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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Giudicii intorno ai decreti della detta sessione]
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[Giudicii intorno ai decreti della detta sessione]

Ma veduti, e massime in Germania, somministrarono gran materia a raggionamenti. Era riputata da alcuni ardua cosa che 5 cardinali e 48 vescovi avessero cosí facilmente definito principalissimi et importantissimi capi di religione sino allora indecisi, dando autorità canonica a libri tenuti per incerti et apocrifi, facendo autentica una traslazione discordante dal testo originale, prescrivendo e restringendo il modo d'intendere la parola di Dio; né tra quei prelati trovarsi alcuno riguardevole per dottrina: esserne alcuni legisti, dotti forse in quella professione, ma non intendenti della religione; pochissimi teologi, ma di sufficienza sotto l'ordinaria; il maggior numero gentiluomini o cortegiani; e quanto alle dignità, esservene alquanti portativi, e la maggior parte vescovi di città cosí picciole, che rappresentando ciascuno il popolo suo, non si poteva dire che rappresentassero un millesimo della cristianità. Ma specialmente di Germania non esservi pur un vescovo, pur un teologo. Possibile che in tanto numero non s'avesse potuto mandarne uno? Perché l'imperatore non far andarne alcuno di quelli che erano intervenuti nel colloquio et informati nelle differenze? Tra i prelati di Germania il solo cardinale d'Augusta avere mandato procuratore, e quello un savoiardo; perché i procuratori del cardinale et elettor magontino, intesa la morte del loro patrone, erano partiti doi mesi prima.

Altri dicevano che le cose decise non erano di tanto momento quanto pareva, perché il capo delle tradizioni, che piú importante pareva, non rilevava punto: prima, perché niente era statuire che si ricevessero le tradizioni, senza dire quali fossero e senza dare modo di conoscerle; poi che manco vi era precetto di riceverle, ma solo si proibiva lo sprezzarle scientemente e deliberatamente; onde non contraveniva chi con parole riverenti le reggietasse tutte, massime essendovi l'essempio di tutti gli aderenti della corte romana, che non ricevono l'ordinazione delle diaconesse, non concedono l'elezzione de' ministri al popolo, che certo è esser l'instituzione apostolica continuata per piú di 8 secoli; e quello che piú importa, la communione del calice, da Cristo instituita, dagli apostoli predicata, osservata da tutta la Chiesa sino inanzi 200 anni, et anco al presente da tutte le nazioni cristiane, fuorché dalla latina; che se questa non è tradizione, non vi è modo di mostrare che altra sia. E quanto all'edizione volgata dicchiarata autentica niente essere fatto, non sapendosi per la varietà degli essemplari quale ella sia. Ma questa ultima opposizione nasceva da non sapere che già in concilio era fatta la deputazione di chi dovesse stabilire un essemplare emendato per la vera edizione volgata; il che per qual causa non fosse effettuato, al suo luogo si dirà.

Ma veduti in Roma i decreti della sessione e considerata l'importanza delle cose trattate, pensò il pontefice che il negozio del concilio era da tener in maggior considerazione di quello che sino allora si era fatto, et accrebbe il numero nella congregazione de' cardinali e prelati a' quali aveva data la cura di considerare le cose occorrenti spettanti al concilio e riferirle; e per conseglio di questi, la prima volta congregati, ammoní i legati di tre cose. L'una di non publicare in sessione all'avvenire decreto alcuno, senza averlo prima communicato in Roma, e fuggir ben la sovverchia tardità nel caminar inanzi, ma guardarsi ben ancora maggiormente della celerità, come quella che poteva fargli risolvere qualche materia indigesta e levargli tempo di poter ricevere gli ordini da Roma di quello che si dovesse proponere, deliberare e concludere. La seconda di non consummare il tempo in materie che non sono in controversia, come pareva che avessero consummato nelle trattate per la prossima sessione, nelle quali tutti sono d'accordo e che sono principii indubitati. La terza d'avvertire che non si venga mai, per qual causa si sia, alla disputa dell'autorità del papa.

A che essi risposero con prontezza d'ubedire a quanto Sua Santità commandava, parendo però loro che nelle cose definite vi sia poca discrepanza tra catolici et eretici, e che alcune delle Scritture del Testamento Vecchio e Nuovo, ricevute dal terzo concilio cartaginese, da Innocenzio I e da Gelasio, e nella sesta sinodo di Trullo, e dal concilio fiorentino, sono rivocate in dubio dagli eretici e, quello che è peggio, da alcuni catolici e cardinali, et ancora che le tradizioni non scritte erano impugnate da' luterani, quali a nissuna cosa piú attendevano che ad annichilarle, con dar ad intendere che ogni cosa necessaria alla salute sia scritta; e però, se ben questi doi capi sono principii, sono ancora conclusioni delle piú controverse e delle piú importanti che si avessero a decidere nel concilio. Aggionsero che sino allora non era venuta nissuna occasione di parlare dell'autorità del papa, né del concilio, se non nella trattazione del titolo, quando fu ricercato che si vi aggiongesse la representazione della Chiesa universale. La qual cosa ancora molti desiderano, e nondimeno essi la declineranno quanto sarà possibile. Ma quando fossero costretti di venir a questo, faranno instanza (stimando che non gli potrà esser negato) d'esprimere il modo come la rapresenta, cioè mediante il suo capo e non senza: onde piú tosto vi sarà guadagno che perdita. Del rimanente, parendogli di veder segno che la maggior parte sia sempre per portar a Sua Santità ogni riverenza, trovandosi lei come capo unita col corpo del concilio, il che sarà sempre che si concordi nella riformazione, potrà stare con animo quieto che l'autorità sua non sarà posta in difficoltà.

 

 




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