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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Si formano gli anatematismi, e sono fatti sí larghi che servono solo a condannar i luterani, e non a decidere le dispute de' catolici]
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[Si formano gli anatematismi, e sono fatti sí larghi che servono solo a condannar i luterani, e non a decidere le dispute de' catolici]

Finito l'essamine de' teologi sopra il libero arbitrio e predestinazione e formati anco gli anatematismi in quelle materie, furono aggregati a quei della giustificazione a' luoghi opportuni; a' quali era opposto da chi in una parte, da chi in una altra, dove pareva che vi fosse qualche parola che pregiudicasse all'opinione propria. Ma Giacomo Cocco, arcivescovo di Corfú, considerò che da' teologi erano censurati gli articoli con molte limitazioni et ampliazioni, le quali conveniva inserire negli anatematismi, acciò non si dannasse assolutamente proposizione, la quale potesse ricevere buon senso; massime stante il debito dell'umanità di ricevere sempre l'interpretazione piú benigna, e quello della carità di non pensare male. Fu da diversi contradetto, prima per l'uso de' antichi concilii, quali hanno dannato le proposizioni eretiche senza limitazione e nude, come sono dagli eretici asserite, e massime che in materia di fede, per condannar un articolo, basta abbia un senso falso che possi indur in errore gli incauti. Parevano ambedue le opinioni raggionevoli. La prima, perché era giusto che si sapesse che senso era dannato; la seconda perché non era degnità del concilio limitare le proposizioni degli eretici. S'aggiongeva a questo che tutti i canoni erano composti recitando l'opinione dannabile e soggiongendo per causa della condanna i luoghi della Scrittura o la dottrina della Chiesa alla quale s'oppone, pigliata la forma dal concilio d'Oranges et a similitudine di quei del peccato originale nella sessione precedente. Ma riuscendo nella maggior parte la lezzione longa e tediosa, e la mistura di verità con falsità insieme e delle cose reprobate con le approbate, non facilmente intelligibile, raccordò opportunamente il Sinigaglia rimedio ad ambidoi gli inconvenienti, che era molto meglio separar la dottrina catolica dalla contraria e far due decreti: in una tutto continuatamente dicchiarar e confermar il senso della Chiesa, nell'altro condannar et anatematizare il contrario. Piacque a tutti il raccordo e cosí fu deliberato, e prima formati gli anatematismi separatamente, e poi data opera a formar l'altro decreto; e chiamarono questo il decreto della dottrina, e quello i canoni, il qual stile fu poi seguito anco nella seconda e terza ridozzione del concilio.

S'affaticò sopra ogni credenza il Santa Croce per formar quei decreti, con evitare quanto fu possibile d'inserirvi alcuna delle cose controverse tra scolastici, e quelle che non poté tralasciare, toccandole in tal maniera che ogni una restasse contenta; in ogni congregazione che si faceva avvertiva tutta quella che da alcuna non era approvata e lo levava, overo racconciava secondo l'aviso, e non solo nelle congregazioni, ma con ciascuno in particolare parlava, intendeva i dubii di tutti et i pareri ricercava: variò con diversi ordini la materia, mutò ora una parte, ora un'altra, in tanto che gli ridusse nella forma nella quale sono, che a tutti piacque e da tutti fu approvata. Certo è che sopra queste materie furono tenute congregazioni parte de' teologi, parte de' prelati al numero di 100, e che dal principio del settembre sino al fine di novembre non passò giorno che il cardinale non mettesse mano in quello che prima era scritto e non facesse qualche mutazione; ebbe avvertenza anco a cose minime. Resta la memoria delle mutazioni, de' quali ne raccontarò qui 2 come per saggio delle molte che sarebbe noioso rammemorare. Nel primo capo della dottrina, con assenso commune, fu prima scritto che né i gentili per virtú della natura, né i giudei per la legge di Moisè potevano liberarsi dal peccato; e perché tenevano molti che la circoncisione rimettesse i peccati, presero sospetto che quelle parole potessero pregiudicare all'opinione loro, quantonque in piú d'un luogo san Paolo in termini formali abbia detto l'istesso. Per sodisfargli il cardinale in luogo che diceva: «Per ipsam etiam legem Moysi», mutò e disse: «Per ipsam etiam literam legis Moysi», et ogni mediocre intendente della teologia può da sé giudicare quanto bene quella voce «literam» convenga in quel luogo. E nel principio dell'ottavo capo non si contentarono quei della certezza della grazia che si dicesse i peccati non esser rimessi all'uomo per la certezza della remissione e perché si confidi in quella. Et il cardinale gli sadisfece escludendo la certezza reale e costituendo in luogo di quella la iattanzia e la confidenza in quella sola. Et in fine del capo può ogni uno chiaramente vedere che la causa doveva esser resa con dire: «perché nissun può sapere certamente d'aver acquistata la grazia di Dio»; ma per sodisfazzione d'una parte convenne aggiongere «certezza di fede»; né bastando questa a' dominicani, instarono che s'aggiongesse «catolica». Ma gli aderenti al Catarino non contentandosi, in luogo di quelle parole «fede catolica», si disse: «fede, la qual non può sottogiacere a falsità». Il qual modo contentò ambe le parti, perché gli uni inferivano: adonque quella certezza di fede che si può aver in ciò, può esser falsa e per tanto incerta; gli altri inferivano che tal certezza non può avere dubio di falsità per quel tempo che si tiene; ma per la mutazione che può avvenire passando da stato di grazia a quello di peccato, può diventar falsa, come tutte le verità di presente contingenti, ancorché certissime et indubitatissime, con la mutazione delle cose sogette diventano false; ma la fede catolica non solo è certa, ma anco immutabile, per aver sogette cose necessarie o passate, che non ricevono mutazione.

E veramente, considerando questi particolari, convien non defraudare il cardinale della lode meritata, che sapesse dar sodisfazzione anco a' pertinaci in contrarie opinioni, e quei che vorranno rendersi di ciò maggiormente certificati, doveranno saper che, immediate dopo la sessione, fra Dominico Soto, principale tra' dominicani, si pose a scrivere tre libri, che intitolò De natura et gratia, per commentarii di questa dottrina, e con le sue esposizioni vi trovò dentro tutte le opinioni sue. Et uscita quella opera, fra Andrea Vega, piú stimato tra' francescani, diede in luce esso anco 15 gran libri per commentarii sopra gli 16 capi di quel decreto, e lo interpretò secondo l'opinione propria tutto; le qual 2 opinioni non solo hanno tra loro gran diversità quasi in tutti gli articoli, ma, in molti, espressa et evidente contrarietà. Et ambedue queste opere si viddero stampate l'anno 1548 e chi le leggerà, osservando che molto spesso dànno alle parole del concilio sensi alternativi e dubiosi, si maraveglierà come questi doi soggetti, i primi di dottrina e stima, che piú degli altri ebbero parte in quello, non fossero conscii dell'unico senso e vero scopo della sinodo: del quale avendo anco parlato diversamente quei pochi degli interessati che dopo hanno scritto, non ho mai potuto penetrare se quell'adunanza convenisse in un senso opur vi fosse solo unità di parole. Ma tornando al cardinale, come il decreto fu approvato da tutti in Trento, la mandò al pontefice, che lo diede a consultare a' frati et altri letterati di Roma, e da tutti fu approvato per la medesima raggione, che ogni uno lo poté intendere secondo il proprio senso.

 

 




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