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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Sono estratti articoli da' libri de' zuingliani sulla predestinazione]
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[Sono estratti articoli da' libri de' zuingliani sulla predestinazione]

Laonde fu deliberato per la connessione cavar anco gli articoli della dottrina de' protestanti in questa materia. Nelle opere di Lutero, nella confessione augustana e nelle apologie e colloquii non fu trovata cosa da censurare, ma ben molte ne' scritti de' zuingliani, da' quali furono tratti i seguenti articoli:

1 Della predestinazione e reprobazione non vi è alcuna cosa dal canto dell'uomo, ma la sola divina voluntà;

2 I predestinati non possono dannarsi, né i reprobi salvarsi;

3 I soli eletti e predestinati veramente si giustificano;

4 I giustificati sono tenuti per fede a credere d'essere nel numero de' predestinati;

5 I giustificati non possono perdere la grazia;

6 Quelli che sono chiamati e non sono del numero de' predestinati, mai ricevono la grazia;

7 Il giustificato è tenuto a credere per fede di dover perseverare sino in fine nella giustizia;

8 Il giustificato è tenuto a credere per fermo che, cadendo dalla grazia, ritornerà a riceverla.

Nell'essamine degli articoli, nel primo aponto furono diverse le opinioni: i piú stimati tra i teologi tennero l'articolo esser catolico, anzi il contrario eretico, perché i buoni scrittori scolastici, san Tomaso, Scoto e la commune cosí sentono, cioè che Dio, inanzi la fabrica del mondo, da tutta la massa del genere umano, per sola e mera sua misericordia, ha eletto soli alcuni alla gloria, a' quali ha preparato efficacemente i mezi per attenerla, che si chiama predestinare; che il numero di questi è certo e determinato, né si può aggiongervi alcuno: gl'altri, che non ha predestinato, non possono dolersi, poiché a quelli ancora Dio ha preparato un aiuto sufficiente per questo, se ben in fatti altri che gli eletti non veniranno all'effetto della salute; per principalissima raggione allegavano che san Paolo a' Romani, avendo fatta essemplare Iacob de' predestinati, Esaú de' reprobati, produce di ciò il decreto divino pronunciato inanzi che nascessero, non per le opere, ma per puro beneplacito. A questa soggiongevano l'essempio del medesimo apostolo, che come il vaselaio di una stessa massa di loto fa un vaso ad uso onorevole e l'altro ad infame, cosí Dio della medesima massa degl'uomini elegge chi gli piace, tralasciati gli altri; e che san Paolo per prova di questo portò il luogo dove Dio disse a Mosè: «Userò misericordia a chi averò fatta misericordia et userò pietà a chi averò avuto pietà»; e concluse esso apostolo che perciò non è di chi vuole, né di chi corre, ma di chi Dio ha compassione, soggiongendo dopo che Dio ha misericordia di chi vuole et indura chi vuole. Dicevano inoltre che per questo rispetto il conseglio della divina predestinazione e reprobazione è chiamato dal medesimo apostolo altezza e profondità di sapienza, impenetrabile et incomprensibile. Aggiongevano luoghi delle altre epistole, dove dice che niente abbiamo se non ricevuto da Dio, che non siamo da noi sufficienti manco a pensar il bene, e dove rendendo la causa perché alcuni si rivoltano dalla fede, restando altri fermi, quella disse essere, perché sta fermo il fondamento di Dio, quale ha questo sigillo, cioè il Signore conosce i suoi. Aggiongevano diversi passi dell'Evangelio di san Giovanni et autorità di sant'Agostino innumerabili, perché quel santo in sua vecchiezza non scrisse altro che a favore di questa dottrina.

