[Sono formati gli articoli de' luterani
sopra il libero arbitrio]
Gli articoli furono:
1 Dio è total causa delle opere nostre,
cosí buone, come cattive, et è cosí propria opera di Dio la vocazione di Paolo,
come l'adulterio di David e la crudeltà di Manlio et il tradimento di Giuda.
2 Nissun ha potestà di pensare male o
bene, ma tutto avviene di necessità assoluta, et in noi non è libero arbitrio,
ma l'asserirlo è una mera finzione.
3 Il libero arbitrio dopo il peccato
d'Adamo è perduto, et è cosa di solo titolo, e mentre fa quello che è in sua
potestà, pecca mortalmente, anzi è cosa finta e titolo senza cosa soggetta.
4 Il libero arbitrio è solamente nel far
il male, ma non ha potestà di far il bene.
5 Il libero arbitrio mosso da Dio non
coopera in alcun conto e segue come un istromento inanimato, overo un animale
irrazionale.
6 Che Dio converte quei soli che gli
piace, ancorché essi non voglino e recalcitrino.
Sopra i doi articoli primi si parlò piú in
forma tragica che teologica: che la dottrina luterana era una sapienza
frenetica; che la volontà umana, come è formata da loro, sarebbe una mostruosità;
che quelle parole «cosa di solo titolo e titolo senza soggetto» sono
portentose; che l'openione è empia e blasfema contra Dio; che la Chiesa l'ha
condannata contra i manichei, priscillianisti et ultimamente contra Abailardo e
Vigleffo, e che era una pazzia contra il senso commune, esperimentando ogni
uomo la propria libertà; che non merita confutazione, ma, come Aristotele dice,
o castigo o prova esperimentale. Che i medesimi discepoli di Lutero s'erano
accorti della pazzia e, moderando l'assordità, dissero poi esservi libertà
nell'uomo in quello che tocca le azzioni esterne politiche et economiche e
quanto ad ogni giustizia civile, le quali è sciocco chi non conosce venire dal
conseglio et elezzione, restringendosi a negar la libertà quanto alla sola
giustizia divina.
Il Marinaro disse che, sí come il dire
nissun'azzione umana esser in nostra potestà è cosa sciocca, cosí non è minor
pazzia il dire che ogni una vi sia, esperimentando ogni uno di non aver tutti
gli affetti in propria potestà; e l'istesso esser il senso delle scole, che
dissero: ne' primi moti non siamo liberi, la qual libertà avendo i beati,
perché essi hanno dominio anco sopra i primi moti, esser cosa certa che qualche
libertà è in loro, che non in noi. Il Catarino, seguendo l'openione sua, che
senza special aiuto di Dio non poteva l'uomo operare bene morale, diceva che in
questo si poteva dire non essere libertà, e però il quarto articolo non era da
dannarsi cosí facilmente. Il Vega, dopo aver parlato con tanta ambiguità che
esso stesso non s'intendeva, concluse che tra la sentenzia de' teologi e de'
protestanti non vi era piú differenza veruna, perché concludendo al presente
questi una libertà alla giustizia filosofica e non alla sopranaturale et alle
opere esterne della legge, non alle interne e spirituali, tanto precisamente è
come dire con la Chiesa che non si può esseguire le opere spirituali spettanti
alla religione senza l'aiuto di Dio. Se ben egli diceva che si debbe metter
ogni studio per la concordia, non però era gratamente sentito, parendo in certo
modo pregiudicio che alcuna delle differenze si potesse riconciliare, e
costumavano di dire che questa era cosa da colloquii, voce abominata, come che
per quella fosse usurpata da' laici l'autorità che è propria de' concilii.
Nacque tra loro una gran disputa se il
credere e non credere sia in potestà umana. I francescani lo negavano, seguendo
Scoto, qual vuol che, sí come dalle dimostrazioni per necessità nasce la
scienza, cosí dalle persuasioni nasca per necessità la fede, e che essa è
nell'intelletto, il quale è agente naturale e mosso naturalmente dall'oggetto.
Allegavano l'isperienza che nissun può credere quello che vuol, ma quello che
gli par vero, soggiongendo che nissun mai sentirebbe il dispiacere, se potesse
credere di non averlo. I dominicani dicevano che niente è piú in potestà della
volontà che il credere, e per sola determinazione e risoluzione della volontà
l'uomo può credere che il numero delle stelle sia pari, se cosí vorrà.
Sopra il terzo articolo, se per il peccato
il libero arbitrio si perdette, essendo addotte molte e molte autorità di
sant'Agostino che espressamente lo dicono, né potendosi in altra maniera
sfugire, il Soto inventò il modo con dire che la vera libertà è equivoca,
potendo derivare overo dal nome libero, overo dal verbo liberare; che nel primo
senso s'oppone alla necessità e nel secondo s'oppone alla servitú, e che quando
disse sant'Agostino che il libero arbitrio è perduto, non altro volse inferire
se non che è fatto servo del peccato e del diavolo; differenza che non fu
penetrata, perché anzi per ciò il servo non è libero, perché non può fare la
volontà sua, ma è costretto di seguire quella del padrone, e, secondo quel suo
parere, non si poteva biasmare Lutero d'aver intitolato un libro De servo arbitrio.
