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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Sono formati gli articoli de' luterani sopra il libero arbitrio]
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[Sono formati gli articoli de' luterani sopra il libero arbitrio]

Gli articoli furono:

1 Dio è total causa delle opere nostre, cosí buone, come cattive, et è cosí propria opera di Dio la vocazione di Paolo, come l'adulterio di David e la crudeltà di Manlio et il tradimento di Giuda.

2 Nissun ha potestà di pensare male o bene, ma tutto avviene di necessità assoluta, et in noi non è libero arbitrio, ma l'asserirlo è una mera finzione.

3 Il libero arbitrio dopo il peccato d'Adamo è perduto, et è cosa di solo titolo, e mentre fa quello che è in sua potestà, pecca mortalmente, anzi è cosa finta e titolo senza cosa soggetta.

4 Il libero arbitrio è solamente nel far il male, ma non ha potestà di far il bene.

5 Il libero arbitrio mosso da Dio non coopera in alcun conto e segue come un istromento inanimato, overo un animale irrazionale.

6 Che Dio converte quei soli che gli piace, ancorché essi non voglino e recalcitrino.

Sopra i doi articoli primi si parlò piú in forma tragica che teologica: che la dottrina luterana era una sapienza frenetica; che la volontà umana, come è formata da loro, sarebbe una mostruosità; che quelle parole «cosa di solo titolo e titolo senza soggetto» sono portentose; che l'openione è empia e blasfema contra Dio; che la Chiesa l'ha condannata contra i manichei, priscillianisti et ultimamente contra Abailardo e Vigleffo, e che era una pazzia contra il senso commune, esperimentando ogni uomo la propria libertà; che non merita confutazione, ma, come Aristotele dice, o castigo o prova esperimentale. Che i medesimi discepoli di Lutero s'erano accorti della pazzia e, moderando l'assordità, dissero poi esservi libertà nell'uomo in quello che tocca le azzioni esterne politiche et economiche e quanto ad ogni giustizia civile, le quali è sciocco chi non conosce venire dal conseglio et elezzione, restringendosi a negar la libertà quanto alla sola giustizia divina.

Il Marinaro disse che, come il dire nissun'azzione umana esser in nostra potestà è cosa sciocca, cosí non è minor pazzia il dire che ogni una vi sia, esperimentando ogni uno di non aver tutti gli affetti in propria potestà; e l'istesso esser il senso delle scole, che dissero: ne' primi moti non siamo liberi, la qual libertà avendo i beati, perché essi hanno dominio anco sopra i primi moti, esser cosa certa che qualche libertà è in loro, che non in noi. Il Catarino, seguendo l'openione sua, che senza special aiuto di Dio non poteva l'uomo operare bene morale, diceva che in questo si poteva dire non essere libertà, e però il quarto articolo non era da dannarsi cosí facilmente. Il Vega, dopo aver parlato con tanta ambiguità che esso stesso non s'intendeva, concluse che tra la sentenzia de' teologi e de' protestanti non vi era piú differenza veruna, perché concludendo al presente questi una libertà alla giustizia filosofica e non alla sopranaturale et alle opere esterne della legge, non alle interne e spirituali, tanto precisamente è come dire con la Chiesa che non si può esseguire le opere spirituali spettanti alla religione senza l'aiuto di Dio. Se ben egli diceva che si debbe metter ogni studio per la concordia, non però era gratamente sentito, parendo in certo modo pregiudicio che alcuna delle differenze si potesse riconciliare, e costumavano di dire che questa era cosa da colloquii, voce abominata, come che per quella fosse usurpata da' laici l'autorità che è propria de' concilii.

Nacque tra loro una gran disputa se il credere e non credere sia in potestà umana. I francescani lo negavano, seguendo Scoto, qual vuol che, come dalle dimostrazioni per necessità nasce la scienza, cosí dalle persuasioni nasca per necessità la fede, e che essa è nell'intelletto, il quale è agente naturale e mosso naturalmente dall'oggetto. Allegavano l'isperienza che nissun può credere quello che vuol, ma quello che gli par vero, soggiongendo che nissun mai sentirebbe il dispiacere, se potesse credere di non averlo. I dominicani dicevano che niente è piú in potestà della volontà che il credere, e per sola determinazione e risoluzione della volontà l'uomo può credere che il numero delle stelle sia pari, se cosí vorrà.

Sopra il terzo articolo, se per il peccato il libero arbitrio si perdette, essendo addotte molte e molte autorità di sant'Agostino che espressamente lo dicono, né potendosi in altra maniera sfugire, il Soto inventò il modo con dire che la vera libertà è equivoca, potendo derivare overo dal nome libero, overo dal verbo liberare; che nel primo senso s'oppone alla necessità e nel secondo s'oppone alla servitú, e che quando disse sant'Agostino che il libero arbitrio è perduto, non altro volse inferire se non che è fatto servo del peccato e del diavolo; differenza che non fu penetrata, perché anzi per ciò il servo non è libero, perché non può fare la volontà sua, ma è costretto di seguire quella del padrone, e, secondo quel suo parere, non si poteva biasmare Lutero d'aver intitolato un libro De servo arbitrio.

