendere gravame di cose future,
facendo giudicio di quello che ancora non si vede. A che replicavano non
parlare di cose future, ma passate, essendo la loro religione stata già dannata
e perseguitata dal pontefice e da tutti i suoi aderenti. Onde non avevano
d'aspettare giudicio futuro, essendovi già il passato. Perilché esser giusta
cosa che nel concilio il papa con aderenti suoi di Germania e d'ogni altra
regione facessero una parte, et essi l'altra, e della difficultà circa il modo
et ordine di procedere fossero giudici l'imperatore et i re e prencipi; ma
quanto al merito della causa, la sola parola di Dio.
Né potero essere mai rimossi da questa
risoluzione, ancorché l'ambasciatore di Francia, che era ivi presente, facesse
instanza grandissima che acconsentissero al concilio con parole che tenevano
del minaccievole, dettate a quell'ambasciatore, quando di Francia partí, da'
ministri di quel re fautori del pontefice. Fu messo in campo da' cesarei di
trasferire il concilio in Germania, sotto promessa dell'imperatore di far
efficace opera che il pontefice vi condescendesse: la qual proposta fu dagli
altri accettata sotto condizione che fosse stabilita la pace sin tanto che
fosse quivi congregato. Ma Carlo, certo che il pontefice mai averebbe
acconsentito, vidde che questo era un dargli pace perpetua, e però meglio era
lasciare le cose in sospeso, concedendola solo fin ad un'altra dieta, vedendosi
costretto per non avere ancora concluso la tregua co' turchi e stimando piú
quella guerra, e pensando che per occasioni d'un colloquio si sarebbono offerti
altri mezi raggionevoli all'avvenire per costringerli di nuovo che
acconsentissero al concilio di Trento, e, recusando, avergli per contumaci e
fargli la guerra. Perilché finalmente a' 4 d'agosto mise fine alla dieta,
ordinandone una per il mese di genaro seguente in Ratisbona, dove i prencipi
intervenissero in persona, et instituendo un colloquio sopra le cause della
religione, di 4 dottori e 2 giudici per parte, il qual s'incomminciasse al
decembre, acciò la materia fosse digesta inanzi la dieta; confermando e
rinovando i passati editti di pace, et ordinando il modo di pagare le
contribuzioni per la guerra. Come il colloquio procedesse nel suo luogo si
dirà.
Partiti i protestanti da Vormazia, diedero
fuori un libro dove dicevano in somma che non avevano il tridentino per
concilio, come non congregato in Germania, secondo le promesse di Adriano e
dell'imperatore; al che avendo mostrato di sodisfare con eleggere Trento, era
un farsi beffe di tutto 'l mondo, non potendosi dire Trento in Germania, se non
perché il vescovo è prencipe dell'Imperio: ma per quello che tocca alla
sicurtà, essere cosí ben in Italia et in potere del pontefice, come Roma
medesima; e maggiormente non averlo per legitimo, perché papa Paolo voleva
presedere in quello e proponere per i legati, perché i giudici a lui erano obligati
con giuramento; che essendo contra il papa la lite instituita, non doveva egli
essere giudice; che bisognava trattare prima della forma del concilio che delle
autorità sopra quali si doveva fare fondamento.
Ma ugualmente in Trento, come a Roma dispiacque
sopra modo la resoluzione dell'imperatore, cosí perché un prencipe secolare
s'introme[tte]sse in cause di religione, come perché gli pareva esser
essautorato il concilio, poiché essendo quello imminente, si dava ordine di
trattare altrove le cause della religione. I prelati che in Trento si
ritrovavano quasi con una sola bocca biasimavano il decreto, dicendo essere
peggio che quello di Spira, e maravigliandosi come il pontefice, che contra
quello si era mostrato cosí vivo, avesse tolerato e tolerasse questo, dopo che
era inditto e già congregato il concilio. Cavavano da questo manifesto indizio
che lo star loro in Trento era una cosa vana e disonorevole: s'ingegnavano i
legati quanto potevano di consolargli e persuadergli che tutto era stato
permesso da Sua Santità a buon fine. Ma essi replicavano che a qualonque fine
sia permesso e qualonque cosa ne segua, non si torrà mai la nota fatta non solo
al pontefice e Sede apostolica, ma al concilio et a tutta la Chiesa; né
potevano i legati resistere alle loro querele, le quali poi terminavano tutte
in domandar licenza di partire, alcuni allegando necessarii et importanti loro
affari, altri per ritirarsi in alcune delle città vicine per infermità o
indisposizione. E se ben i legati non concedevano licenza a nissuno, alcuni
alla giornata se l'andavano prendendo, sí che inanzi il fine del mese di
settembre restarono pochissimi. Ma in Roma, se ben per la negoziazione del
cardinale Farnese si prevedeva che cosí dovesse essere, nondimeno, dopo
succeduto, si comminciò a pensarci con maggior accuratezza: si consideravano i
fini dell'imperatore molto differenti da quello che era l'intenzione del
pontefice: perché Cesare, col tenere le cose cosí in sospeso, faceva molto ben
il fatto suo con la Germania, dando speranza a protestanti che, se fosse
compiacciuto, non averebbe lasciato aprire il concilio, e mettendogli anco in
timore che, non compiacciuto l'averebbe aperto e lasciato procedere contra di
loro. Per il che faceva nascere sempre nuovi emergenti che tenessero le cose in
sospeso, trasportando dolcemente il tempo sotto diversi colori, et alle volte
proponendo anco che fosse meglio trasferirlo altrove, dando anco speranza di
contentarsi che si transferisse in Italia et anco a Roma, accioché piú
facilmente il papa et i prelati italiani porgessero orrecchie alla proposta e
tirassero il concilio in longo.
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