[Il papa invita gli svizzeri al
concilio; scomunica l'elettor di Colonia e lo depone]
Mandò dopo queste cose il pontefice noncio
ne' svizzeri Gieronimo Franco, dandogli lettera a' vescovi di Sion e di Coira, all'abbate
di San Gallo et altri abbati di quelle nazioni, a' quali scrisse che avendo
chiamato tutti i prelati di cristianità al concilio generale a Trento, era cosa
conveniente che essi ancora, che rappresentano la Chiesa elvetica,
v'intervenissero, essendo quella nazione molto a lui diletta, come speciali
figli della Sede apostolica e defensori della libertà ecclesiastica. Che già
erano arrivati a Trento prelati d'Italia, Francia e Spagna, et il numero
quotidianamente aummentava; però non essere condecente che essi vicini siano
prevenuti da' piú lontani; il suo paese essere in gran parte contaminato dalle
eresie e però avere bisogno tanto piú del concilio. In fine gli commanda per
ubedienza e per il vincolo del giuramento e sotto le pene prescritte dalle leggi
che debbino andarci quanto prima, rimettendosi a quel di piú che il suo noncio
gli averebbe detto.
E per le molte instanze fatte dal clero e
dall'academia di Colonia, aiutati da' vescovi di Liege et Utrecht et anco
dall'academia di Lovanio contra l'arcivescovo et elettore di Colonia, venne
alla sentenza definitiva, dicchiarandolo scommunicato, privandolo
dell'arcivescovato e di tutti gli altri beneficii e privilegii ecclesiastici,
assolvendo i popoli dal giuramento della fedeltà promessa e commandandogli di
non ubedirlo; e questo per esser incorso nelle censure della bolla di Leone X
publicata contra Lutero e suoi seguaci, avendo tenuta e difesa e publicata
quella dottrina contra le regole ecclesiastiche, le tradizioni degli apostoli
et i consueti riti della cristiana religione: e la sentenza fu dopo stampata in
Roma. Fece anco un'altra bolla, commettendo che fosse ubedito Adolfo conte di
Scavemburg, già assonto dall'arcivescovo per suo coadiutore.
E fece efficace ufficio con l'imperatore
che la sentenza fosse esseguita; il quale però non giudicò a proposito per le
cose sue quella novità, perché era un far unire l'arcivescovo alli altri
collegati, il quale sino allora si teneva interamente sotto la sua ubedienza; e
l'ebbe per arcivescovo e trattò con lui ne' tempi seguenti e gli scrisse come a
tale senza rispetto della sentenzia pontificia. Il che penetrava nell'intimo al
papa; ma non vedendovi rimedio, e giudicando imprudenza il lamentarsi
vanamente, aggionse questa offesa alle altre che riputava ricevere
dall'imperatore. Fece quella sentenza un altro cattivo effetto, che i
protestanti presero occasione di confermare la loro opinione che il concilio
non fosse per altro intimato che per trappolargli. Imperoché, se la dottrina
della fede controversa doveva esser essaminata nel concilio, come poteva il
pontefice, inanzi la definizione, venire a sentenza e per quella condannare
l'arcivescovo d'eresia? Apparir per tanto che vanamente anderebbono a quel
concilio dove domina il papa, il quale non può dissimulare, se ben volendo,
d'averli per condannati. Ma vedersi ancora che quel concilio era in nissuna
stima appresso il medesimo papa, poiché, essendo quello già principiato, senza
pur dargli parte alcuna, il solo pontefice metteva mano definitivamente in
quello che al concilio apparteneva; le quali cose il duca di Sassonia fece per
suoi ambasciatori significare all'imperatore, con dirgli appresso che vedendo
sí chiara la mente del pontefice, sarebbe tempo di provedere alla Germania con
un concilio nazionale o con trattare seriamente le cose della religione in
dieta.
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