[Il papa scrive a' legati e consente che
s'entri in materia. È preso a soggetto la Sacra Scrittura]
Sopra la lettera da Trento scritta ebbe il
pontefice molta considerazione, dall'uno canto ponderando gli inconvenienti che
sarebbono seguiti tenendo, come diceva, il concilio su le ancore, con mala
sodisfazzione di quei vescovi che ivi erano, et il male che poteva nascere
quando s'incomminciasse riforma; in fine, vedendo ben che era necessario
rimettere qualche cosa alla ventura e che la prudenzia non consegliava se non
evitar il male maggiore, risolvé di riscrivere a Trento che, secondo il
raccordo loro, incaminassero l'azzione, avvertendo di non metter in campo nuove
difficoltà in materia di fede, né determinando cosa alcuna delle controverse
tra' catolici, e nella riforma procedendo pian piano. I legati, che sin allora
si erano trattenuti nelle congregazioni in cose generali, avendo ricevuto
facoltà d'incaminarsi, nella congregazione de 22 febraro proposero che, fermato
il primo fondamento della fede, la consequenza portava che si trattasse un altro
piú ampio, che è la Scrittura divina, materia nella quale vi sono ponti
spettanti a' dogmi controversi co' luterani et altri per riforma degli abusi, e
li piú principali e necessarii da emendare, et in tanto numero che forsi non
basterà il tempo sino alla sessione per trovare rimedio a tutti. Si discorse
delle cose controverse con luterani in questo soggetto e degli abusi, e fu da
diversi prelati parlato molto sopra di questo.
Sino allora i teologi, che erano al numero
di 30 e per il piú frati, non avevano servito in concilio ad altro che a fare
qualche predica i giorni festivi, in essaltazione del concilio o del papa, e
per pugna ombratile con luterani; ora che si doveva decidere dogma controverso
e rimediare agli abusi piú tosto de' letterati che d'altri, comminciò ad
apparire in che valersene. E fu preso ordine che, nelle materie da trattarsi
per decidere punti di dottrina, fossero estratti gli articoli da' libri de'
luterani, contrarii alla fede ortodossa, e dati da studiare e censurare a'
teologi, accioché, dicendo ciascuno d'essi l'opinione sua, fosse preparata la
materia per formare i decreti; quali proposti in congregazione et essaminati
da' padri, inteso il voto di ciascuno, fosse stabilito quello che in sessione
s'averebbe a publicare. Et in quello che appartiene agli abusi, ogni uno
raccordasse quello che gli pareva degno di correzzione, col rimedio
appropriato.
Gli articoli formati per la parte
spettante alla dottrina, tratti da' libri di Lutero, furono:
1 Che la dottrina necessaria della fede cristiana
si contiene tutta intiera nelle divine Scritture, e che è una finzione d'uomini
aggiongervi tradizioni non scritte, come lasciate da Cristo e dagli apostoli
alla santa Chiesa, arrivate a noi per il mezo della continua successione de'
vescovi, et essere sacrilegio il tenerle d'ugual autorità con le Scritture del
Nuovo e Vecchio Testamento.
2 Che tra libri del Vecchio Testamento non
si debbono numerare salvo che i ricevuti dagli ebrei, e nel Testamento Nuovo le
6 Epistole, cioè sotto nome di san Paolo agli ebrei, di san Giacomo, seconda di
san Pietro, seconda e terza di san Giovanni et una di san Iuda, e l'Apocalisse.
3 Che per avere l'intelligenza vera della
Scrittura divina o per allegare le proprie parole è necessario aver ricorso a'
testi della lingua originaria nella quale è scritta, e reprovare la tradozzione
che da' latini è usata, come piena d'errori.
4 Che la Scrittura divina è facilissima e
chiarissima, e per intenderla non è necessaria né glosa, né commenti, ma avere
spirito di pecorella di Cristo.
5 Se contra tutti questi articoli si
debbono formare canoni con anatemi.
Sopra i due primi articoli fu discorso da'
teologi in 4 congregazioni, e nel primo tutti furono concordi che la fede
cristiana si ha parte nella Scrittura divina e parte nelle tradizioni, e si
consumò molto tempo in allegare per questo luoghi di Tertulliano, che spesso ne
parla e molti ne numera, d'Ireneo, Cipriano, Basilio, Agostino et altri; anzi,
dicendo di piú alcuni che tutta la dottrina catolica abbia per unico fondamento
la tradizione, perché alla medesima Scrittura non si crede, se non perché si ha
per tradizione. Ma vi fu qualche differenza come fosse ispediente trattare
questa materia.
