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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il Catarino propugna una sua openione del peccato originale, contradetta dal Soto]
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[Il Catarino propugna una sua openione del peccato originale, contradetta dal Soto]

Alla dannazione degli articoli non era chi repugnasse; ma fra Ambrosio Catarino notò tutte le raggioni per insufficienti, che non dicchiarassero la vera natura di questo peccato; lo mostrò con longo discorso. La sostanza del quale fu: esser necessario distinguere il peccato dalla pena d'esso; ma la concupiscenza e la privazione della giustizia esser pena del peccato; esser adonque necessario che il peccato sia altro. Aggionse: quello che non fu peccato in Adamo, è impossibile che sia peccato in noi; ma in Adamo nessuna delle 2 fu peccato, non essendo né la privazione della giustizia, né la concupiscenza azzioni d'Adamo, adonque né meno in noi; e se in lui furono effetti del peccato, bisogna ben che negli altri siano effetti. Per la qual raggione non si può meno dire che il peccato sia inimicizia di Dio contra il peccatore, né quella di lui verso Dio, poiché sono cose conseguenti il peccato e venute dopo quello. Oppugnò ancora quella trasmissione del peccato per mezo del seme e della generazione, dicendo che, come quando Adam non avesse peccato, la giustizia sarebbe stata transfusa non per virtú della generazione, ma per sola volontà di Dio, cosí conveniva trovare altro modo di transfondere il peccato. Et esplicò la sua sentenza in questa forma: che, come Dio statuí e fermò patto con Abrahamo e con tutta la sua posterità quando lo constituí padre de' credenti, cosí, quando diede la giustizia originale ad Adam et a tutta l'umanità, pattuí con lui in nome di tutti un'obligazione di conservarla per sé e per loro, osservando il precetto, il quale avendo transgredito, la perdette tanto per gli altri, quanto per se stesso et incorse le pene anco per loro; le quali, come sono derivate in ciascuno, cosí essa transgressione d'Adamo è anco di ciascuno; di lui come di causa, degli altri per virtú del patto; che l'azzione d'Adamo, peccato attuale in lui, imputata agli altri, è il peccato originale, perché peccando lui, peccò tutto 'l genere umano. Si fondò principalmente il Catarino, perché non può essere vero e proprio peccato, se non atto volontario, né altro poter essere volontario che la transgressione d'Adamo imputata a tutti; e dicendo san Paolo che tutti hanno peccato in Adamo, non si può intendere se non che hanno commesso l'istesso peccato con lui. Allegò per essempio che san Paolo agli ebrei afferma Levi aver pagato la decima a Melchisedech, quando la pagò Abrahamo suo bisavo; colla qual raggione si debbe dire che i posteri violarono il precetto divino quando lo transgredí Adamo, e che fossero peccatori in lui, come in lui ricevettero la giustizia; e cosí non fa bisogno ricorrere a libidine che infetta la carne, da quale l'anima riceva infezzione: cosa inintelligibile come uno spirito possa ricever passione corporale, che se il peccato è macchia spirituale nell'anima, non poteva essere prima nella carne, e se nella carne è corporale, non può nello spirito fare effetto alcuno. Che poi un'anima, per congiongersi a corpo infetto, ricevi infezzione spirituale, esser una transcendenza impercettibile. Il patto di Dio con Adamo lo provava per un luogo del profeta Osea, per un altro dell'Ecclesiastico e per diversi luoghi di sant'Agostino; il peccato di ciascuno esser il solo atto della transgressione d'Adamo lo provava per san Paolo, quando dice che «per l'inobedienza d'un uomo molti sono fatti peccatori», e perché non si è mai inteso nella Chiesa peccato esser altro che l'azzione volontaria contra la legge, ma altra azzione volontaria non fu se non quella d'Adamo, e perché san Paolo dice per il peccato originale esser entrata la morte, la qual non è entrata per altro che per l'attuale transgressione; e per prova principalissima portò che quantonque Eva mangiasse il pomo prima d'Adamo, però non si conobbe nuda, né incorsa nella pena, ma solo dopo che Adamo ebbe peccato. Adonque il peccato d'Adamo, come fu non solo proprio, ma anco d'Eva, cosí fu di tutta la posterità.

