[Contese tra i vescovi et i frati per
le lezzioni e le prediche]
Nel trattare di lezzione e prediche era
generale querela de' vescovi e massime spagnoli che, essendo precetto di Cristo
che sia insegnata la sua dottrina, il che s'essequisce con la predica nella
Chiesa e con la lezzione a' piú capaci, acciò siano atti ad insegnare al
popolo, di tutto ciò la cura di sopraintendere a qualonque altro essercita quei
ministerii debbe essere propria del vescovo: cosí aver instituito gli apostoli,
cosí essere stato esseguito da' santi padri; al presente essere levato a
vescovi assolutamente tutto questo ufficio co' privilegii, sí che non glie ne
resta reliquia; e questa essere la causa che tutto è andato in desordine, per
essere mutato l'ordine da Cristo instituito. Le università con essenzioni si
sono sottratte che il vescovo non può sapere quello che insegnino; le prediche
sono per privilegio date a' frati, quali non riconoscono in conto alcuno il
vescovo, né gli concedono l'intromettersene, in modo che a' vescovi resta
levato affatto l'ufficio di pastore. E per il contrario, quelli che
nell'antichità non erano instituiti se non per piangere i peccati, a' quali
l'insegnar e predicare era proibito espressamente e severamente, se l'hanno
assonto overo gli è stato dato per ufficio proprio; et il grege se ne sta senza
e pastore e mercenario, perché questi predicatori ambulatorii, che oggi sono in
una città, dimani in un'altra, non sanno né il bisogno, né la capacità del
popolo, né meno le occasioni de' insegnarlo et edificarlo, come il pastore
proprio che sempre vive col grege e conosce i bisogni e le infermità di quello.
Oltra che il fine di quei predicatori non è l'edificazione, ma il trar limosine
o per se proprii, o per i conventi loro, il che, per meglio ottenere, non
mirano all'utilità dell'anima, ma procurano di dilettare et adulare e secondare
gli appetiti, per potere trarne maggior frutto; et il popolo, in luogo
d'imparare la dottrina di Cristo, apprende o novità o almeno vanità. Lutero è
stato uno di questi, qual se fosse stato nella cella sua a piangere, la Chiesa
di Cristo non sarebbe in questi termini. Piú manifesto esser ancora l'abuso di
questori che vanno predicando indulgenzie, da' quali non potersi narrare senza
lacrime i scandali dati negli anni precedenti; questo essere cosa evidente che
non essortano ad altro che al contribuire danaro. A' quali disordini unico
rimedio è levare tutti i privilegii e restituire a' vescovi la cura loro
d'insegnare e predicare, et elegersi per cooperatori quelli che conosceranno
essere degni di quel ministerio e disposti ad essercitarlo per carità.
In contrario di questo, i generali de'
regolari e gli altri dicevano che, avendo i vescovi et altri curati abbandonato
a fatto l'ufficio di pastore, sí che per piú centenara d'anni era stato il
popolo senza prediche nella chiesa e senza dottrina di teologia nelle scole,
Dio aveva eccitato gli ordini mendicanti per supplire a questi ministerii
necessarii, ne' quali però non si erano intrusi da sé, ma per concessione del
supremo pastore, al qual toccando principalmente il pascere tutto 'l grege di
Cristo, non si poteva dire che i deputati da lui per supplire a' mancamenti di
chi era tenuto alla cura del grege e l'aveva abbandonata, abbiano occupato
l'ufficio d'altri; anzi convien dire che, se non avessero usato quella carità,
non vi sarebbe al presente vestigio di cristianità: ora, avendo per 300 e piú
anni vacato a questa santa opera col frutto che ne appariva, con titolo
legitimo dato dal pontefice romano, sommo pastore, avere prescritto questi
ministerii et essere fatti proprii loro, né averci dentro i vescovi alcuna
legitima raggione, né poter allegare l'uso dell'antichità per ripetere quel
ufficio dal quale per tanti centenara d'anni si sono dipartiti. L'affetto
d'acquistare per sé o per i monasterii essere mera calonnia, poiché dalle
limosine non cavano per sé se non il necessario vitto e vestito; che il
rimanente, speso nel culto di Dio in messe, edificii et ornamenti di chiese,
cede in beneficio et edificazione del popolo e non in propria loro utilità; che
i servizii prestati dagli ordini loro alla santa Chiesa et alla dottrina della
teologia, che non si ritrova fuori de' claustri, meritano che gli sia
continuato quel carico che altri non sono cosí sufficienti ad essercitare.