Fra Vicenzo Lunello franciscano fu
d'opinione che, dovendosi stabilire la Scrittura divina e le tradizioni per
fondamenti della fede, si dovesse inanzi trattare della Chiesa, che è
fondamento piú principale, perché la Scrittura riceve da quella l'autorità,
secondo il celebre detto di sant'Agostino: «Non crederei all'Evangelio, se
l'autorità della Chiesa non mi constringesse», e perché delle tradizioni non si
può aver uso alcuno, se non fondandolo sopra la medesima autorità, poiché,
venendo controversia, se alcuna cosa sia per tradizione, sarà necessario
deciderla o per testimonio, o per determinazione della Chiesa. Ma stabilito
questo fondamento, che ogni cristiano è ubligato credere alla Chiesa, sopra
quello si fabricarà sicuramente. Aggiongeva doversi pigliar essempio da tutti
quelli che sino allora avevano scritto con sodezza contra luterani, come frate
Silvestro et Ecchio, che si sono valuti piú dell'autorità della Chiesa, che di
qualonque altro argomento; né con altro potersi mai convincer i luterani. Esser
cosa molto aliena dal fine proposto, cioè di ponere tutti i fondamenti della dottrina
cristiana, lasciare il principale e forse l'unico, ma al certo quello senza il
quale gli altri non sussistono. Non ebbe questa opinione seguaci. Alcuni gli
opponevano che era sogetta alle stesse difficoltà che faceva agl'altri; perché
anco le sinagoghe d'eretici s'arrogarebbono d'essere la vera Chiesa, a chi
tanta autorità era data. Altri, avendo per cosa notissima et indubitabile che,
per la Chiesa, si debbe intendere l'ordine clericale, e piú propriamente il
concilio et il papa come capo, dicevano che l'autorità di quella s'ha da tenere
per già decisa, e che il trattarne al presente sarebbe un mostrare che fosse in
difficoltà, o almeno cosa chiarita di nuovo, e non antichissima, sempre creduta
dopo che ci è Chiesa cristiana.
Ma fra Antonio Marinaro carmelitano era di
parere che si astenesse di parlare delle tradizioni, e diceva che in questa
materia, per decisione del primo articolo, conveniva prima determinare se la
questione fosse facti vel iuris, cioè se la dottrina cristiana ha due
parti, una, che per divina volontà fosse scritta, l'altra che per la stessa
fosse proibito scrivere, ma solo insegnare in voce; overo se di tutto il corpo
della dottrina per accidente è avvenuto che, essendo stata tutta insegnata,
qualche parte non sia stata posta in scritto. Soggionse essere cosa chiara che
la Maestà divina, ordinando la legge del Vecchio Testamento, statuí che fosse
necessario averla in scritto, però col proprio dito scrisse il decalogo in
pietra, commandando, che fosse riposto nello scrigno, perciò chiamato del
patto, che si dice «Arca foederis». Che commandò piú volte a Moisè di scrivere
li precetti in libro, e che un essemplare stasse appresso lo scrigno, e che il
re ne avesse uno per leggere continuamente. Non fu l'istesso nella legge
evangelica, la qual dal figlio di Dio fu scritta ne' cuori, alla quale non è
necessario avere tavole, né scrigno, né libro. Anzi, fu la Chiesa perfettissima
inanzi che alcuni de' santi apostoli scrivessero; e se ben niente fosse stato
scritto, non però alla Chiesa di Cristo sarebbe mancata alcuna perfezzione. Ma
sí come fondò Cristo la dottrina del Nuovo Testamento ne' cuori, cosí non vietò
che non dovesse essere scritta, come in alcune false religioni, dove i misterii
erano tenuti in occolto, né era lecito mettergli in scritto, ma solamente
insegnarli in voce; e pertanto essere cosa indubitata che quello che hanno
scritto gli apostoli e quello che hanno insegnato a bocca è di pari autorità,
avendo essi scritto e parlato per l'instinto dello Spirito Santo; il quale
però, sí come assistendo loro gli ha drizzati a scrivere e predicare il vero,
cosí non si può dire che abbia loro proibito scrivere alcuna cosa per tenerla
in misterio, onde non si poteva distinguere doi generi d'articoli della fede,
alcuni publicati con scrittura, altri commandati di communicare solo in voce.
Disse anco che, se alcuno fosse di contraria opinione, averebbe due gran
difficoltà da superare: l'una in dire in che consiste la differenza; l'altra,
come i successori degli apostoli abbiano potuto metter in scritto quello che da
Dio fu proibito; soggiongendo essere altretanto dura e difficile da sostenere
l'altra, cioè per accidente esser occorso che alcuni particolari non siano
stati scritti, poiché derogherebbe molto alla divina providenza nell'indrizzare
i santi apostoli nella composizione delle scritture del Nuovo Testamento.
Pertanto concludeva che l'entrar in questa trattazione fosse un navigare tra
Scilla e Cariddi et essere meglio immitar li padri, quali si sono sempre valuti
di questo luogo solo ne' bisogni, non venendo però mai in parere di formarne un
articolo di competenza contra la divina Scrittura. Aggionse che non era
necessario passar allora a fare nuova determinazione, poiché da' luterani, se
ben hanno detto di non voler essere convinti salvo che con la Scrittura, non è
però stata formata controversia in questo articolo, et essere ben attendere
alle sole controversie che essi hanno promosse, e non metterne in campo di
nuove, esponendosi a pericolo di fare maggior divisione nel cristianesmo.
A pochi piacque l'openione del frate; anzi
dal cardinale Polo fu ripreso, con dire che quel parere era piú degno d'un
colloquio di Germania, che condecente ad un concilio universale della Chiesa;
che in questo convien avere mira alla verità sincera, non come là, dove non si
tratta se non d'accordarsi et eziandio con pregiudicio della verità; per
conservare la Chiesa essere necessario o che i luterani ricevino tutta la
dottrina romana, o che siano scoperti quanti piú errori di loro si può
ritrovare, per mostrare al mondo tanto piú che non si può convenire con loro;
però se essi non hanno formato la controversia sopra le tradizioni, bisogna
formarla e condannare le openioni loro e mostrare che quella dottrina non solo
è differente dalla vera in quello dove professatamente gli contradice, ma in
tutte le altre parti; doversi attendere a condannare piú assordità che si
potran cavare da' scritti loro, et essere vano il timore di urtar in Scilla o
Cariddi per quella cavillosa raggione, a quale chi attendesse concluderebbe che
non ci fosse tradizione alcuna.
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