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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Si tratta del sigillo e dell'ordine de' dogmi. Artificio de' legati per poter aspettar da Roma la risposta]
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[Si tratta del sigillo e dell'ordine de' dogmi. Artificio de' legati per poter aspettar da Roma la risposta]

La congregazione seguente si consumò nel leggere le molte lettere formate e nel disputare del sigillo con che serrarle; proponendo alcuni che fossero sigillate in piombo con bolla propria della sinodo, nella quale chi voleva che da una parte fosse impressa l'imagine dello Spirito Santo in forma di colomba, dall'altra il nome della sinodo, e chi raccordava altre forme, che tutte tenevano del specioso. Ma i legati, che avevano altro ordine da Roma, lasciato disputar i padri sopra questo, divertirono la proposta con dire che aveva del fastoso e che protraeva il tempo, perché averebbe convenuto mandare a Venezia per farne la forma, non essendo in Trento artefice sufficiente per un'opera tale; soggiongendo che s'averebbe pensato meglio dopo, e che era necessario spedire le lettere allora, che si poteva fare col nome e sigillo del primo legato; il rimanente fu rimesso alla seguente congregazione.

Nella quale parlandosi sopra i doi ponti già proposti, per il primo essendo due openioni: una, che il decreto fosse formato e publicato, l'altra, che non era ben l'obbligarsi con decreto, ma conservarsi in libertà per potere deliberare secondo le opportunità, si prese la via di mezo di fare menzione solamente, che la sinodo era congregata principalmente per quelle due cause, senza passar piú inanzi; ma quanto al secondo ponto, sentiva la maggior parte che, essendo congregati per dannare l'eresia luterana, conveniva seguire l'ordine della loro confessione; al qual parere fu da altri contradetto, perché sarebbe un seguire li colloqui tenuti in Germania, che era un abbassare la dignità del concilio, e perché, essendo li primi di doi capi della confessione augustana l'uno della Trinità, l'altro dell'Incarnazione, ne' quali vi era concordia in sostanza, ma espressi con nuovo modo et inusitato nelle scuole, quando fossero approvati quelli, se gli sarebbe dato riputazione e fatto pregiudicio al condannar li seguenti; quando s'avesse voluto, non approvandogli, né dannandogli, parlarne non con i termini di quella confessione, ma con i scolastici o con altri, portava pericolo d'introdurre nove dispute e novi scismi. A' legati, che non miravano se non di portar il tempo inanzi, piaceva sentire le difficoltà e studiosamente le nodrivano, dando destramente fomento ora all'uno, ora all'altro.

Avvicinandosi il tempo prefisso per la sessione e non avendo ricevuto da Roma instruzzione, si ritrovarono i legati in molta perplessità. Il passare quella sessione in ceremonie come la precedente pareva un perder tutta la riputazione; il dar mano ad alcuna materia era giudicato cosa pericolosa, non avendo ancora prefisso il scopo dove mirare. Quello che pareva portare manco rischio era formar un decreto sopra la risoluzione presa nella congregazione di trattar insieme la materia della fede con quella della riforma: a che si opponeva che era un obligarsi et anco un determinare cosa quasi indecisa dal pontefice nella convocazione. In questa ambiguità era proposto che si passasse con un decreto dilatorio sotto pretesto che molti prelati erano in viaggio e s'aspettavano di corto. Il cardinale Polo messe in considerazione che, essendosi in tutti gli antichi concilii publicato un simbolo di fede, si dovesse in quella sessione fare l'istesso, publicando quello della Chiesa romana. Fu in fine deliberato di formar il decreto con titolo semplice et in quello fare menzione di dovere trattare della religione e della riforma, ma tanto in generale che si potesse accommodare ad ogni opportunità, e recitar il simbolo, e passarsela, facendo un altro decreto di rimettere le materie all'altra sessione, allegando per causa l'essere molti prelati in procinto et alcuni in viaggio; e per non essere ridotti piú in tal angustie allongar il termine della seguente il piú inanzi che si poteva, non differendola però dopo Pasca.

Quello formato, fu communicato a' prelati piú confidenti; fra quali il vescovo di Bitonto considerò che il fare una sessione per recitar il simbolo già 1200 anni stabilito e continuamente creduto et al presente da tutti accettato intieramente, potrà esser ricevuto dagli emuli con irrisione e dagli altri con sinistra interpretazione; che non si può dire di seguire in ciò l'essempio de' padri, perché essi overo hanno composto simboli contra l'eresie che condannavano, overo replicati gli anteriori contra eresie già condannate per dargli autorità maggiore, aggiontavi qualche cosa per dicchiarazione, overo per ritornarlo in memoria, et assicurarlo contra l'oblivione; ma allora non si componeva simbolo novo, non vi s'aggiongeva dicchiarazione; il dargli maggior autorità non essere cosa da loro, né da quel secolo; il rammemorarlo, recitandosi almeno ogni settimana in tutte le chiese et essendo in memoria recente d'ogni uomo, essere cosa superflua et affettata. Che col simbolo fossero convinti gli eretici esser vero di quelli che erravano contra esso; però non potersi far cosí contra i luterani, che lo credono come i catolici. Se dopo l'aver fatto questo apparato, mai sarà usato il simbolo a questo effetto, s'interpreterà l'azzione come fatta non per altro che per tratenere e dare pasto, non avendo ardire di toccar i dogmi, né volendo dare mano alla riforma. Consegliò che fosse meglio mettere dilazione, attesa l'aspettazione de' prelati, e con quella passare la sessione.

Il vescovo di Chioza vi aggionse che, anzi, le raggioni addotte nel decreto potrebbono essere dagli eretici adoperate a proprio favore con dire che, se il simbolo può servire a convertire gli infedeli, espugnare eretici, confermare fedeli, non si debbe costringergli a credere altra cosa fuori di quelle. Queste raggioni non furono giudicate da' legati cosí efficaci come la contraria, che il non far decreto fosse con perdita della riputazione; perilché, risoluti a questa parte et accommodate meglio alcune parole, secondo gli avvertimenti de' prelati, proposero il decreto nella congregazione del I di febraro: sopra il quale furono dette varie cose e, se ben fu approvato dalla maggior parte, nondimeno con poco gusto, nel partire della congregazione, alcuni de' prelati, raggionando l'un all'altro, ebbero a dire: «Si dirà che con negozio di 20 anni si ha concluso di ridursi per udire a recitar il Credo».

 

 




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