I legati, importunati da due parti, col
conseglio de' piú restretti, con loro risolverono dare conto a Roma et aspettar
risposta. Il pontefice rimesse alla congregazione, dove immediate fu veduto a
che tendesse la pretensione de' vescovi, cioè a farsi ciascuno d'essi tanti
papi nelle diocesi loro: perché, quando fosse levato il privilegio e
l'essenzione pontificia et ogni uno dependesse da loro e nissuno dal papa,
immediate cesserebbe ogni raggione d'andare a Roma. Consideravano da tempo
antichissimo aver i pontefici romani avuto per principale arcano di conservar
il primato, datogli da Cristo, d'essimere i vescovi dagli arcivescovi, gli
abbati da' vescovi, e cosí avere persone obligate a defenderlo. Essere cosa
chiara che dopo l'anno 600 il primato della Sede apostolica è stata sostenuto
da' monachi benedittini essenti, e poi dalle congregazioni di Clugní e Cistercio
et altre monacali, sino che Dio eccitò gli ordini mendicanti, da' quali è stato
sostenuto sino a quell'ora; onde, tor via i privilegii di quelli, essere
direttamente oppugnar il ponteficato e non quegl'ordini; il levare l'essenzioni
esser una manifesta depressione della corte romana, perché non averebbe mezi di
tenere tra' termini un vescovo che s'inalzasse troppo; però esser il papa e la
corte da mera necessità constretti a sostentare le cause de' frati. Ma per fare
le cose con suavità, considerarono anco esser necessario tener questa raggione
in secreto, e fu deliberato di rispondere a' legati che onninamente
conservassero lo stato de' regolari e procurassero di fermare i vescovi col
metter inanzi il numero eccessivo de' frati et il credito che appresso la plebe
hanno, e consegliargli a prendere temperamento e non causare un scisma col
troppo volere. Essere ben giusto che ricevino qualche sodisfazzione, ma si
contentassero anco di darla, e quando si verrà al ristretto concedessero ogni
cosa quanto a questori, ma quanto a' frati nissuna cosa si facesse senza
participarla a' generali; et a' vescovi fosse data sodisfazzione che in
essistenza non levi i privilegii. L'istesso facessero delle università, essendo
necessario avere queste e quelli per dependenti dal papa, e non da vescovi.
Gionte le lettere in Trento, con tre fini
diversi si caminava nel concilio; perilché poco venivano in considerazione gli
altri particolari proposti in queste due materie da quelli che non erano
interessati né a favore, né contra le essenzioni. Fu proposto intorno alle
lezzioni da alcuni di questi di restituire l'uso antico, quando i monasterii e
le canoniche non erano altro che collegii e scole, di che restano reliquie in
molte catedrali, dove è la degnità dello scolastico, capo de' lettori, con
prebenda, quali adesso non essercitano il carico, e sono conferite a persone
inette per essercitarlo; et a tutti parve onesta et util cosa reintrodurre la
lezzione delle cose sacre e nelle catedrali e ne' monasterii. Alle catedrali pareva
facile il provedere, dando cura dell'essecuzione a' vescovi, ma a' monasterii
difficile. Al dare sopraintendenza a' vescovi anco in questo, si opponevano i
legati, se ben de' soli monachi e non de mendicanti si trattava, per non
lasciar aprire la porta di mettere mano ne' privilegii concessi dal papa. Ma a
questo Sebastiano Pighino, auditor di rota, trovò temperamento con proporre,
che la sopraintendenza fosse data a' vescovi come delegati dalla Sede
apostolica. Piacque l'invenzione, perché si faceva a favor de' vescovi il
medesimo effetto, senza derogazione del privilegio, poiché il vescovo, non come
vescovo, ma come deputato dal papa doveva sopraintendere; il qual modo diede
essempio d'accommodar altre difficoltà: l'una nel dar autorità a' metropolitani
sopra le parochie unite a' monasterii non soggetti a diocese alcuna; l'altra
nel dar potestà a' vescovi sopra i predicatori essenti che fallano; et anco
serví molto ne' decreti delle sessioni seguenti.
Proponevano anco i canonisti che ne' tempi
presenti poco conveniva la sottilità scolastica di metter ogni cosa in disputa,
e versare piú tosto in cose naturali e filosofiche; che queste nuove lezzioni
dovessero essere introdotte per trattare de' sacramenti e dell'autorità e
potestà ecclesiastica, come con molto frutto aveva fatto il Turrecremata et
Agostino Trionfo e, dopo loro, sant'Antonino et altri. Ma per la contradizzione
de' frati, che opponevano essere tanto necessaria questa, quanto quella
dottrina, si trovò temperamento d'ordinare che le lezzioni fossero per
esposizione della Scrittura, poiché secondo l'essigenze del testo che fosse
letto e della capacità degli audienti s'averebbe applicata la materia.
Delle prediche, dopo molti discorsi fatti in
piú congregazioni, si venne al stabilire il decreto; e per superare le
difficoltà, con ufficii fecero, per mezo de' prelati loro confidenti,
pratticare i vescovi italiani, mettendo in considerazione quanto per onor della
nazione fossero tenuti di sostentare la degnità del pontificato, dell'autorità
del quale si trattava mettendo mano ne' privilegii, e quanto potessero sperare
dal pontefice e dalli legati accomodandosi anco a quello che è giusto e non
volendo privare i frati di quello che hanno per tanto tempo goduto. Essere cosa
pericolosa disprezzare tanti soggetti litterati in questi tempi che l'eresie
travagliano la Chiesa; che allora si sarebbe accresciuta l'autorità episcopale
con concedergli d'approvar o reprovar i predicatori, quando fuor della chiesa
del loro ordine predicano e quando in quelle, con fargli riconoscer il prelato,
dimandando prima la benedizzione. Che i vescovi potessero punire i predicatori
per causa d'eresia e proibirgli la predica per occasione di scandalo. Di questo
si contentassero, che alla giornata sarebbono aggionte altre cose. Con questi
ufficii acquistarono tanto numero che furono sicuri di stabilir il decreto con
quelle condizioni. Ma restava un'altra difficoltà, perché i generali et i frati
non si contentavano, et il disgustargli non pareva sicuro, et era dal papa
espressamente proibito. Si diedero a mostrar loro che quanto era a' vescovi
concesso era giusto e necessario, a che essi avevano dato occasione con
estendere troppo i privilegii e passar i termini dell'onesto; finalmente con
una particola monitoria a' vescovi di proceder in maniera che i frati non
avessero occasione di lamentarsi, anco i generali s'acquietarono.
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