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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il papa si risolve d'aprire il concilio]
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[Il papa si risolve d'aprire il concilio]

Questa negoziazione s'incaminò con varie difficoltà, perché l'imperatore era risoluto di non consentire né a suspensione, né a translazione, né parendogli utile a' suoi fini l'apertura, non negava assolutamente alcuna delle proposte, né avendo altro partito non sapeva che altro fare se non interporre difficoltà alle tre proposte. Finalmente nel mezo d'ottobre trovò temperamento che il concilio si aprisse e trattasse della riformazione, soprasedendo dalla trattazione delle eresie e de' dogmi, per non irritar i protestanti. Il pontefice, avisato per lettere del noncio, fu toccato nel intimo del cuore; vedeva chiaro che questo era dare la vittoria in mano a' luterani e spogliare lui di tutta l'autorità, facendolo dependere da' colloqui e diete imperiali, con ordinare in quelle trattazioni di religione e vietarle al concilio, et indebolirlo con alienargli i suoi per via di riforma, e fortificare i luterani col sopportare o non condannare l'eresie loro. E certificato in se stesso che gli interessi suoi e quei di Cesare, per la contrarietà, non potevano unirsi, deliberò tenergli i suoi fini occolti et operare come metteva conto alle cose sue: però, senza mostrar alcuna displicenza della risposta, replicò immediate al Caserta che, per compiacere a Sua Maestà, deliberava d'aprir il concilio senza interposizione di tempo, commandando che si dasse principio agl'atti conciliari, procedendo tutti con piena libertà e con debito modo et ordine. Il che disse il pontefice cosí con parole generali, per non esprimersi quali cose dovessero essere prima o dopo proposte e trattate o lasciate in tutto; essendo risoluto che le cose della religione e de' dogmi fossero principalmente trattate senza addur altra raggione, quando fosse costretto dirne alcuna, se non che il trattare della riforma sola era una cosa mai piú usata, contraria alla riputazione sua e del concilio. Perilché l'ultimo d'ottobre, avendo communicato il tutto co' cardinali, di loro conseglio e parere stabilí e scrisse anco a Trento che il concilio dovesse esser aperto per la futura domenica, Gaudete dell'avvento, la qual doveva esser a' 13 decembre.

Arrivata la nuova, i prelati mostrarono grandissima allegrezza, vedendo d'essere liberati dal pericolo che gli pareva soprastare di rimanere in Trento longamente e senza operare cosa alcuna. Ma poco dopo tornarono in campo le ambiguità, perché arrivarono lettere dal re di Francia a' suoi prelati, che erano tre, di dovere partire. A' legati ciò parve cosa importantissima, essendo come una dichiarazione che la Francia et il re non approvassero il concilio. Tentarono ogni prattica per impedire quella partita; dicevano a' tre prelati che quell'ordine era dato dal re in un altro stato di cose e che bisognava aspettarne un altro nuovo da Sua Maestà, poiché avesse inteso il presente, raccordando lo scandalo che ne sarebbe successo altrimente facendo e l'offesa che averebbono ricevuto le altre nazioni. Il cardinal di Trento ancora et i prelati spagnuoli et italiani protestavano che non fossero lasciati partire; perilché finalmente presero temperamento che solo monsignore di Renes partisse per dare conto al re, e gli altri doi rimanessero, il che, quando fu saputo dal re, fu anco lodato.

L'ultimo di novembre, avicinandosi il tempo prefisso all'apertura, scrissero i legati a Roma che, per conservare l'autorità della Sede apostolica, conveniva nell'aprirlo leggere e registrare una bolla che lo commandasse, e spedirono in diligenza acciò potesse venir a tempo. Arrivò la risposta con la bolla alli 11 decembre, per il che il giorno seguente i legati commandarono un digiuno e processione per quel , e fecero una congregazione de tutti i prelati, dove prima fu letta la sopranominata bolla e poi trattato di tutto quello che si aveva da fare il seguente nella sessione. Il vescovo di Estorga con dolcissima maniera propose che fosse necessario legger in congregazione il breve della legazione e presidenza, acciò fosse una professione dell'obedienza e soggezzione di tutti loro alla Sede apostolica. La quale richiesta fu approvata da quasi tutta la congregazione, anco con instanza particolare di ciascuno. Ma il legato Santa Croce, considerando dove poteva la dimanda capitare e che il publicare l'autorità della presidenza sarebbe stato con pericolo che fosse limitata, riputando meglio, con tenerla secreta, poterla usare come gli accidenti comportassero, rispose prontamente che nel concilio tutti erano un solo corpo e che tanto sarebbe stato necessario leggere le bolle di ciascun vescovo, per mostrare che egli era tale et instituito dalla Sede apostolica, che sarebbe cosa longa, e per quelli che veniranno alla giornata occuperebbe tutte le congregazioni; e con questo mise fine all'instanza e ritenne la degnità della legazione che consisteva in esser illimitata.

 

 




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