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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Sommario del sermone del Bitonto et i giudizii del mondo]
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[Sommario del sermone del Bitonto et i giudizii del mondo]

Stavano la Germania et Italia in gran curiosità d'intendere le prime azzioni di questo consesso con tante difficoltà principiato, et i prelati et i loro famigliari, che si ritrovavano in Trento, incaricati dagli amici d'avisarnegli. Perilché immediate dopo la sessione fu mandato per tutto copia dell'ammonizione de' legati e dell'orazione del Bitonto, le quali furono anco presto poste in stampa. De quali per narrare ciò che fosse detto communemente è necessario prima riferire in sommario il contenuto dell'orazione. Quella ebbe principio dal mostrare la necessità di concilio, per essere passati 100 anni dopo la celebrazione del fiorentino, e perché le cose ardue e difficili, alla Chiesa spettanti, non si possono ben trattare se non in quello. Perché ne' concilii sono stati fatti i simboli, dannate l'eresie, emendati i costumi, unite le nazioni cristiane, mandato gente all'acquisto di Terra Santa, deposti re et imperatori et estirpati i schismi. E che per ciò i poeti introducono i concilii de' dei. E Moisè scrive che furono voci conciliari il decreto di fare l'uomo e di confondere le lingue de' giganti. Che la religione ha 3 capi: dottrina, sacramenti e carità, che tutti tre chiamano concilio. Narrò le corruttele entrate in tutti questi tre, per restituire i quali il papa, col favore del imperatore, de' re di Francia, de' Romani e di Portugallo, e di tutti i principi cristiani, ha ridotta la sinodo e mandato i legati. Fece digressione longhissima in lode del papa; un'altra poco piú breve in commendazione dell'imperatore, lodò poi i tre legati, traendo le commendazioni dal nome e cognome di ciascuno d'essi; soggionse che, essendo il concilio congregato, tutti dovevano adunarsi a quello, come al caval di Troia. Invitò i boschi di Trento a risuonare per tutto 'l mondo che tutti si sottomettino a quel concilio; il che se non faranno, si dirà con raggione che la luce del papa è venuta al mondo e gli uomini hanno amato piú le tenebre che la luce. Si dolse che l'imperatore non fosse presente, o almeno Diego che lo rappresentava. Si congratulò col cardinale Madruccio che nella sua città il papa avesse congregato i padri dispersi et erranti. Si voltò a' prelati e disse che aprire le porte del concilio è aprire quelle del paradiso, di donde debbia descendere l'acqua viva per empire la terra della scienza del Signore. Essortò i padri ad emendarsi et aprire il cuore come terra arida per riceverla; soggiongendo che, se non lo faranno, lo Spirito Santo nondimeno aprirà loro la bocca, come quella di Caiphas e di Balaam, acciò fallando il concilio, non falli la Chiesa santa, restando però le menti loro ripiene di spirito cattivo. Gli essortò a deponere tutti gli affetti, per poter degnamente dire: «È parso allo Spirito Santo et a noi». Invitò la Grecia, Francia, Spagna et Italia e tutte le nazioni cristiane alle nozze. In fine si voltò a Cristo, pregandolo per l'intercessione di san Vigilio, tutelar della valle di Trento, ad assistere a quel concilio.

L'ammonizione de' legati fu stimata pia, cristiana e modesta e degna de' cardinali; ma il sermone del vescovo fu giudicato molto differente; la vanità et ostentazione d'eloquenzia era notata da tutti: ma le persone intelligenti comparavano come sentenzia santa ad una empia quelle ingenue e verissime parole de' legati che, senza una buona recognizione interna, invano s'invocarebbe lo Spirito Santo, col detto del vescovo tutto contrario, che senza di quella anco sarebbe dallo Spirito Santo aperta la bocca, restando il cuore pieno di spirito cattivo. Era stimata arroganzia l'affirmare che errando quei pochi prelati, la Chiesa tutta dovesse fallare; quasi che altri concilii di 700 vescovi non abbiano errato, ricusando la Chiesa di ricevere la loro dottrina. Aggiongevano altri questo non esser conforme alla dottrina de' ponteficii, che non concedono infallibilità, se non al papa et al concilio per virtú della conferma papale. Ma l'avere comparato il concilio al caval di Troia, che fu machina insidiosa, era notato d'imprudenza e ripreso d'irreverenza. L'avere ritorto le parole della Scrittura, che Cristo e la dottrina sua, luce del Padre, è venuto al mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, facendo che il concilio o sua dottrina sia luce del papa aparsa al mondo, che se non fosse ricevuta, si dovesse dire: gli uomini hanno amato piú le tenebre che la luce, era stimata una biastema, e si desiderava almeno non fossero prese le parole formali della divina Scrittura per non mostrare cosí apertamente di vilipenderla.

 

 




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