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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Si fa l'apertura del concilio con preghiere e ceremonie]
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[Si fa l'apertura del concilio con preghiere e ceremonie]

Venne finalmente il 13 di decembre, quando in Roma il papa publicò una bolla di giubileo, dove narrava aver intimato il concilio per sanare le piaghe causate nella Chiesa dagli empi eretici. Perilché essortava ogniuno ad aiutare i padri congregati in esso con le loro preghiere appresso Dio; il che per fare piú efficacemente e fruttuosamente, dovessero confessarsi e digiunare tre , e ne' medesimi intervenire alle processioni e poi ricevere il santissimo sacramento, concedendo perdono di tutti i peccati a chi cosí facesse. E l'istesso giorno in Trento i legati con tutti i prelati, che erano in numero 25, in abito pontificale, accompagnati da' teologi, dal clero e dal popolo forestiero e della città, fecero una solenne processione dalla chiesa Trinità alla catedrale: dove gionti, il Monte, primo legato, cantò la messa dello Spirito Santo, nella quale fu fatto un longo sermone dal vescovo di Bitonto con molta eloquenza; e quella finita fecero legger i legati un'ammonizione de scritto molto longa, la somma della quale era essere carico loro nel corso del concilio ammonire i prelati in ogni occorrenza; era giusto dare principio in quella prima sessione, intendendo però di fare tanto quell'ammonizione, quanto tutte le altre a se stessi ancora, come dell'istessa condizione con loro; che il concilio era congregato per tre cause, per estirpazione dell'eresia, restituzione della disciplina ecclesiastica e recuperazione della pace. Per esseguire le quali cose, prima conveniva aver un vero et intimo senso d'essere stati causa di tutte tre quelle calamità. Dell'eresie, non per averle suscitate, ma non avendo fatto il debito in seminare buona dottrina e sradicare la zizania. De' corrotti costumi non essere bisogno fare menzione, essendo manifesta cosa che il clero et i pastori soli erano et i corrotti, et i corrottori. Per le qual cause anco, Iddio aveva mandato la terza piaga, che era la guerra cosí esterna de' turchi, come civile tra i cristiani. Che senza questa interna e vera recognizione, invano entravano in concilio, in vano averebbono invocato lo Santo Spirito. Essere giusto il giudicio di Dio che gli castigava fattamente, però con pena minor del merito. Perilché essortavano ogni uno a conoscere i suoi falli, a mitigare l'ira di Dio, replicando che non sarebbe venuto lo Spirito Santo da loro invocato, se ricusassero udir i proprii peccati et ad essempio di Esdra, Neemia e Daniele confessargli; et aggiongendo essere gran beneficio divino l'occasione di principiare il concilio per restaurare ogni cosa. E se ben non mancheranno oppugnatori, nondimeno essere loro carico operare con costanza e come giudici guardarsi dagli affetti et attendere alla sola gloria divina, dovendo fare questo ufficio inanzi Dio, gli angeli e tutta la Chiesa. Ammonirono in fine i vescovi mandati da' prencipi a far il servizio de' loro signori, con fede e diligenza; preponendo però la riverenza divina ad ogni altra cosa. Dopo questa fu letta la bolla dell'intimazione del concilio del 1542 et un breve della semplice deputazione de' legati, con la bolla dell'apertura del concilio letta in congregazione, et immediate si fece inanzi Alfonso Zorilla, secretario di don Diego, e riprodusse il mandato dell'imperatore, già presentato a' legati, aggiongendo una lettera di don Diego, nella quale scusava l'assenzia sua per indisposizione. Da' legati fu risposto quanto all'escusazione, che era ben degna d'essere admessa; quanto al mandato dissero che, se ben potevano insistere nella risposta fatta al sopradetto tempo, nondimeno gli piaceva, per maggior riverenza, riceverlo di nuovo et essaminarlo, dovendo poi darne risposta.

Le qual cose fatte secondo il rito del ceremoniale romano, s'inginocchiarono tutti a fare l'orazione con voce sommessa, accostumata in tutte le sessioni, e poi la publica: «Adsumus, Domine, ecc., Sancti Spiritus», ecc., che il presidente dice ad alta voce in nome di tutti, e cantate le letanie, dal diacono fu letto l'Evangelio: «Si peccaverit in te frater tuus», e finalmente cantato l'imno: «Veni, creator Spiritus», e sentati tutti a' proprii luoghi, il cardinal del Monte con la propria voce pronunciò il decreto, per parole interrogative; leggendo se piaceva a' padri, a laude di Dio, estirpazione dell'eresie, riformazione del clero e popolo, depressione degli inimici del nome cristiano, determinare e dicchiarare che il sacro tridentino e general concilio incomminciasse e fosse incomminciato: al che tutti risposero, prima i legati, poi i vescovi et altri padri per la parola: «placet». Soggionse poi se, attesi gli impedimenti che dovevano portare le feste dell'anno vecchio e nuovo, gli piaceva che la sequente sessione si facesse a' 7 di gennaro, e risposero parimente che gli piaceva. Il che fatto, Ercole Severalo, promotor del concilio, fece instanza a' notarii che del tutto facessero instromento. Si cantò l'inno: «Te Deum laudamus», et i padri, spogliati gli abiti pontificali e vestiti i communi, accompagnarono i legati, precedendo inanzi loro la croce. Le qual ceremonie essendo state usate nelle seguenti sessioni similmente, non si replicaranno piú.

 

 




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