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Paolo Sarpi Istoria del Concilio tridentino IntraText CT - Lettura del testo |
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[Diversità intorno alle preparazioni, alla grazia, alla voce giustificare, all'imputazione della giustizia di Cristo] Intorno le preparazioni, nella sostanza della dottrina non vi fu differenza: tutti tenevano che dopo l'eccittamento divino sorge il timore e le altre considerazioni della malignità che è nel peccato; censurarono per eretica l'opinione che fosse cosa cattiva, perché Dio essorta il peccatore, anzi lo move a queste considerazioni, e non si debbe dire che Dio mova a peccato, e di piú l'ufficio del predicatore non è altro se non con questi mezi atterir l'animo del peccatore, e perché tutti passano per questi mezi dallo stato del peccato a quello della grazia, pareva gran maraviglia che non si poteva passar dal peccato alla giustizia se non per il mezo d'un altro peccato; con tutto ciò non potevano liberarsi dalla difficoltà in contrario, perché tutte le opere buone possono stare con la grazia, quel timore e le altre preparazioni non possono restar con quella, adonque sono cattive. Fra Antonio Marinaro era di parere che la differenza fosse verbale, e diceva che sí come passando da un gran freddo al caldo, si passa per un grado di freddo minore, il qual non è né caldo, né freddo nuovo, ma l'istesso diminuito; cosí dal peccato alla giustizia si passa per i terrori et attrizioni, che non sono né opere buone, né nuovi peccati, ma i peccati vecchi estenuati: ma in questo avendo tutti gli altri contrarii, fu costretto ritrattarsi. Delle opere fatte in grazia non fu tra loro difficoltà, tutti affermando che sono perfette e meritorie della vita eterna, e che l'opinione di Lutero, che siano tutte peccato, è empia e sacrilega; avendo per biastemma che la beata Vergine abbia commesso un minimo peccato veniale, come poi potrebbono l'orrecchie sostenere d'udire che in ogni azzione peccasse? che doverebbe la terra e l'inferno aprirsi a tante biastemme. Nel capo dell'essenzia della divina grazia, per censura degli articoli 22 e 23, fu commune considerazione che la voce grazia in prima significazione s'intenda una benevolenza o bona volontà, la quale quando è in chi abbia poter, partorisce di necessità anco un buon effetto, che è il dono o beneficio, quale esso ancora è chiamato grazia: i protestanti avere pensato che la maestà divina, come che non potendo di piú, ci faccia solo parte della sua benevolenza; ma la omnipotenza divina ricercava che ci aggiongesse il beneficio in effetto; e perché alcuno averebbe potuto dire che la sola volontà divina, che è Dio medesimo, non può avere cosa maggiore, e che anco l'averci donato il suo figliuolo era un sommo beneficio, e che san Giovanni, volendo mostrar il grand'amore di Dio verso il mondo, non allegò altro che aver dato il figlio unigenito, soggiongevano che questi sono beneficii communi a tutti; conveniva che ci facesse un presente proprio a ciascuno. E però i teologi hanno aggionta una grazia abituale, donata a ciascun giusto la sua, la quale è una qualità spirituale creata da Dio et infusa nell'anima, per la quale vien fatta grata et accetta alla divina maestà, della quale se ben non si trova espressa parola ne' padri e meno nella Scrittura, nondimeno si deduce chiaramente dal verbo «giustificare»; il qual essendo effettivo, per necessità significa fare giusto con impressione di reale giustizia; la qual realtà non potendo esser sostanza, non può esser altro che qualità et abito. Et in questa occasione fu trattato longamente contra li luterani che non vogliono il verbo giustificare esser effettivo, ma giudiciale e declarativo, fondandosi sopra la voce ebrea «tzadac» e sopra la greca dicaioun, che significano «pronunciare giusto», e per molti luoghi della Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento, che anco nella tradizzione latina è usata in tal significazione, e se ne allegava sino 15. Ma il Soto escludeva tutti quelli di san Paolo che parlano della nostra giustificazione, et in quelli diceva non potersi