Il quarto articolo a molti parve sciocco,
quali dicevano che libertà s'intende una potestà ad ambidoi i contrarii; però
non si poteva dire che vi sia la libertà al male, se non è anco al bene. Ma
questi furono fatti riconoscere con avvertirgli che i santi in cielo e gli
angeli beati sono liberi alla parte solo del ben, però non era inconveniente
che altri potessero essere liberi alla sola parte del fare male.
Nell'essaminar il quinto e sesto articolo
del consenso che il libero arbitrio presta all'inspirazione divina, overo
grazia preveniente, non solo i francescani e dominicani furono d'openione
diversa, contendendo quelli che, potendo la volontà da sé medesima prepararsi,
tanto piú è in sua libertà d'accettar o rifiutare la divina prevenzione, quando
Dio gli porge aiuto, inanzi che usi le forze della natura, e negando i
dominicani che le opere precedenti la vocazione siano veramente preparatorie e
dando perciò sempre il primo luogo a Dio. Fu nondimeno tra essi dominicani
contrasto, deffendendo il Soto che, se ben l'uomo non può acquistar la grazia
senza l'aiuto di Dio speciale preveniente, nondimeno in certo modo la volontà
sempre può contrastarvi e ricusarlo, e, quando lo riceve, è perché presta il
suo assenso e cosí vuole; se non si volesse il nostro assenso, non vi sarebbe
causa perché tutti non fossero convertiti; perché, secondo l'Apocalipsi, Dio
sta sempre alla porta e batte, et è detto de' padri, fatto anco volgare, che
Dio dà la grazia ad ogn'uno che la vuole; e perché la Scrittura divina sempre
ricerca da noi questo consenso, che il dir altrimente è levar la libertà della
volontà e dire che Dio usi violenza.
In contrario, dicendo fra Aloisio Cataneo
che due sorti di grazia preveniente, secondo la dottrina di san Tomaso, Dio
operava nell'animo: l'una sufficiente, l'altra efficace; alla prima può la
volontà e consentire e repugnare, ma alla seconda non già, che la
contradizzione non comporta che alla efficacia sia repugnato. Allegava per
pruova luoghi di san Giovanni e di san Paolo et esposizioni di sant'Agostino
molto chiare; rispondeva che aponto di qua nasce che tutti non sono convertiti,
perché tutti non sono efficacemente prevenuti; che il timor di offendere il
libero arbitrio è stato da san Tomaso levato, il qual disse che sono le cose
mosse violentemente, quando da causa contraria, ma dalla causa sua nissuna è
mossa per violenza, et essendo Dio causa della volontà, tanto è che sia mossa
da Dio, quanto da se stessa; e condannava anzi rideva del modo di parlar de'
luterani, che la volontà segue, come un inanimato o irrazionale, perché,
essendo razionale di natura, mossa dalla sua causa che è Dio, è mossa come
razionale, e come razionale segue; e similmente che Dio converte, se ben non
vogliano o ricalcitrino; perché è contradizzione che un effetto ricalcitri alla
sua causa; poter avvenire ben che Dio efficacemente converta uno che altre
volte prima alla prevenzione sufficiente abbia ricalcitrato, ma non che
recalcitri allora, essendo consequente alla efficacia della mozione divina una
suavità nella volontà mossa.
Diceva Soto ogni divina inspirazione per
sé sola non essere piú che sufficiente, e quella a cui il libero arbitrio ha
consentito, da quel consenso acquistare l'efficacia; non prestando consenso,
restar inefficace, non per diffetto suo, ma per diffetto dell'uomo; la qual
opinione egli difese con gran timidità, perché l'altro gli opponeva che la
distinzione degli eletti alli reprobi venirebbe dal canto dell'uomo, contra il
perpetuo senso catolico che per la grazia sono distinti i vasi della misericordia
da quelli dell'ira; che l'elezione divina sarebbe per le opere prevedute e non
per il divino beneplacito; che la dottrina de' padri e de' concilii africani e
francesi contra pelagiani sempre ha predicato che Dio gli fa volere, il che
tanto vuol dire quanto Dio ci fa consentire; perilché, mettendo in noi
consenso, convien attribuirlo all'efficacia divina; che non sarebbe piú
obligato a Dio quello che si salva, che quello che resta dannato, se da Dio
fossero stati ugualmente trattati. Ma con tutte queste raggioni la contraria
opinione ebbe però l'applauso universale, se ben molti confessavano che le
raggioni del Cataneo non gli parevano risolute, e dispiaceva loro che il Soto
non parlasse liberamente, né dicesse che la volontà consenta in certo modo che
può in certo modo repugnare, quasi che tra l'affermazione e la negazione vi sia
un certo modo intermedio. Gli turbava anco il parlar franco del Cataneo e
d'altri dominicani, che non sapevano distinguer quella opinione, che
attribuisce la giustificazione al consenso, dalla pelagiana, e che s'avvertisse
di non saltar oltra il segno per troppo volontà di condannare Lutero, sopra
tutto essendo stimato quell'argomento che la divina elezzione a predestinazione
sarebbe per opere prevedute, che nissun teologo admetteva; la qual anco tirò a
parlare della predestinazione.
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