Ma alcun altri, se ben meno stimati, a questa opinione s'opponevano, intitolandola dura, crudele, inumana, orribile et empia, come quella che mostrasse parzialità in Dio, se senza alcuna causa motiva elegesse l'uno, ripudiando l'altro, et ingiusta se destinasse alla dannazione gli uomini per propria volontà, non per loro colpe et avesse creato una tanta moltitudine per dannarla; dicevano che distrugge il libero arbitrio, poiché gli eletti non potrebbono finalmente far male, né i reprobi bene; che mette gli uomini nell'abisso della desperazione, col dubio che possano esser reprobati; che ansa a' perversi di sperare sempre male, non curando di penitenzia, col pensare che se sono degli eletti, non periranno, se de' reprobi, è vano di fare bene, che non gli gioverà; confessavano che non solo le opere non sono causa della divina elezzione, perché quella, come eterna, è inanzi loro, ma che né anco le opere prevedute possono mover Dio a predestinare, ma che per sua infinita misericordia vuole che tutti si salvino et a tutti prepara sufficienti aiuti a questo fine, i quali ciascuno uomo, essendo di libero arbitrio, o riceve o rifiuta, secondo che piú gli piace; e Dio nella sua eternità prevede quei che riceveranno gli aiuti e se ne valeranno in bene, e quei che gli ricuseranno, e questi reproba, quelli elegge e predestina. Aggiongevano che altrimenti non si può veder la causa perché Dio si doglia nella Scrittura de' peccatori, né perché essorta tutti alla penitenza e conversione, se non gli efficaci mezi per acquistarle; che quell'aiuto sufficiente, dagli altri inventato, è insufficiente, poiché non ha mai avuto, seconda loro, né è per aver effetto alcuno.

La prima opinione, come ha del misterio et arcano, tenendo la mente umile e rassignata in Dio, senza alcuna confidenza in se stessa, conoscente la deformità del peccato e l'eccellenza della grazia divina, cosí questa seconda era plausibile, popolare, a fomento della presonzione umana et accommodata all'apparenza, aggradiva a' frati professori dell'arte di predicare, piú tosto che di scienzia di teologia, et a' cortegiani pareva probabile, come consenziente alle raggioni politiche: era sostentata dal vescovo di Bitonto e quello di Salpi se ne fece molto parziale; i defensori di questa, usando le raggioni umane, prevalevano gli altri, ma venendo a' testimonii della Scrittura, soccombevano manifestamente.

Il Catarino, tenendo il parer medesimo, per risolvere i luoghi della Scrittura che mettevano tutti in travaglio, inventò una media opinione: che Dio, per sua bontà, ha eletto alcuni pochissimi fuor degli altri, quali vuole onninamente salvare et a' quali ha preparato mezi potentissimi, efficacissimi et infallibili; gli altri tutti, quanto a sé, vuole che siano salvi, et a questo effetto ha apparecchiato a tutti mezi sufficienti, restando in loro libertà l'accettargli e salvarsi, overo, rifiutandogli, dannarsi; e di questi esser alcuni che gli ricevano, e si salvano, se ben non sono degli eletti, e di questi il numero è assai grande; gli altri, che ricusano cooperare a Dio, quale gli vuole salvi, restano dannati. La causa della predestinazione de' primi essere la sola divina volontà; degli altri, l'accettazione e buon uso e cooperazione al divino aiuto preveduto da Dio; e della reprobazione degli ultimi causa esser la previsione della loro perversa volontà in rifiutarlo o abusarlo. Che san Giovanni e san Paolo e tutti i luoghi della Scrittura allegati per l'altra parte, dove tutto è dato a Dio e mostrano infallibilità, s'intendono solamente de' primi e singolarmente privilegiati; e quanto agli altri, a chi è apparecchiata la via commune, si verificano le ammonizioni et essortazioni e generali aiuti; quali chiunque vuol udire e seguire si salva, e chi non vuol, per colpa propria perisce. Di quei pochi, oltre il commune privilegiati, esser il numero determinato e certo appresso Dio; di quell'altri, che per via commune si salvano, come dependente dalla libertà umana, non esser da Dio determinato, se non attesa la previsione delle opere di ciascuno. Diceva il Catarino maravigliarsi molto della stupidità di quelli che dicono esser certo e determinato il numero, e nondimeno aggiongano che gl'altri possono salvarsi; che tanto è dire esser un numero determinato, il qual però può crescere; e parimente di quelli che dicono i reprobati aver un aiuto sufficiente per la salute, essendo però necessario a chi si salva averne un maggiore, che è dire un sufficiente insufficiente.