Ma fra Dominico Soto, per difesa dell'opinione di san Tomaso e degli altri teologi dalle obiezzioni del Catarino, portò una nuova dicchiarazione, dicendo che Adam peccò attualmente mangiando il frutto vietato, ma dopo restò peccatore per una qualità abituale che dall'azzione fu causata, come per ogni azzione cattiva si produce nell'anima dell'operante una tal disposizione per quale, anco passato l'atto, resta e vien chiamato peccatore; che l'azzione d'Adamo fu transitoria, né ebbe essere se non mentre egli operò; che la qualità abituale rimanente in lui passò in la posterità et in ciascuno si transfonde propria; che l'azzione d'Adamo non è il peccato originale, ma quell'abituale conseguente, e questa chiamano i teologi privazione della giustizia; il che si può esplicar considerando che l'uomo si chiama peccatore non solo mentre attualmente transgredisce, ma ancora dopo, sin tanto che il peccato non è scancellato, e questo non per rispetto delle pene o altre consequenze al peccato, ma per rispetto della transgressione medesima precedente; come quello che fa l'uomo curvo sin tanto che non si ridrizza e si dice tale non per l'azzione attuale, ma per quello effetto restato dopo quella passata, assomigliando il peccato originale alla curvità, come veramente è un'obliquità spirituale; essendo tutta la natura umana in Adamo, quando egli per la trasgressione del precetto si incurvò, tutta la natura umana, e per consequente ogni singolar persona, restò incurvata, non per la curvità di lui, ma per una propria a ciascuno, per la quale è veramente curvo e peccatore, sin tanto che per la grazia divina non si ridrizza. Queste due opinioni furono parimente disputate, pretendendo ciascuno che la sua dovesse essere ricevuta dalla sinodo.

Ma nella considerazione in che maniera il peccato originale sia rimesso, furono concordi in dire che per il battesmo viene scancellato e resa l'anima cosí monda come nello stato dell'innocenza, quantonque le pene conseguenti il peccato non siano levate, acciò servino a' giusti per essercizio; e questo tutti lo dichiaravano con dire che la perfezzione d'Adamo consisteva in una qualità infusa, la quale rendeva l'anima ornata, perfetta e grata a Dio, et il corpo essente dalla mortalità; e, per il merito di Cristo, Dio dona a quelli che per il battesmo rinascono un'altra qualità chiamata grazia giustificante, che scancellando ogni macchia nell'anima, la rende cosí pura come quella d'Adamo, anzi in alcuni particolari fa effetti maggiori che la giustizia originale, solo che non ridonda nel corpo, onde la mortalità e gli altri naturali defetti non sono emendati. Erano allegati molti luoghi di san Paolo e degli altri apostoli, dove dicono che il battesmo lava l'anima, che la monda, che l'illumina, che la purifica, che non vi resta alcuna dannazione, macola, né ruga. Fu con molta accuratezza trattato come, se i battezati sono senza peccato, quello possi passare ne' figli. A che Agostino con soli essempii rispose come dal circonciso padre nasce il figlio incirconciso, e dall'uomo cieco ne nasce un oculato, e dal grano mondo nasce il vestito di paglia. Il Catarino rispondeva che con solo Adamo fu statuito il patto e ciascuno uomo ha il peccato per imputazione della transgressione d'Adamo, onde gli intermedii genitori non hanno che fare, e se il frutto vietato, non da Adamo, ma da alcun suo figlio fosse stato mangiato, la posterità di quello però non averebbe contratto peccato; e se Adamo avesse peccato dopo generati figli, ad essi, quantonque nati inanzi, sarebbe stato imputato il peccato d'Adamo. Contra di che Soto disputò che, se Adamo avesse peccato dopo nati figli, quelli non sarebbono stati soggetti; ma ben i nepoti nati di loro.

