[Sono estratti articoli da' libri de'
zuingliani sulla predestinazione]
Laonde fu deliberato per la connessione
cavar anco gli articoli della dottrina de' protestanti in questa materia. Nelle
opere di Lutero, nella confessione augustana e nelle apologie e colloquii non
fu trovata cosa da censurare, ma ben molte ne' scritti de' zuingliani, da'
quali furono tratti i seguenti articoli:
1 Della predestinazione e reprobazione non
vi è alcuna cosa dal canto dell'uomo, ma la sola divina voluntà;
2 I predestinati non possono dannarsi, né
i reprobi salvarsi;
3 I soli eletti e predestinati veramente
si giustificano;
4 I giustificati sono tenuti per fede a credere
d'essere nel numero de' predestinati;
5 I giustificati non possono perdere la
grazia;
6 Quelli che sono chiamati e non sono del
numero de' predestinati, mai ricevono la grazia;
7 Il giustificato è tenuto a credere per
fede di dover perseverare sino in fine nella giustizia;
8 Il giustificato è tenuto a credere per
fermo che, cadendo dalla grazia, ritornerà a riceverla.
Nell'essamine degli articoli, nel primo
aponto furono diverse le opinioni: i piú stimati tra i teologi tennero
l'articolo esser catolico, anzi il contrario eretico, perché i buoni scrittori
scolastici, san Tomaso, Scoto e la commune cosí sentono, cioè che Dio, inanzi
la fabrica del mondo, da tutta la massa del genere umano, per sola e mera sua
misericordia, ha eletto soli alcuni alla gloria, a' quali ha preparato
efficacemente i mezi per attenerla, che si chiama predestinare; che il numero
di questi è certo e determinato, né si può aggiongervi alcuno: gl'altri, che
non ha predestinato, non possono dolersi, poiché a quelli ancora Dio ha preparato
un aiuto sufficiente per questo, se ben in fatti altri che gli eletti non
veniranno all'effetto della salute; per principalissima raggione allegavano che
san Paolo a' Romani, avendo fatta essemplare Iacob de' predestinati, Esaú de'
reprobati, produce di ciò il decreto divino pronunciato inanzi che nascessero,
non per le opere, ma per puro beneplacito. A questa soggiongevano l'essempio
del medesimo apostolo, che sí come il vaselaio di una stessa massa di loto fa
un vaso ad uso onorevole e l'altro ad infame, cosí Dio della medesima massa
degl'uomini elegge chi gli piace, tralasciati gli altri; e che san Paolo per
prova di questo portò il luogo dove Dio disse a Mosè: «Userò misericordia a chi
averò fatta misericordia et userò pietà a chi averò avuto pietà»; e concluse
esso apostolo che perciò non è di chi vuole, né di chi corre, ma di chi Dio ha
compassione, soggiongendo dopo che Dio ha misericordia di chi vuole et indura
chi vuole. Dicevano inoltre che per questo rispetto il conseglio della divina
predestinazione e reprobazione è chiamato dal medesimo apostolo altezza e
profondità di sapienza, impenetrabile et incomprensibile. Aggiongevano luoghi
delle altre epistole, dove dice che niente abbiamo se non ricevuto da Dio, che
non siamo da noi sufficienti manco a pensar il bene, e dove rendendo la causa
perché alcuni si rivoltano dalla fede, restando altri fermi, quella disse
essere, perché sta fermo il fondamento di Dio, quale ha questo sigillo, cioè il
Signore conosce i suoi. Aggiongevano diversi passi dell'Evangelio di san
Giovanni et autorità di sant'Agostino innumerabili, perché quel santo in sua
vecchiezza non scrisse altro che a favore di questa dottrina.
