[Lettere del re di Francia et orazione
del suo ambasciatore]
Prononciati i decreti dal vescovo
celebrante, il secretario del concilio lesse le lettere del re di Francia, in
quali deputava ambasciatore al concilio Pietro Danesio, et egli fece una longa
e faconda orazione a' padri, nella quale disse in sostanza: che il regno di
Francia, da Clodoveo, primo re Cristianissimo, ha conservato la religione
cristiana sempre sincerissima. Che san Gregorio I diede titolo di catolico a
Childeberto in testimonio dell'incorrota religione. Che i re mai hanno permesso
in nissuna parte di Francia setta alcuna, né altri che catolici, anzi hanno
procurato la conversione degli esteri, et idolatri et eretici, e con pie arme
costrettigli a professare la vera e sana religione. Narrò come Childeberto con
guerra costrinse i visigotti ariani a congiongersi con la Chiesa catolica, e
Carlo Magno fece 30 anni di guerra co' sassoni per ridargli alla religion
cristiana. Passò poi a dire i favori fatti alla Chiesa romana. Raccontò
l'imprese di Pipino e Carlo Magno contra longobardi, e come a questo da Adriano
nella sinodo de' vescovi fu concesso di creare il papa e di approvar i vescovi
del suo dominio et investirgli dopo ricevuto da loro il giuramento di fideltà.
Soggiongendo che, se ben Ludovico Pio, suo figliuolo, cesse a quell'autorità di
crear il papa, riservò nondimeno che gli fossero mandati legati per conservare
l'amicizia, la qual sempre continuò coltivata con scambievoli ufficii. Per la
qual confidenza i romani pontefici ne' tempi difficili, o scacciati dalla loro
sede, o temendo sedizione, si sono retirati in quel regno. Non potersi narrare
quanti pericoli i francesi hanno corso e le eccessive profusioni di danari e
sangue per dilatare i confini dell'imperio cristiano, o per recuperare le cose
occupate da barbari, o per restituir i pontefici, o liberargli da' pericoli.
Soggionse che da questi avendo origine Francesco re, con la medesima pietà, nel
principio del suo regno, dopo la vittoria di Lombardia, andò a trovare Leon X a
Bologna per formare con lui concordia, la qual ha continuato con Adriano,
Clemente e con Paolo, et in questi 26 anni, essendo le cose della fede ridotte
in grand'ambiguità in diverse regioni, con molta accuratezza ha operato che non
s'innovasse cosa alcuna nell'uso commune ecclesiastico, ma tutto fosse
riservato a' giudicii publici della Chiesa; e quantonque sia di natura
clemente, piacevole et aborrente da sangue, ha usata severità e proposti gravi
editti, ha operato con la sua diligenza e vigilanza de' suoi giudici che in
tanta tempesta, che ha sovvertito molte città e nazioni intiere, fosse
conservato alla Chiesa quel nobilissimo regno quieto, nel quale restano la
dottrina, riti, ceremonie e costumi vecchi; laonde poteva il concilio ordinare
quello che giudicava vero et utile alla republica cristiana. Disse di piú aver
il re conosciuto quanto sia proficuo alla cristianità aver per capo il vescovo
romano: onde ancorché tentato et invitato con utilissimi partiti a seguitare
l'essempio d'un altro, non ha voluto partirsi dal suo parere, e perciò ha
perduto l'amicizia de' suoi confinanti con qualche danno. Che subito intesa la
convocazione del concilio inviò alcuni de' suoi vescovi, e dopo che vidde farsi
da dovero et essere stabilita l'autorità con piú sessioni, ha voluto mandar
esso oratore per assistergli, procurando da loro che statuiscano una volta e
publicamente propongano la dottrina che tutti i cristiani debbino professare in
ogni luogo e che indrizzino la disciplina ecclesiastica alla norma de' sacri
canoni, promettendo che il Cristianissimo re farà osservare il tutto nel suo
imperio, et averà patrocinio e difesa de' decreti del concilio. Aggionse poi
che, essendo cosí grandi i meriti de' re di Francia, gli siano conservati i
privilegii concessi dagli antichi padri e da' sommi pontefici, de' quali fu in
possessione Ludovico Pio e tutti gli altri re di Francia seguenti, e che siano
confermate alle chiese di Francia, de quali egli è tutore, le sue raggioni,
privilegii et immunità; il che se il concilio farà, tutti i francesi lo
ringraziaranno et i padri non si pentiranno d'averlo fatto.
Fu per nome della sinodo risposto da
Ercole Severolo, procuratore del concilio, con brevi parole, ringraziando il
re, mostrando che la presenza dell'ambasciatore gli fosse gratissima,
promettendo d'attendere con ogni studio allo stabilimento della fede et alla
riforma de' costumi, et offerendo ogni favore al regno et alla Chiesa
gallicana.
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