Fu commune voce che il sesto articolo è eretico, perché ne' battezati asserisce rimanere cosa degna di dannazione, et il settimo per lasciare nel battezato reliquie di peccato; e piú chiaramente l'ottavo, mentre pone la concupiscenza ne' battezati essere peccato. Solo fra Antonio Marinaro, carmelitano, non discordando dagli altri in affermare che il peccato è scancellato per il battesimo e che la concupiscenza è peccato inanzi, considerò nondimeno, quanto al dannar il contrario d'eresia, che sant'Agostino, già vecchio, scrivendo di questa materia a Bonifacio, disse chiaramente che la concupiscenza non era peccato, ma causa et effetto d'esso; e contra Giuliano, con parole non meno chiare, disse che era peccato, causa di peccato et effetto ancora, e pure nelle retrattazioni non fece menzione né dell'una, né dell'altra di queste proposizioni contrarie: argumento che riputasse ciò non partenere alla fede e potersene parlare in ambidue li modi, essendo la differenza piú tosto verbale che altro. Imperoché altra cosa è ricercare se una cosa sia in sé peccato, overo se sia peccato ad una persona iscusata; come se alcuno, andando alla caccia necessaria al suo vivere, pensando uccidere una fiera, per ignoranza invincibile uccidesse un uomo, i giurisconsulti dicono che l'azzione è omicidio e delitto, ma il cacciator è scusato, che non è peccato a lui per la circonstanza dell'ignoranza; cosí la concupiscenza, essendo la medesima inanzi e dopo il battesmo, in se stesso è peccato e san Paolo dice che anco ne' renati repugna alla legge di Dio, e tutto quello che s'oppone alla legge divina è peccato; ma il battezato è iscusato per essere vestito di Cristo, che in un modo è vero l'articolo, nell'altro falso, e non è giusto condannar una proposizione che abbia un buon senso, senza prima distinguerla. Il qual parere fu da tutti reprovato con dire che sant'Agostino pose due sorti di concupiscenza: quella che è inanzi il battesmo, la qual è una repugnanza della volontà alla legge di Dio, quale ebbe per il peccato e nel battesmo scancellarsi, et un'altra, che è repugnanza del senso alla raggione, che resta anco dopo il battesmo, la qual Agostino disse effetto e causa, ma non mai peccato, e quando pare che il contrario dica, convien tenere per fermo la mente d'Agostino essere che la concupiscenza sia peccato che nel battesmo resti d'esser tale e divenga essercizio di virtú e buone opere. Il frate, attesa questa sua opinione, essendogli aggionte le cose dette ne' sermoni fatti da lui nella messa della quarta domenica dell'advento precedente et in quella della quaresima, essortando a mettere la total fiducia in Dio e dannando ogni confidenza nelle opere, et affermando che gli atti eroici degli antichi, tanto lodati dagli uomini, erano veri peccati; della differenza ancora della Legge e dell'Evangelio parlando non come de doi tempi, ma come che sempre vi sia stato Evangelio e sempre vi debbia essere Legge; e della certezza della grazia ancora, se ben con qualche clausule ambigue et artificiose, che non s'averebbe potuto riprenderlo che non si fosse difeso, entrò in sospetto d'alcuni che non fosse affatto alieno dalla dottrina de' protestanti.

Come si venne all'articolo della pena, se ben sant'Agostino, fondatosi sopra san Paolo, professatamente tenne convenirgli la pena del fuogo infernale eziandio ne' fanciulli, e da nissuno de santi padri fu detto in contrario; con tutto ciò il maestro co' scolastici, che seguono piú le raggioni filosofiche, distinsero due sorti di pene eterne: una, la sola privazione della beatitudine celeste, e l'altra il castigo; e la prima sola diedero al peccato originale. Dall'universal parere de' scolastici si partí solo Gregorio d'Arimino, che per ciò dalle scole s'acquistò titolo di «tormento de' putti»; ma né esso, né sant'Agostino furono difesi da' teologi nelle congregazioni. Un'altra divisione però fu tra loro, volendo i dominicani che i fanciulli morti senza battesmo inanzi l'uso di raggione dovessero dopo la resurrezzione restare nel limbo e tenebre, in sotterraneo luogo, ma senza fuogo; i francescani, che sopra terra et alla luce; alcuni anco affermavano che fossero per filosofare et occuparsi nella cognizione delle cose naturali, e non senza quel gran piacere che segue quando con invenzione si empie la curiosità. Il Catarino aggiongeva di piú, che saranno da' santi angeli e dagli beati visitati e consolati; e tante vanità volontarie furono in questo dette, che potevano dare gran materia di trattenimento. Ma per la riverenza di Agostino et acciò non fosse dannato Gregorio d'Arimino, fecero gli agostiniani grand'instanza che l'articolo, quantonque falso, come tenevano, non dovesse essere condannato per eretico, se ben il Catarino s'adoperò con ogni spirito acciò fosse fatta dicchiarazione, a fine (diceva egli) di reprimere l'audacia e l'ignoranza di qualche predicatori che con gran scandolo del popolo predicano quella dottrina, et affermando che sant'Agostino aveva parlato cosí per calore della disputa contra i pelagiani, non che avesse quell'opinione per certa; onde dopo che dal commun consenso delle scole era certificata la verità in contrario, e che i luterani hanno eccitato l'istesso errore, et i catolici medesimi vi incorrono, esser necessaria la dicchiarazione della sinodo.

 

 




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