[Si fa l'apertura del concilio con
preghiere e ceremonie]
Venne finalmente il 13 di decembre, quando
in Roma il papa publicò una bolla di giubileo, dove narrava aver intimato il
concilio per sanare le piaghe causate nella Chiesa dagli empi eretici. Perilché
essortava ogniuno ad aiutare i padri congregati in esso con le loro preghiere
appresso Dio; il che per fare piú efficacemente e fruttuosamente, dovessero
confessarsi e digiunare tre dí, e ne' medesimi intervenire alle processioni e
poi ricevere il santissimo sacramento, concedendo perdono di tutti i peccati a
chi cosí facesse. E l'istesso giorno in Trento i legati con tutti i prelati,
che erano in numero 25, in abito pontificale, accompagnati da' teologi, dal
clero e dal popolo forestiero e della città, fecero una solenne processione
dalla chiesa Trinità alla catedrale: dove gionti, il Monte, primo legato, cantò
la messa dello Spirito Santo, nella quale fu fatto un longo sermone dal vescovo
di Bitonto con molta eloquenza; e quella finita fecero legger i legati
un'ammonizione de scritto molto longa, la somma della quale era essere carico
loro nel corso del concilio ammonire i prelati in ogni occorrenza; era giusto
dare principio in quella prima sessione, intendendo però di fare tanto
quell'ammonizione, quanto tutte le altre a se stessi ancora, come dell'istessa
condizione con loro; che il concilio era congregato per tre cause, per
estirpazione dell'eresia, restituzione della disciplina ecclesiastica e
recuperazione della pace. Per esseguire le quali cose, prima conveniva aver un
vero et intimo senso d'essere stati causa di tutte tre quelle calamità.
Dell'eresie, non per averle suscitate, ma non avendo fatto il debito in
seminare buona dottrina e sradicare la zizania. De' corrotti costumi non essere
bisogno fare menzione, essendo manifesta cosa che il clero et i pastori soli
erano et i corrotti, et i corrottori. Per le qual cause anco, Iddio aveva
mandato la terza piaga, che era la guerra cosí esterna de' turchi, come civile
tra i cristiani. Che senza questa interna e vera recognizione, invano entravano
in concilio, in vano averebbono invocato lo Santo Spirito. Essere giusto il
giudicio di Dio che gli castigava sí fattamente, però con pena minor del
merito. Perilché essortavano ogni uno a conoscere i suoi falli, a mitigare
l'ira di Dio, replicando che non sarebbe venuto lo Spirito Santo da loro
invocato, se ricusassero udir i proprii peccati et ad essempio di Esdra, Neemia
e Daniele confessargli; et aggiongendo essere gran beneficio divino l'occasione
di principiare il concilio per restaurare ogni cosa. E se ben non mancheranno
oppugnatori, nondimeno essere loro carico operare con costanza e come giudici
guardarsi dagli affetti et attendere alla sola gloria divina, dovendo fare
questo ufficio inanzi Dio, gli angeli e tutta la Chiesa. Ammonirono in fine i
vescovi mandati da' prencipi a far il servizio de' loro signori, con fede e
diligenza; preponendo però la riverenza divina ad ogni altra cosa. Dopo questa
fu letta la bolla dell'intimazione del concilio del 1542 et un breve della
semplice deputazione de' legati, con la bolla dell'apertura del concilio letta
in congregazione, et immediate si fece inanzi Alfonso Zorilla, secretario di
don Diego, e riprodusse il mandato dell'imperatore, già presentato a' legati,
aggiongendo una lettera di don Diego, nella quale scusava l'assenzia sua per
indisposizione. Da' legati fu risposto quanto all'escusazione, che era ben
degna d'essere admessa; quanto al mandato dissero che, se ben potevano
insistere nella risposta fatta al sopradetto tempo, nondimeno gli piaceva, per
maggior riverenza, riceverlo di nuovo et essaminarlo, dovendo poi darne
risposta.
Le qual cose fatte secondo il rito del
ceremoniale romano, s'inginocchiarono tutti a fare l'orazione con voce
sommessa, accostumata in tutte le sessioni, e poi la publica: «Adsumus, Domine,
ecc., Sancti Spiritus», ecc., che il presidente dice ad alta voce in nome di
tutti, e cantate le letanie, dal diacono fu letto l'Evangelio: «Si peccaverit
in te frater tuus», e finalmente cantato l'imno: «Veni, creator Spiritus», e
sentati tutti a' proprii luoghi, il cardinal del Monte con la propria voce
pronunciò il decreto, per parole interrogative; leggendo se piaceva a' padri, a
laude di Dio, estirpazione dell'eresie, riformazione del clero e popolo,
depressione degli inimici del nome cristiano, determinare e dicchiarare che il
sacro tridentino e general concilio incomminciasse e fosse incomminciato: al
che tutti risposero, prima i legati, poi i vescovi et altri padri per la
parola: «placet». Soggionse poi se, attesi gli impedimenti che dovevano portare
le feste dell'anno vecchio e nuovo, gli piaceva che la sequente sessione si
facesse a' 7 di gennaro, e risposero parimente che gli piaceva. Il che fatto,
Ercole Severalo, promotor del concilio, fece instanza a' notarii che del tutto
facessero instromento. Si cantò l'inno: «Te Deum laudamus», et i padri,
spogliati gli abiti pontificali e vestiti i communi, accompagnarono i legati,
precedendo inanzi loro la croce. Le qual ceremonie essendo state usate nelle
seguenti sessioni similmente, non si replicaranno piú.
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