Ma alcun altri, se ben meno stimati, a
questa opinione s'opponevano, intitolandola dura, crudele, inumana, orribile et
empia, come quella che mostrasse parzialità in Dio, se senza alcuna causa
motiva elegesse l'uno, ripudiando l'altro, et ingiusta se destinasse alla
dannazione gli uomini per propria volontà, non per loro colpe et avesse creato
una tanta moltitudine per dannarla; dicevano che distrugge il libero arbitrio,
poiché gli eletti non potrebbono finalmente far male, né i reprobi bene; che
mette gli uomini nell'abisso della desperazione, col dubio che possano esser
reprobati; che dà ansa a' perversi di sperare sempre male, non curando di
penitenzia, col pensare che se sono degli eletti, non periranno, se de'
reprobi, è vano di fare bene, che non gli gioverà; confessavano che non solo le
opere non sono causa della divina elezzione, perché quella, come eterna, è
inanzi loro, ma che né anco le opere prevedute possono mover Dio a
predestinare, ma che per sua infinita misericordia vuole che tutti si salvino
et a tutti prepara sufficienti aiuti a questo fine, i quali ciascuno uomo,
essendo di libero arbitrio, o riceve o rifiuta, secondo che piú gli piace; e
Dio nella sua eternità prevede quei che riceveranno gli aiuti e se ne valeranno
in bene, e quei che gli ricuseranno, e questi reproba, quelli elegge e
predestina. Aggiongevano che altrimenti non si può veder la causa perché Dio si
doglia nella Scrittura de' peccatori, né perché essorta tutti alla penitenza e
conversione, se non gli dà efficaci mezi per acquistarle; che quell'aiuto
sufficiente, dagli altri inventato, è insufficiente, poiché non ha mai avuto,
seconda loro, né è per aver effetto alcuno.
La prima opinione, sí come ha del misterio
et arcano, tenendo la mente umile e rassignata in Dio, senza alcuna confidenza
in se stessa, conoscente la deformità del peccato e l'eccellenza della grazia
divina, cosí questa seconda era plausibile, popolare, a fomento della
presonzione umana et accommodata all'apparenza, aggradiva a' frati professori
dell'arte di predicare, piú tosto che di scienzia di teologia, et a' cortegiani
pareva probabile, come consenziente alle raggioni politiche: era sostentata dal
vescovo di Bitonto e quello di Salpi se ne fece molto parziale; i defensori di
questa, usando le raggioni umane, prevalevano gli altri, ma venendo a'
testimonii della Scrittura, soccombevano manifestamente.
Il Catarino, tenendo il parer medesimo,
per risolvere i luoghi della Scrittura che mettevano tutti in travaglio,
inventò una media opinione: che Dio, per sua bontà, ha eletto alcuni pochissimi
fuor degli altri, quali vuole onninamente salvare et a' quali ha preparato mezi
potentissimi, efficacissimi et infallibili; gli altri tutti, quanto a sé, vuole
che siano salvi, et a questo effetto ha apparecchiato a tutti mezi sufficienti,
restando in loro libertà l'accettargli e salvarsi, overo, rifiutandogli,
dannarsi; e di questi esser alcuni che gli ricevano, e si salvano, se ben non
sono degli eletti, e di questi il numero è assai grande; gli altri, che
ricusano cooperare a Dio, quale gli vuole salvi, restano dannati. La causa
della predestinazione de' primi essere la sola divina volontà; degli altri,
l'accettazione e buon uso e cooperazione al divino aiuto preveduto da Dio; e
della reprobazione degli ultimi causa esser la previsione della loro perversa
volontà in rifiutarlo o abusarlo. Che san Giovanni e san Paolo e tutti i luoghi
della Scrittura allegati per l'altra parte, dove tutto è dato a Dio e mostrano
infallibilità, s'intendono solamente de' primi e singolarmente privilegiati; e
quanto agli altri, a chi è apparecchiata la via commune, si verificano le
ammonizioni et essortazioni e generali aiuti; quali chiunque vuol udire e
seguire si salva, e chi non vuol, per colpa propria perisce. Di quei pochi,
oltre il commune privilegiati, esser il numero determinato e certo appresso
Dio; di quell'altri, che per via commune si salvano, come dependente dalla
libertà umana, non esser da Dio determinato, se non attesa la previsione delle
opere di ciascuno. Diceva il Catarino maravigliarsi molto della stupidità di
quelli che dicono esser certo e determinato il numero, e nondimeno aggiongano
che gl'altri possono salvarsi; che tanto è dire esser un numero determinato, il
qual però può crescere; e parimente di quelli che dicono i reprobati aver un
aiuto sufficiente per la salute, essendo però necessario a chi si salva averne
un maggiore, che è dire un sufficiente insufficiente.