Aggiongeva che l'opinione di sant'Agostino sia inaudita inanzi a lui, che esso medesimo confessa che non si troverà nelle opere d'alcuno che abbia scritto inanzi i tempi suoi, che egli stesso non sempre l'ebbe per vera, anzi ascrisse la causa della divina volontà a meriti, dicendo: Dio compassiona chi gli piace et indura chi egli vuole; ma quella volontà di Dio non può esser ingiusta, imperoché viene da occoltissimi meriti, e che ne' peccatori vi è diversità e ve ne sono di quelli che, quantonque non giustificati, sono degni della giustificazione; se ben dopo, il calore del disputar contra pelagiani lo trasportò a parlare e sentire il contrario; ma però in quei tempi stessi, quando fu udita la sua sentenzia, tutti i catolici restarono scandalizati, come san Prospero gli scrisse. E Genadio Massiliense, 50 anni dopo, nel giudicio che fa delli scrittori illustri, dice essergli avvenuto, secondo il detto di Salomone, che nel troppo parlare non si può fuggir il peccato, e che per il fallo suo, essaggerato dagli inimici, non era ancora nata questione che partorisse eresia, quasi accenando quel buon padre il suo timore di quello che ora si vede, cioè che per quell'opinione sorga qualche setta e divisione.

La censura del secondo articolo fu varia e consequente alle tre opinioni narrate. Il Catarino aveva la prima parte per vera, attesa l'efficacia della divina volontà verso i singularmente favoriti, ma la seconda falsa, attesa la sufficienza dell'aiuto divino a tutti e la libertà umana in cooperarvi; gli altri, che ascrivendo la causa della predestinazione in tutti al consenso umano, condannavano l'articolo tutto intiero e quanto ad ambedue le parti; ma gli aderenti alla sentenzia di sant'Agostino e commune de' teologi la distinguevano che in senso composito fosse vera et in senso diviso dannabile; sottilità che confondeva la mente a' prelati; e da chi la diceva, se ben essemplificata con dire: chi si move non può star fermo, in senso composito è vero, perché s'intende mentre che si move, ma in senso diviso è falso, cioè in un altro tempo, non era ben inteso, perché, applicando al proposito, non si può dire: il predestinato si può dannare in un tempo che non sia predestinato, poiché è sempre tale, e generalmente il senso diviso non ha luogo, dove l'accidente è inseparabile dal soggetto. Per tanto credevano altri dicchiarare meglio dicendo che Dio regge e move ciascuna cosa secondo la natura propria, la qual nelle cose contingenti è libera e tale che, insieme con l'atto, sta la potestà all'opposito, onde insieme con l'atto de predestinazione, sta la potestà alla reprobazione e dannazione; ma questo era meno inteso che il primo.

Gli altri articoli furono censurati con mirabile concordia; per il terzo e sesto asserendo esser stata perpetua opinione nella Chiesa che molti ricevono e conservano la grazia divina per qualche tempo, i quali poi la perdono et in fine si dannano. Era allegato l'essempio di Saul, di Salomone e de Giuda uno de' 12, cosa piú di tutti evidente per le parole di Cristo al Padre: «Ho custodito in tuo nome quelli che mi hai dato, de' quali non è perito se non il figlio del perdimento». Aggiongevano a questi Nicolò, uno de' 7 diaconi, et altri nella Scrittura prima commendati e poi biasimati, e per complemento d'ogni raggione il caso di Lutero. Contra il sesto particolarmente consideravano che quella vocazione sarebbe una derisione empia, quando chiamati, e niente mancando dal canto loro, non fossero admessi; che i sacramenti per loro non sarebbono efficaci, cose tutte piene d'assordità. Ma per censura del quinto si portava l'autorità del profeta, apunto contraria in termini, dicendo Dio: «Se il giusto abandonerà la giustizia e commetterà iniquità, non mi raccorderò de' suoi benefatti». S'aggiongeva l'essempio de David che commise l'omicidio et adulterio, di Maddalena, e di san Pietro che negò Cristo; si ridevano delle inezzie de' zuingliani, che dicessero insieme il giustificato non poter perder la grazia et in ogni opera peccare. I doi ultimi furono dannati di temerità concordemente, con eccezzione di quelli a chi Dio ha fatto special rivelazione, come a Moisè et a' discepoli, a quali fu rivelato come erano scritti nel libro del cielo.

 

 




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