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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Contese tra i vescovi et i frati per le lezzioni e le prediche]
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[Contese tra i vescovi et i frati per le lezzioni e le prediche]

Nel trattare di lezzione e prediche era generale querela de' vescovi e massime spagnoli che, essendo precetto di Cristo che sia insegnata la sua dottrina, il che s'essequisce con la predica nella Chiesa e con la lezzione a' piú capaci, acciò siano atti ad insegnare al popolo, di tutto ciò la cura di sopraintendere a qualonque altro essercita quei ministerii debbe essere propria del vescovo: cosí aver instituito gli apostoli, cosí essere stato esseguito da' santi padri; al presente essere levato a vescovi assolutamente tutto questo ufficio co' privilegii, che non glie ne resta reliquia; e questa essere la causa che tutto è andato in desordine, per essere mutato l'ordine da Cristo instituito. Le università con essenzioni si sono sottratte che il vescovo non può sapere quello che insegnino; le prediche sono per privilegio date a' frati, quali non riconoscono in conto alcuno il vescovo, né gli concedono l'intromettersene, in modo che a' vescovi resta levato affatto l'ufficio di pastore. E per il contrario, quelli che nell'antichità non erano instituiti se non per piangere i peccati, a' quali l'insegnar e predicare era proibito espressamente e severamente, se l'hanno assonto overo gli è stato dato per ufficio proprio; et il grege se ne sta senza e pastore e mercenario, perché questi predicatori ambulatorii, che oggi sono in una città, dimani in un'altra, non sanno né il bisogno, né la capacità del popolo, né meno le occasioni de' insegnarlo et edificarlo, come il pastore proprio che sempre vive col grege e conosce i bisogni e le infermità di quello. Oltra che il fine di quei predicatori non è l'edificazione, ma il trar limosine o per se proprii, o per i conventi loro, il che, per meglio ottenere, non mirano all'utilità dell'anima, ma procurano di dilettare et adulare e secondare gli appetiti, per potere trarne maggior frutto; et il popolo, in luogo d'imparare la dottrina di Cristo, apprende o novità o almeno vanità. Lutero è stato uno di questi, qual se fosse stato nella cella sua a piangere, la Chiesa di Cristo non sarebbe in questi termini. Piú manifesto esser ancora l'abuso di questori che vanno predicando indulgenzie, da' quali non potersi narrare senza lacrime i scandali dati negli anni precedenti; questo essere cosa evidente che non essortano ad altro che al contribuire danaro. A' quali disordini unico rimedio è levare tutti i privilegii e restituire a' vescovi la cura loro d'insegnare e predicare, et elegersi per cooperatori quelli che conosceranno essere degni di quel ministerio e disposti ad essercitarlo per carità.

In contrario di questo, i generali de' regolari e gli altri dicevano che, avendo i vescovi et altri curati abbandonato a fatto l'ufficio di pastore, che per piú centenara d'anni era stato il popolo senza prediche nella chiesa e senza dottrina di teologia nelle scole, Dio aveva eccitato gli ordini mendicanti per supplire a questi ministerii necessarii, ne' quali però non si erano intrusi da sé, ma per concessione del supremo pastore, al qual toccando principalmente il pascere tutto 'l grege di Cristo, non si poteva dire che i deputati da lui per supplire a' mancamenti di chi era tenuto alla cura del grege e l'aveva abbandonata, abbiano occupato l'ufficio d'altri; anzi convien dire che, se non avessero usato quella carità, non vi sarebbe al presente vestigio di cristianità: ora, avendo per 300 e piú anni vacato a questa santa opera col frutto che ne appariva, con titolo legitimo dato dal pontefice romano, sommo pastore, avere prescritto questi ministerii et essere fatti proprii loro, né averci dentro i vescovi alcuna legitima raggione, né poter allegare l'uso dell'antichità per ripetere quel ufficio dal quale per tanti centenara d'anni si sono dipartiti. L'affetto d'acquistare per sé o per i monasterii essere mera calonnia, poiché dalle limosine non cavano per sé se non il necessario vitto e vestito; che il rimanente, speso nel culto di Dio in messe, edificii et ornamenti di chiese, cede in beneficio et edificazione del popolo e non in propria loro utilità; che i servizii prestati dagli ordini loro alla santa Chiesa et alla dottrina della teologia, che non si ritrova fuori de' claustri, meritano che gli sia continuato quel carico che altri non sono cosí sufficienti ad essercitare.

