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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Cesare vuole che sossista il concilio]
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[Cesare vuole che sossista il concilio]

Ma Cesare, oltre il disgusto ricevuto per il giubileo, entrò anco in sospetto che il papa, ottenuto il fine suo di muover guerra a' protestanti, non procurasse la dissoluzione del concilio sotto pretesto di differirlo dopo la guerra finita, e sotto colore di pericoli per le arme che i protestanti preparavano in Svevia. Sapeva questa esser la mira di tutta la corte negoziata con lui per 25 e piú anni; sapeva la volontà de' vescovi congregati in Trento, eziandio de' suoi, esser inclinata all'istesso per i patimenti e disaggi, temeva che, se la separazione fosse seguita, i luterani se ne fossero valsi con dire che fosse stato congregato a fine di trovare pretesto di far loro la guerra, et i catolici di Germania pensassero che, deposti gli interessi della religione e della riforma, egli mirasse solo a soggiogare la Germania. Dubitò anco che, seguendosi a trattare le materie controverse, come già s'era fatto del peccato originale et era avisato che si divisava fare della giustificazione, gli potesse esser impedita qualche composizione che s'avesse potuto fare, dando speranza alle città che sarebbono udite le loro raggioni, per separargli da' prencipi della lega. Vedeva chiaro esser necessario che il concilio restasse aperto, ma attendesse alla riforma solamente; ma difficile ad ottenerlo, se non avendo il papa congionto in questo. Però spedí in diligenza a certificarlo che averebbe posto tutto lo spirito e le forze principalmente a far che Trento fosse sicuro, che non dubitasse, quantonque andasse fama d'esserciti protestanti in Svevia; che era ben necessario mantener il concilio per ovviare alle detrazzioni e calunnie che contra ambidoi sarebbono disseminate se si dissolvesse; lo pregava efficacemente ad operare che restasse aperto e le cose controverse non fossero trattate, essendo sua ferma intenzione di costringer i suoi aderenti protestanti con l'autorità, e gli inimici con le arme ad intervenirvi e sottoporsi; ma tra tanto non bisognava metter impedimento a questo ottimo dissegno, serrando loro la porta con decreti contrarii fatti in assenza; che questo non poteva andar longo, sperava vederne il fine questa state; però si contentasse operare che si trattasse della riforma per allora, o pur, se si trattasse della religione, si toccassero solo cose leggieri e che, definite, non offendessero li protestanti. Ordinò anco che l'istesso ufficio fosse fatto dall'ambasciatore suo in Trento co' legati; e perché era informato che Santa Croce era inclinato alla dissoluzione in qualonque modo, commise all'ambasciatore che con lui facesse passata a dirgli che, se lui avesse operato alcuna cosa contra la mente di Sua Maestà in questo, l'averebbe fatto gettar nell'Adice; il che fu anco fatto publico a tutti e scritto dagli istorici di questo tempo.

Il pontefice, se ben averebbe voluto vedersi libero dal concilio, e da tutta la corte fosse desiderato l'istesso, giudicò necessario compiacer Cesare in tenerlo aperto e non trattare le controversie; ma l'attender alla sola riforma non gli poté piacere né a lui, né a' cortegiani. Però scrisse a' legati che non lasciassero dissolvere l'adunanza, che non facessero sessione sin che da lui non fosse ordinato, ma trattenessero i prelati et i teologi con fare congregazioni, e con quelle occupazioni et essercizii che meglio fosse loro parso. Ma in Trento a' 25 fu solennemente publicato il giubileo in presenza de' legati e di tutto 'l concilio; accioché si potesse attendere a' digiuni et altre opere di penitenza, secondo il prescritto della bolla, fu differita la sessione sino al tempo che fosse intimata, e le congregazioni intermesse per 15 giorni.

 

 




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