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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Lettere del re di Francia et orazione del suo ambasciatore]
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[Lettere del re di Francia et orazione del suo ambasciatore]

Prononciati i decreti dal vescovo celebrante, il secretario del concilio lesse le lettere del re di Francia, in quali deputava ambasciatore al concilio Pietro Danesio, et egli fece una longa e faconda orazione a' padri, nella quale disse in sostanza: che il regno di Francia, da Clodoveo, primo re Cristianissimo, ha conservato la religione cristiana sempre sincerissima. Che san Gregorio I diede titolo di catolico a Childeberto in testimonio dell'incorrota religione. Che i re mai hanno permesso in nissuna parte di Francia setta alcuna, né altri che catolici, anzi hanno procurato la conversione degli esteri, et idolatri et eretici, e con pie arme costrettigli a professare la vera e sana religione. Narrò come Childeberto con guerra costrinse i visigotti ariani a congiongersi con la Chiesa catolica, e Carlo Magno fece 30 anni di guerra co' sassoni per ridargli alla religion cristiana. Passò poi a dire i favori fatti alla Chiesa romana. Raccontò l'imprese di Pipino e Carlo Magno contra longobardi, e come a questo da Adriano nella sinodo de' vescovi fu concesso di creare il papa e di approvar i vescovi del suo dominio et investirgli dopo ricevuto da loro il giuramento di fideltà. Soggiongendo che, se ben Ludovico Pio, suo figliuolo, cesse a quell'autorità di crear il papa, riservò nondimeno che gli fossero mandati legati per conservare l'amicizia, la qual sempre continuò coltivata con scambievoli ufficii. Per la qual confidenza i romani pontefici ne' tempi difficili, o scacciati dalla loro sede, o temendo sedizione, si sono retirati in quel regno. Non potersi narrare quanti pericoli i francesi hanno corso e le eccessive profusioni di danari e sangue per dilatare i confini dell'imperio cristiano, o per recuperare le cose occupate da barbari, o per restituir i pontefici, o liberargli da' pericoli. Soggionse che da questi avendo origine Francesco re, con la medesima pietà, nel principio del suo regno, dopo la vittoria di Lombardia, andò a trovare Leon X a Bologna per formare con lui concordia, la qual ha continuato con Adriano, Clemente e con Paolo, et in questi 26 anni, essendo le cose della fede ridotte in grand'ambiguità in diverse regioni, con molta accuratezza ha operato che non s'innovasse cosa alcuna nell'uso commune ecclesiastico, ma tutto fosse riservato a' giudicii publici della Chiesa; e quantonque sia di natura clemente, piacevole et aborrente da sangue, ha usata severità e proposti gravi editti, ha operato con la sua diligenza e vigilanza de' suoi giudici che in tanta tempesta, che ha sovvertito molte città e nazioni intiere, fosse conservato alla Chiesa quel nobilissimo regno quieto, nel quale restano la dottrina, riti, ceremonie e costumi vecchi; laonde poteva il concilio ordinare quello che giudicava vero et utile alla republica cristiana. Disse di piú aver il re conosciuto quanto sia proficuo alla cristianità aver per capo il vescovo romano: onde ancorché tentato et invitato con utilissimi partiti a seguitare l'essempio d'un altro, non ha voluto partirsi dal suo parere, e perciò ha perduto l'amicizia de' suoi confinanti con qualche danno. Che subito intesa la convocazione del concilio inviò alcuni de' suoi vescovi, e dopo che vidde farsi da dovero et essere stabilita l'autorità con piú sessioni, ha voluto mandar esso oratore per assistergli, procurando da loro che statuiscano una volta e publicamente propongano la dottrina che tutti i cristiani debbino professare in ogni luogo e che indrizzino la disciplina ecclesiastica alla norma de' sacri canoni, promettendo che il Cristianissimo re farà osservare il tutto nel suo imperio, et averà patrocinio e difesa de' decreti del concilio. Aggionse poi che, essendo cosí grandi i meriti de' re di Francia, gli siano conservati i privilegii concessi dagli antichi padri e da' sommi pontefici, de' quali fu in possessione Ludovico Pio e tutti gli altri re di Francia seguenti, e che siano confermate alle chiese di Francia, de quali egli è tutore, le sue raggioni, privilegii et immunità; il che se il concilio farà, tutti i francesi lo ringraziaranno et i padri non si pentiranno d'averlo fatto.

Fu per nome della sinodo risposto da Ercole Severolo, procuratore del concilio, con brevi parole, ringraziando il re, mostrando che la presenza dell'ambasciatore gli fosse gratissima, promettendo d'attendere con ogni studio allo stabilimento della fede et alla riforma de' costumi, et offerendo ogni favore al regno et alla Chiesa gallicana.

 

 




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