intendere, se non in significazione effettiva; di che nacque gran disputa tra lui et il Marinaro, al quale non piaceva che si fondasse in cosa cosí leggiera; ma diceva l'articolo della grazia abituale, non poter ricevere dubio, come deciso nel concilio di Vienna e sentenzia commune di tutti i teologi; e questo esser un far sodi fondamenti che non possono esser destrutti, e non voler dir che san Paolo, A' Romani, quando dice che Dio giustifica, non intenda in senso declarativo, contra il testo manifesto che mette un processo giudiciale, dicendo che nissun potrà accusar né condannar gli eletti da Dio, essendo Dio che gli giustifica; dove i verbi giudiciali «accusare» e «condannar» mostrano che il giustificar sia voce di foro parimente. Ma i francescani provavano la grazia abituale, perché la carità essa è un abito; e qui fu disputato acremente tra loro et i dominicani, se l'abito della grazia era l'istesso con quello della carità, come Scoto vuole, o pur distinto, come piacque a san Tomaso; e non cedendo alcuna delle parti, si passò a cercar se, oltre questa grazia o giustizia inerente, viene anco al giustificato imputata la giustizia di Cristo come se fosse propria sua, e questo per l'opinione d'Alberto Pighio, il qual, confessandola inerente, aggionse che in quella non conviene confidarsi, ma nella giustizia di Cristo imputata come se nostra fosse. Nissun metteva dubio se Cristo avesse meritato per noi, ma alcuni biasmavano il vocabolo «imputare» e volevano che fosse abolito, non trovandosi usato da' padri, quali si sono contentati de' nomi: communicazione, participazione, diffusione, derivazione, applicazione, computazione, congionzione. Altri dissero che, constando della cosa, non era da far forza sopra una voce, che ogn'uno vede significare precisamente l'istesso che le altre, la quale, se ben non da tutti e con frequenza, fu però alle volte usata; si portava l'Epistola 109 di san Bernardo per questo, et il Vega defendeva che veramente, quantonque il vocabolo non si trovi nelle Scritture, nondimeno è propriissimo e latinissimo il dire che la giustizia di Cristo è imputata al genere umano in sodisfazzione e merito, e che continuatamente è anco imputata a tutti quelli che sono giustificati e satisfanno per i proprii peccati; ma non voleva che si potesse dire che è imputata come se fosse nostra. A che essendo opposto che san Tomaso usa di dire che al battezato è communicata la passione di Cristo in remissione, come se esso l'avesse sostenuta e fosse morto, sopra le parole di san Tomaso vi fu longa e gran contenzione. Il general eremitano tenne opinione, che nel sacramento del battesmo la giustizia di Cristo sia imputata per esser in tutto e per tutto communicata, ma non nella penitenza, dove ci bisognano anco le nostre sodisfazzioni. Ma il Soto disse, che la parola «imputazione» era popularissima et aveva molto del plausibile; perché in primo aspetto altro non significa se non che tutto si debbe riconoscer da Cristo, ma che egli l'aveva sempre avuta per sospetta, attese le cattive consequenze che da quella i luterani cavano; cioè che questa sola sia sufficiente e non faccia bisogno d'inerente, che i sacramenti non donano grazia, che insieme con la colpa si scancella ogni pena, che non resta luogo alla sodisfazzione, che tutti sono uguali in grazia, giustizia e gloria: d'onde deducono anco quella abominevole biastema che ogni giusto è ugual alla beata Vergine. Questo avvertimento mise tanto sospetto negli audienti che si vidde manifesta una inclinazione a dannar quella voce come eretica, quantonque fossero replicate efficacemente le raggioni in contrario. Le contenzioni tra' teologi nascevano per certo dall'affetto immoderato verso la propria setta, ma se vi aggiongeva anco fomento da diversi per varii fini: dagli imperiali, per costringer ad abandonar la giustificazione; da' cortegiani romani, per trovar modo di separar il concilio e fuggir la riforma imminente, e da altri per liberarsi da' disaggi che temevano maggiori per la carestia o per la guerra imminente, gionta la poca speranza di far frutto.
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