[Giudicii sopra la quinta sessione]
Ma li decreti della sessione, usciti in
stampa et andati in Germania, diedero materia di parlare: dicevasi che
superfluamente si era trattato dell'impietà pelagiana, già piú di mille anni
dannata da tanti concilii e dal commune consenso della Chiesa, e pur quando
l'antica dottrina fosse confermata, potersi tolerare aversi ben, conforme a
quella, proposta la vera universale, dicendo il peccato d'Adamo essere passato
in tutta la posterità, ma poi quella destrutta con l'eccezzione; né giovare il dire
che l'eccezzione non sia assertiva, ma ambigua; perché, sí come una particolare
rende falsa l'universale contradittoria, cosí la particolare ambigua rende
incerta l'universale; e chi non vede che, stante quella eccezzione, eziandio
con ambiguità, ogni uno può concludere: adonque non è certo che il peccato sia
passato in tutta la posterità, perché non è certo che sia passato nella
vergine; e massime che la raggione, con quale si persuade quella eccezzione,
può persuaderne molte altre. Ben essere stato concluso da san Bernardo che la
stessa raggione, che induce a celebrare la concezzione della Vergine,
concluderà che sia celebrata quella del padre e madre di quella, e degli avi e
proavi e di tutta la geneaologia, e cosí andar in infinito, dice Bernardo. Ma non
vi si anderebbe, perché, gionti ad Abrahamo, vi sarebbe gran raggione
d'essentarlo solo dal peccato originale. Egli è quello a cui è fatta la
promessa del Redentor; Cristo è detto sempre seme d'Abrahamo; egli chiamato
padre di Cristo e de tutti i credenti, essemplare de' fedeli; tutte degnità
molto maggiori che il portare Cristo nel ventre, secondo la divina risposta che
la Vergine fu piú beata per aver udita la parola di Dio, che per aver lattato e
partorito. E chi per prerogazione non si lascierà consegliare ad eccettuare
Abrahamo et aver per soda l'antica raggione che Cristo è senza peccato per
essere nato de Spirito Santo senza seme virile, dirà che era meglio seguire il
conseglio del savio e contenersi tra i termini posti da' padri. Aggiongevano che
grand'obligo doveva il mondo portare al concilio che si sia contentato dire che
confessa e sente restare ne' battezati la concupiscenza, che altrimente
sarebbono costretti gli uomini a negare di sentire in loro quello che sentono.
Nel decreto della riforma s'aspettava che
fosse proveduto alli scolastici et a' canonisti: a questi, che danno le divine
proprietà al papa sino a chiamarlo Dio, dandogli infallibilità e facendo
l'istesso tribunale d'ambidue, con dir anco che sia piú clemente di Cristo;
alli scolastici, che hanno fatto fondamento della dottrina cristiana la
filosofia d'Aristotele, tralasciata la Scrittura e posto tutto in dubio, sino
al metter questione se ci sia Dio e disputarlo da ambe le parti. Pareva cosa
strana che si fosse stato sino a quel tempo a sapere che l'ufficio de' vescovi
era predicare, che non s'avesse trattato di levar l'abuso di predicare vanità
et ogni altra cosa, salvo che Cristo, che non fosse proveduto all'aperta
mercanzia de' predicatori sotto nome di lemosina.
Alla corte dell'imperatore, andata notizia
de' decreti fatti, fu ricevuto molto in male che della riforma si fosse
trattato cose leggiere, anzi non ricchieste dalla Germania, et in materia di
fede fossero le controversie per il decreto risvegliate. Imperoché, essendo già
ne' colloquii quasi concordata la controversia del peccato originale, dal
concilio, dove s'aspettava composizione, era provenuto decreto contra le cose
concordate, e per nome dell'imperatore fu scritto a' suoi in Trento che
facessero ogni opera acciò s'attendesse alla riformazione e le cose di fede
controverse si differissero all'andata de' protestanti, che Cesare era sicuro
d'indurvi, overo, almeno, sin che fossero gionti i prelati di Germania, che,
fatta la dieta, si sarebbono incaminati. Ma di queste cose conciliari poco
tempo si parlò, perché altri accidenti avvennero che voltarono a sé gli occhi e
la mente d'ogniuno.
|