Aggiongeva che l'opinione di sant'Agostino
sia inaudita inanzi a lui, che esso medesimo confessa che non si troverà nelle
opere d'alcuno che abbia scritto inanzi i tempi suoi, che egli stesso non
sempre l'ebbe per vera, anzi ascrisse la causa della divina volontà a meriti,
dicendo: Dio compassiona chi gli piace et indura chi egli vuole; ma quella
volontà di Dio non può esser ingiusta, imperoché viene da occoltissimi meriti,
e che ne' peccatori vi è diversità e ve ne sono di quelli che, quantonque non
giustificati, sono degni della giustificazione; se ben dopo, il calore del
disputar contra pelagiani lo trasportò a parlare e sentire il contrario; ma
però in quei tempi stessi, quando fu udita la sua sentenzia, tutti i catolici
restarono scandalizati, come san Prospero gli scrisse. E Genadio Massiliense,
50 anni dopo, nel giudicio che fa delli scrittori illustri, dice essergli
avvenuto, secondo il detto di Salomone, che nel troppo parlare non si può
fuggir il peccato, e che per il fallo suo, essaggerato dagli inimici, non era
ancora nata questione che partorisse eresia, quasi accenando quel buon padre il
suo timore di quello che ora si vede, cioè che per quell'opinione sorga qualche
setta e divisione.
La censura del secondo articolo fu varia e
consequente alle tre opinioni narrate. Il Catarino aveva la prima parte per
vera, attesa l'efficacia della divina volontà verso i singularmente favoriti,
ma la seconda falsa, attesa la sufficienza dell'aiuto divino a tutti e la
libertà umana in cooperarvi; gli altri, che ascrivendo la causa della
predestinazione in tutti al consenso umano, condannavano l'articolo tutto
intiero e quanto ad ambedue le parti; ma gli aderenti alla sentenzia di
sant'Agostino e commune de' teologi la distinguevano che in senso composito
fosse vera et in senso diviso dannabile; sottilità che confondeva la mente a'
prelati; e da chi la diceva, se ben essemplificata con dire: chi si move non
può star fermo, in senso composito è vero, perché s'intende mentre che si move,
ma in senso diviso è falso, cioè in un altro tempo, non era ben inteso, perché,
applicando al proposito, non si può dire: il predestinato si può dannare in un
tempo che non sia predestinato, poiché è sempre tale, e generalmente il senso diviso
non ha luogo, dove l'accidente è inseparabile dal soggetto. Per tanto credevano
altri dicchiarare meglio dicendo che Dio regge e move ciascuna cosa secondo la
natura propria, la qual nelle cose contingenti è libera e tale che, insieme con
l'atto, sta la potestà all'opposito, onde insieme con l'atto de
predestinazione, sta la potestà alla reprobazione e dannazione; ma questo era
meno inteso che il primo.
Gli altri articoli furono censurati con
mirabile concordia; per il terzo e sesto asserendo esser stata perpetua
opinione nella Chiesa che molti ricevono e conservano la grazia divina per
qualche tempo, i quali poi la perdono et in fine si dannano. Era allegato
l'essempio di Saul, di Salomone e de Giuda uno de' 12, cosa piú di tutti
evidente per le parole di Cristo al Padre: «Ho custodito in tuo nome quelli che
mi hai dato, de' quali non è perito se non il figlio del perdimento».
Aggiongevano a questi Nicolò, uno de' 7 diaconi, et altri nella Scrittura prima
commendati e poi biasimati, e per complemento d'ogni raggione il caso di
Lutero. Contra il sesto particolarmente consideravano che quella vocazione
sarebbe una derisione empia, quando chiamati, e niente mancando dal canto loro,
non fossero admessi; che i sacramenti per loro non sarebbono efficaci, cose tutte
piene d'assordità. Ma per censura del quinto si portava l'autorità del profeta,
apunto contraria in termini, dicendo Dio: «Se il giusto abandonerà la giustizia
e commetterà iniquità, non mi raccorderò de' suoi benefatti». S'aggiongeva
l'essempio de David che commise l'omicidio et adulterio, di Maddalena, e di san
Pietro che negò Cristo; si ridevano delle inezzie de' zuingliani, che dicessero
insieme il giustificato non poter perder la grazia et in ogni opera peccare. I
doi ultimi furono dannati di temerità concordemente, con eccezzione di quelli a
chi Dio ha fatto special rivelazione, come a Moisè et a' discepoli, a quali fu
rivelato come erano scritti nel libro del cielo.
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