[La mossa d'armi turba il concilio]
In questo tempo medesimo s'accostò
l'essercito de' protestanti al Tirol per occupar i passi alle genti che
d'Italia dovevano passare all'aiuto dell'imperatore, e da Sebastiano
Schertellino fu presa la Chiusa; perilché quel contado si pose tutto in arme
per impedirgli il progresso, e Francesco Castelalto, che era a guardia del
concilio, andò esso ancora in Ispruc, e munita quella città per prevenire
l'occupazione de' passi, si pose con la sua gente 7 miglia di sopra; il che
fece dubitare che la sede della guerra non dovesse ridursi in quel paese e
disturbar intieramente il concilio. I prelati, che desideravano pretesto di
poter di là ritrarsi, magnificavano i pericoli et i disaggi; al che non
opponendosi i legati nel principio, diedero sospetto che la mente del pontefice
fosse aliena dal proseguir il concilio. Partirono alquanti prelati de' piú
timidi e che non volontieri stavano in Trento, e maggior numero sarebbe
partito, se il cardinale di Trento, tornato di fresco da Roma, non avesse
attestato che il papa ne averebbe sentito dispiacere, et i timidi non fossero
stati confortati da lui e dall'ambasciatore cesareo con sicurargli, atteso il numero
grande che d'Italia veniva, qual averebbe costretto i protestanti a partirsi;
et anco la lettera scritta dal papa a' legati, sopragionta in questi moti, non
gli avesse fatto congiongere l'autorità loro e del papa agli ufficii
degl'altri.
Ma se ben riuscí vano il tentativo de'
protestanti e le cose del Tirol restarono in sicuro, che da quel canto non
rimanesse dubio, Trento andò in confusione per il numero grande de' soldati che
continuamente d'Italia in Germania passava, quale, secondo le convenzioni della
lega, era in tutto al numero di 12000 fanti e 500 cavalli, oltra 200 del duca
di Toscana e 100 del duca di Ferrara. Erano condotti da tutti i famosi capitani
d'Italia, sotto Ottavio Farnese, general capitano, et Alessandro Farnese,
cardinale legato, fratelli, ambi al pontefice nepoti di figlio, e 6000
spagnuoli, soldati proprii di Cesare, tratti di Napoli e Lombardia; e mentre
durò il passaggio de' soldati, che fu sino a mezo agosto, se ben non
s'intermessero affatto le publiche azzioni conciliari, si fecero però meno
frequenti e meno numerose. Ma accioché i vescovi e teologi avessero
trattenimento, il cardinale Santa Croce teneva in casa propria ridozzione de'
letterati, dove si parlava delle cose medesime, ma in modo famigliare e senza
ceremonie.
Publicarono in questo tempo i protestanti
collegati contra Cesare una scrittura inviata a' loro sudditi, piena di
maledicenze contra il pontefice romano, chiamandolo Anticristo, istromento di
Satan, imputandolo che per i tempi passati avesse mandato attaccar fuoco in
diversi luoghi di Sassonia, che ora fosse autore et instigatore della guerra,
che avesse mandato in Germania per avvenenare i pozzi et acque stagnanti,
avvertendo tutti a star diligenti per prender e punire quei venefici; la qual
cosa però pochissimi riputavano verisimile et era stimata una calonnia.
Arrivata la gente del papa nel campo che
si ritrovava in Landisuth il dí 15 agosto, Cesare diede il collar del Tosone ad
Ottavio, suo genero, che gli aveva donato nella celebrazione dell'assemblea di
quell'ordine che tenne il dí di sant'Andrea, e vidde la mostra delle genti del
pontefice con molta approbazione e contento suo d'aver il fiore della milizia
italiana; e nondimeno li fini del pontefice e imperatore, diversi, producevano
occasioni di disgusti. Voleva il cardinale Farnese portare la croce inanzi come
legato dell'essercito, e cosí aveva ordine dal pontefice di fare, publicando
anco indulgenze nel modo per i tempi passati solito farsi nelle cruciate,
dicchiarando che quella era guerra della Chiesa catolica; nissuna delle qual
cose poté ottenere dall'imperatore, il qual aveva per fine mostrar tutto il
contrario, per dar trattenimento a' prencipi luterani che seco erano, et acciò
le città non s'ostinassero contra lui per quella causa. Il cardinale, vedendo
non poter star nel campo in altra qualità con degnità del papa e sua, fermatosi
in Ratisbona fingendosi ammalato, aspettava risposta dall'avo, quale aveva del
tutto avisato.
Poste da tutte due le parti le genti e le
arme in ponto, quantonque ambidue avessero grosso essercito e si
constringessero l'un l'altro presentandosi anco la battaglia, ciascuno quando
vedeva il vantaggio proprio, et occorressero all'uno o all'altro molte buone
occasioni d'acquistar qualche notabil vittoria, nondimeno dal canto de'
protestanti non furono abbracciate per esserle genti commandate dall'elettore
dal lantgravio, con pari autorità, governo negli esserciti sempre di pessima
riuscita; e Cesare ciò conoscendo, per restar superiore senza sangue e per non
dar a' nemici occasione di regolar meglio le cose loro, aspettava che il tempo
gli mettesse in mano la certa vittoria, in luogo di quella che poteva sperare
con altretanto dubio, esponendosi alla fortuna d'una giornata; onde non fu
fatto fazzione di momento e consequenza.
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