I legati, importunati da due parti, col conseglio de' piú restretti, con loro risolverono dare conto a Roma et aspettar risposta. Il pontefice rimesse alla congregazione, dove immediate fu veduto a che tendesse la pretensione de' vescovi, cioè a farsi ciascuno d'essi tanti papi nelle diocesi loro: perché, quando fosse levato il privilegio e l'essenzione pontificia et ogni uno dependesse da loro e nissuno dal papa, immediate cesserebbe ogni raggione d'andare a Roma. Consideravano da tempo antichissimo aver i pontefici romani avuto per principale arcano di conservar il primato, datogli da Cristo, d'essimere i vescovi dagli arcivescovi, gli abbati da' vescovi, e cosí avere persone obligate a defenderlo. Essere cosa chiara che dopo l'anno 600 il primato della Sede apostolica è stata sostenuto da' monachi benedittini essenti, e poi dalle congregazioni di Clugní e Cistercio et altre monacali, sino che Dio eccitò gli ordini mendicanti, da' quali è stato sostenuto sino a quell'ora; onde, tor via i privilegii di quelli, essere direttamente oppugnar il ponteficato e non quegl'ordini; il levare l'essenzioni esser una manifesta depressione della corte romana, perché non averebbe mezi di tenere tra' termini un vescovo che s'inalzasse troppo; però esser il papa e la corte da mera necessità constretti a sostentare le cause de' frati. Ma per fare le cose con suavità, considerarono anco esser necessario tener questa raggione in secreto, e fu deliberato di rispondere a' legati che onninamente conservassero lo stato de' regolari e procurassero di fermare i vescovi col metter inanzi il numero eccessivo de' frati et il credito che appresso la plebe hanno, e consegliargli a prendere temperamento e non causare un scisma col troppo volere. Essere ben giusto che ricevino qualche sodisfazzione, ma si contentassero anco di darla, e quando si verrà al ristretto concedessero ogni cosa quanto a questori, ma quanto a' frati nissuna cosa si facesse senza participarla a' generali; et a' vescovi fosse data sodisfazzione che in essistenza non levi i privilegii. L'istesso facessero delle università, essendo necessario avere queste e quelli per dependenti dal papa, e non da vescovi.

Gionte le lettere in Trento, con tre fini diversi si caminava nel concilio; perilché poco venivano in considerazione gli altri particolari proposti in queste due materie da quelli che non erano interessati né a favore, né contra le essenzioni. Fu proposto intorno alle lezzioni da alcuni di questi di restituire l'uso antico, quando i monasterii e le canoniche non erano altro che collegii e scole, di che restano reliquie in molte catedrali, dove è la degnità dello scolastico, capo de' lettori, con prebenda, quali adesso non essercitano il carico, e sono conferite a persone inette per essercitarlo; et a tutti parve onesta et util cosa reintrodurre la lezzione delle cose sacre e nelle catedrali e ne' monasterii. Alle catedrali pareva facile il provedere, dando cura dell'essecuzione a' vescovi, ma a' monasterii difficile. Al dare sopraintendenza a' vescovi anco in questo, si opponevano i legati, se ben de' soli monachi e non de mendicanti si trattava, per non lasciar aprire la porta di mettere mano ne' privilegii concessi dal papa. Ma a questo Sebastiano Pighino, auditor di rota, trovò temperamento con proporre, che la sopraintendenza fosse data a' vescovi come delegati dalla Sede apostolica. Piacque l'invenzione, perché si faceva a favor de' vescovi il medesimo effetto, senza derogazione del privilegio, poiché il vescovo, non come vescovo, ma come deputato dal papa doveva sopraintendere; il qual modo diede essempio d'accommodar altre difficoltà: l'una nel dar autorità a' metropolitani sopra le parochie unite a' monasterii non soggetti a diocese alcuna; l'altra nel dar potestà a' vescovi sopra i predicatori essenti che fallano; et anco serví molto ne' decreti delle sessioni seguenti.

Proponevano anco i canonisti che ne' tempi presenti poco conveniva la sottilità scolastica di metter ogni cosa in disputa, e versare piú tosto in cose naturali e filosofiche; che queste nuove lezzioni dovessero essere introdotte per trattare de' sacramenti e dell'autorità e potestà ecclesiastica, come con molto frutto aveva fatto il Turrecremata et Agostino Trionfo e, dopo loro, sant'Antonino et altri. Ma per la contradizzione de' frati, che opponevano essere tanto necessaria questa, quanto quella dottrina, si trovò temperamento d'ordinare che le lezzioni fossero per esposizione della Scrittura, poiché secondo l'essigenze del testo che fosse letto e della capacità degli audienti s'averebbe applicata la materia.

Delle prediche, dopo molti discorsi fatti in piú congregazioni, si venne al stabilire il decreto; e per superare le difficoltà, con ufficii fecero, per mezo de' prelati loro confidenti, pratticare i vescovi italiani, mettendo in considerazione quanto per onor della nazione fossero tenuti di sostentare la degnità del pontificato, dell'autorità del quale si trattava mettendo mano ne' privilegii, e quanto potessero sperare dal pontefice e dalli legati accomodandosi anco a quello che è giusto e non volendo privare i frati di quello che hanno per tanto tempo goduto. Essere cosa pericolosa disprezzare tanti soggetti litterati in questi tempi che l'eresie travagliano la Chiesa; che allora si sarebbe accresciuta l'autorità episcopale con concedergli d'approvar o reprovar i predicatori, quando fuor della chiesa del loro ordine predicano e quando in quelle, con fargli riconoscer il prelato, dimandando prima la benedizzione. Che i vescovi potessero punire i predicatori per causa d'eresia e proibirgli la predica per occasione di scandalo. Di questo si contentassero, che alla giornata sarebbono aggionte altre cose. Con questi ufficii acquistarono tanto numero che furono sicuri di stabilir il decreto con quelle condizioni. Ma restava un'altra difficoltà, perché i generali et i frati non si contentavano, et il disgustargli non pareva sicuro, et era dal papa espressamente proibito. Si diedero a mostrar loro che quanto era a' vescovi concesso era giusto e necessario, a che essi avevano dato occasione con estendere troppo i privilegii e passar i termini dell'onesto; finalmente con una particola monitoria a' vescovi di proceder in maniera che i frati non avessero occasione di lamentarsi, anco i generali s'acquietarono.

 

 




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