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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Senso et interpretazione della Scrittura]
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[Senso et interpretazione della Scrittura]

Intorno l'articolo del senso della Scrittura divina, diede occasione di parlare diversamente la dottrina del già cardinale Gaetano, che insegnò e pratticò egli ancora, cioè di non rifiutare i sensi nuovi, quando quadrino al testo e non sono alieni dagli altri luoghi della Scrittura e dalla dottrina della fede, se ben il torrente de' dottori corresse ad un altro, non avendo la divina Maestà legato il senso della Scrittura a' dottori vecchi; altrimente non resterebbe, né a presenti, né a' posteri, altra facoltà che di scrivere di libro in quaderno, il che da alcuni de' teologi e padri era approvato e da altri oppugnato.

A' primi pareva che fosse come una tirannide spirituale il vietare che, secondo le grazie da Dio donate, non potessero i fedeli essercitare il proprio ingegno e che questo fosse apunto proibire la mercanzia spirituale de' talenti da Dio donati; doversi con ogni allettamento invitare gli uomini alla lezzione delle sacre Lettere, dalle quali sempre che si leva quel piacere che la novità porta, tutti sempre le aborriranno, et una tal strettezza farà applicare li studiosi alle altre sorti di lettere et abandonare le sacre e per consequenza ogni studio e cura di pietà; questa varietà de' doni spirituali appartenere alla perfezzione della Chiesa e vedersi nella lettura de' antichi padri, ne' scritti de' quali è diversità grande e spesso contrarietà, congionta però con strettissima carità. Per qual causa non dover essere concesso a questo secolo quella libertà che con frutto spirituale hanno goduto gli altri? Li scolastici nella dottrina di teologia, se ben non hanno tra loro dispute sopra l'intelligenza delle lettere sacre, avere però non minor differenze ne' ponti della religione, e quelle non meno pericolose; meglio essere l'immitare l'antichità, che non ha ristretta l'esposizione della Scrittura, ma lasciata libera.

La contraria opinione portava che, essendo la licenza popolare disordine maggiore della tirannide, in questi tempi conveniva imbrigliare gli ingegni sfrenati, altrimente non si poteva sperare di veder fine delle presenti contenzioni: agli antichi tempi esser stato concesso di scrivere sopra i libri divini, perché, essendovi poche esposizioni, ve ne era bisogno, e gli uomini di quei tempi erano di vita santa et ingegno composto, che da loro non si poteva temere di confusioni, come al presente. E per tanto i scolastici teologi, avendo veduto che non vi era piú bisogno nella Chiesa d'altre esposizioni e che la Scrittura era non solo a bastanza, ma anco abondantemente dichiarata, presero altro modo di trattare le cose sacre; e vedendo gli uomini inclinati alle dispute, giudicarono che fosse ben occupargli piú tosto in essamine di raggioni e detti d'Aristotele, e conservare la Scrittura divina in riverenza, alla quale molto si deroga, quando sia maneggiata communemente e sia materia de' studii et essercizii de' curiosi. E tanto si passava inanzi con questa sentenzia che fra Ricardo di Mans franciscano disse i dogmi della fede essere tanto dilucidati al presente dagli scolastici, che non si doveva imparargli piú dalla Scrittura; la qual è vero che altra volta si leggeva in chiesa per instruzzione de' popoli e si studiava per l'istessa causa; dove al presente si legge in chiesa solo per dir orazione, e per questo solo doverebbe anco servire a ciascuno e non per studiare, e questa sarebbe la riverenza e venerazione debita da ogni uno alla parola Dio. Ma almeno doverebbe esser proibito il leggerla per ragion di studio a chi non è prima confermato nella teologia scolastica, né con altri fanno progresso i luterani, se non con quelli che studiano la Scrittura; il qual parere non fu senza aderenti.

Tra queste opinioni ve ne caminarono due medie: una, che non fosse bene restringere l'intelligenza della Scrittura a' soli padri, atteso che per il piú i loro sensi sono allegorici e rare volte litterali, e quelli che seguono la lettera s'accommodano al loro tempo, che l'esposizione non riesce a proposito per l'età nostra. Essere stato dottamente detto dal cardinale Cusano, di eccellente dottrina e bontà, che l'intelligenza delle Scritture si debbe accommodar al tempo et esporla secondo il rito corrente, e non avere per maraviglia se la prattica della Chiesa in un tempo interpreta in un modo, in un altro, all'altro. E non altrimente l'intese il concilio lateranense ultimo, quando statuí che la Scrittura fosse esposta secondo i dottori della Chiesa o come il longo uso ha approvato. Concludeva questa opinione che le nuove esposizioni non fossero vietate, se non quando discordano dal senso corrente.

Ma fra Dominico Soto dominicano distinse la materia di fede e di costumi dalle altre, dicendo in quella sola esser giusto tener ogni ingegno tra termini già posti, ma nelle altre non esser inconveniente lasciare che ogni uno, salva la pietà e carità, abondi nel proprio senso: non essere stata mente de' padri che fossero seguiti di necessità, salvo che nelle cose necessarie da credere et operare; né i pontefici romani, quando hanno esposto nelle decretali loro alcun passo della Scrittura in un senso, aver inteso di canonizare quello, che non fosse lecito altrimente intenderlo, pur che con raggione. E cosí l'intese san Paolo, quando disse che si dovesse usare la profezia, cioè l'interpretazion della Scrittura, secondo la raggion della fede, cioè riferendola agli articoli di quella; e se questa distinzione non si facesse, si darebbe in notabili inconvenienti per le contrarietà che si ritrovano in diverse esposizioni date dagli antichi padri, che repugnano l'una all'altra.

 

 




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