Il quarto articolo a molti parve sciocco, quali dicevano che libertà s'intende una potestà ad ambidoi i contrarii; però non si poteva dire che vi sia la libertà al male, se non è anco al bene. Ma questi furono fatti riconoscere con avvertirgli che i santi in cielo e gli angeli beati sono liberi alla parte solo del ben, però non era inconveniente che altri potessero essere liberi alla sola parte del fare male.

Nell'essaminar il quinto e sesto articolo del consenso che il libero arbitrio presta all'inspirazione divina, overo grazia preveniente, non solo i francescani e dominicani furono d'openione diversa, contendendo quelli che, potendo la volontà da sé medesima prepararsi, tanto piú è in sua libertà d'accettar o rifiutare la divina prevenzione, quando Dio gli porge aiuto, inanzi che usi le forze della natura, e negando i dominicani che le opere precedenti la vocazione siano veramente preparatorie e dando perciò sempre il primo luogo a Dio. Fu nondimeno tra essi dominicani contrasto, deffendendo il Soto che, se ben l'uomo non può acquistar la grazia senza l'aiuto di Dio speciale preveniente, nondimeno in certo modo la volontà sempre può contrastarvi e ricusarlo, e, quando lo riceve, è perché presta il suo assenso e cosí vuole; se non si volesse il nostro assenso, non vi sarebbe causa perché tutti non fossero convertiti; perché, secondo l'Apocalipsi, Dio sta sempre alla porta e batte, et è detto de' padri, fatto anco volgare, che Dio la grazia ad ogn'uno che la vuole; e perché la Scrittura divina sempre ricerca da noi questo consenso, che il dir altrimente è levar la libertà della volontà e dire che Dio usi violenza.

In contrario, dicendo fra Aloisio Cataneo che due sorti di grazia preveniente, secondo la dottrina di san Tomaso, Dio operava nell'animo: l'una sufficiente, l'altra efficace; alla prima può la volontà e consentire e repugnare, ma alla seconda non già, che la contradizzione non comporta che alla efficacia sia repugnato. Allegava per pruova luoghi di san Giovanni e di san Paolo et esposizioni di sant'Agostino molto chiare; rispondeva che aponto di qua nasce che tutti non sono convertiti, perché tutti non sono efficacemente prevenuti; che il timor di offendere il libero arbitrio è stato da san Tomaso levato, il qual disse che sono le cose mosse violentemente, quando da causa contraria, ma dalla causa sua nissuna è mossa per violenza, et essendo Dio causa della volontà, tanto è che sia mossa da Dio, quanto da se stessa; e condannava anzi rideva del modo di parlar de' luterani, che la volontà segue, come un inanimato o irrazionale, perché, essendo razionale di natura, mossa dalla sua causa che è Dio, è mossa come razionale, e come razionale segue; e similmente che Dio converte, se ben non vogliano o ricalcitrino; perché è contradizzione che un effetto ricalcitri alla sua causa; poter avvenire ben che Dio efficacemente converta uno che altre volte prima alla prevenzione sufficiente abbia ricalcitrato, ma non che recalcitri allora, essendo consequente alla efficacia della mozione divina una suavità nella volontà mossa.

Diceva Soto ogni divina inspirazione per sé sola non essere piú che sufficiente, e quella a cui il libero arbitrio ha consentito, da quel consenso acquistare l'efficacia; non prestando consenso, restar inefficace, non per diffetto suo, ma per diffetto dell'uomo; la qual opinione egli difese con gran timidità, perché l'altro gli opponeva che la distinzione degli eletti alli reprobi venirebbe dal canto dell'uomo, contra il perpetuo senso catolico che per la grazia sono distinti i vasi della misericordia da quelli dell'ira; che l'elezione divina sarebbe per le opere prevedute e non per il divino beneplacito; che la dottrina de' padri e de' concilii africani e francesi contra pelagiani sempre ha predicato che Dio gli fa volere, il che tanto vuol dire quanto Dio ci fa consentire; perilché, mettendo in noi consenso, convien attribuirlo all'efficacia divina; che non sarebbe piú obligato a Dio quello che si salva, che quello che resta dannato, se da Dio fossero stati ugualmente trattati. Ma con tutte queste raggioni la contraria opinione ebbe però l'applauso universale, se ben molti confessavano che le raggioni del Cataneo non gli parevano risolute, e dispiaceva loro che il Soto non parlasse liberamente, né dicesse che la volontà consenta in certo modo che può in certo modo repugnare, quasi che tra l'affermazione e la negazione vi sia un certo modo intermedio. Gli turbava anco il parlar franco del Cataneo e d'altri dominicani, che non sapevano distinguer quella opinione, che attribuisce la giustificazione al consenso, dalla pelagiana, e che s'avvertisse di non saltar oltra il segno per troppo volontà di condannare Lutero, sopra tutto essendo stimato quell'argomento che la divina elezzione a predestinazione sarebbe per opere prevedute, che nissun teologo admetteva; la qual anco tirò a parlare della predestinazione.

 

 




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