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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [In materia di riforma vanamente si propone l'articolo della qualità de' prelati; la residenza eccita contese: discorso dell'origine di questa materia]
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[In materia di riforma vanamente si propone l'articolo della qualità de' prelati; la residenza eccita contese: discorso dell'origine di questa materia]

Ho narrato tutto insieme quello che fu maneggiato in materia di fede per non dividere le cose congionte: ma tra tanto qualche giorni anco fu trattato della riforma, et in quelle congregazioni fu proposto di statuir le qualità requisite nella promozione de' prelati maggiori et altri ministri della Chiesa. E furono dette gravissime sentenzie con grand'apparato, ma il modo d'introdurne l'osservanza non si trovò; perché dove i re hanno la presentazione, non si vedeva con che legami astringergli; dove l'elezzione ha ancora luogo, i capitoli sono di persone grandi e potenti; quanto al rimanente, tutte le prelature sono di collazione del papa, e gli altri beneficii per piú di 2 terzi reservati alla Sede apostolica, alla quale non è conveniente dare legge; onde, dopo molti e lunghi discorsi, si concluse meglio esser il tralasciare questa considerazione.

Non furono manco in numero, né piú brevi i raggionamenti in materia della residenza, i quali, se ben non terminarono in quella risoluzione che era necessaria e desiderata da molti, nondimeno ebbero in questo tempo qualche confusione, e prepararono materia ad altri. Per intelligenza delle qual cose è necessario ripigliare questa materia dal suo principio.

I gradi ecclesiastici non furono nell'origine loro instituiti come dignità, preminenze, premii overo onori, come oggidí e da molti centinara d'anni gli vediamo, ma con ministerii, carichi, detti con un altro nome da san Paolo «opere», e da Cristo nostro Signore, nell'Evangelio, «operarii»; però non poteva allora entrar in pensiero ad alcuno d'assentarsi dall'essequirgli in persona propria; e se pur uno (il che rare volte occorreva) dall'opera si retirava, non vi era raggione che titolo o emolumento alcuno gli restasse. E quantonque fossero i ministerii di 2 sorti, alcuni che anticamente chiamavano del Verbo, et al presente si dice di cura d'anime, et altri delle cose temporali, per il vitto e servizio de' poveri et infermi, come erano le diaconie et altre sobalterne opere, ugualmente tutti si tenevano ubligati a quel servizio in propria persona, né mai alcuno averebbe pensato di servir per sostituto, salvo che in brevissimo tempo per urgenti impedimenti, né meno averebbe preso un altro carico che fosse d'impedimento a quello. Aumentata la Chiesa, dove il popolo cristiano era numeroso e libero dalle persecuzioni, altra sorte de ministri fu instituita per servire nelle adunanze ecclesiastiche, cosí nel leggere le divine Scritture, come in altre fonzioni, a fine d'eccitar la divozione. Furono anco instituiti collegii de ministri, che in commune attendessero ad alcun carico, et altri, come seminarii, di onde cavare ministri già instrutti. Questi de' collegii, non avendo carico personale, poiché la congregazione tanto amministrava con un piú come con un meno, alle volte o per causa di studio, o di maggior instruzzione, o per altra, restavano assenti dalla Chiesa, chi per breve, chi per longo tempo, non però tenendo titolo, né carica alcuna, né meno ricevendo alcun emolumento; cosí san Gieronimo, prete antiocheno, ma senza cura particolare, e Ruffino d'Aquileia, al modo stesso, e san Paolino, ordinato prete di Barcellona, poco risedettero. Cresciuto poi il numero di questi, degenerò in abuso, e gli fu dato nome de clerici vagabondi, perché erano fatti con quel modo di vivere odiosi de' quali spesso si parla nelle leggi e Novelle di Giustiniano; non però mai fu pensato di tener il titolo d'un ufficio e goderne gli emolumenti, non servendo, se non dopo il 700 nella Chiesa occidentale, quando i ministerii ecclesiastici hanno mutato stato, e sono fatti gradi de dignità et onori, et anco premii per servizii prestati. E come già nelle promozioni ecclesiastiche, considerato il bisogno della Chiesa, si provedeva di persona atta a quel ministerio, cosí dopo, considerate le qualità della persona, si provede di grado, degnità a emolumento che gli convenga; dal che è nata l'essercitare l'opera et il ministerio per sostituto. Questo abuso introdotto ha tirato per consequenza un altro seco, cioè riputarsi disubligato non solo di ministrare, ma anco di stare presente et assistere a quello che opera in suo luogo: e veramente, dove non è eletta l'industria della persona per l'opera, ma è provista di luogo e grado alla persona, non è raggione che sia astretta ad operare per se stessa, né assistere all'operante. Il disordine era tanto inanzi passato, che averebbe destrutto l'ordine clericale, se i pontefici romani non avessero in parte ovviato, commandando che i prelati et altri curati, quantonque per sostituti essercitassero il carico, fossero nondimeno tenuti all'assistenza del luogo che chiamarono residenza; al che anco volsero ubligare i canonici, non constringendo a questo gl'altri chierici beneficiati, né di loro parlando, ma lasciandogli alla consuetudine, anzi abuso introdotto, dal qual silenzio nacque che si riputarono disubligati; né a' pontefici dispiacque quel volontario inganno, ben vedendo che terminerebbe in grandezza della loro corte; e di qui venne la perniziosa e non mai a bastanza detestanda distinzione de beneficii di residenza e non residenza, la quale è seguita cosí nella dottrina, come nell'opera, senza nissun rossore dell'assordità che seco apertamente porta, cioè che sia dato titolo e salario senza obligazione; e per palliarla, anzi piú tosto farla apparire piú vergognosa, avendo i canonisti una massima che convince l'assordità, cioè ogni beneficio è dato per l'ufficio, [l']hanno esposto intendendo per ufficio le preci orarie del breviario, che sia data un'entrata di mille, di dieci mille e piú scudi per questo solo, acciò si pigli in mano un breviario e legga con quanta velocità può la lingua in sommessa voce, senza attender anco ad altro che alla prononcia delle parole. Ma la distinzione de' dottori e la provisione de' pontefici romani aummentarono in poco tempo l'abuso, imperoché, senza di quelle, alcuno pur de' beneficiati semplici si sarebbe fatto conscienzia, che con quelle ogni uno ha giustificato l'abuso per cosa lecita. E quanto a' curati, introdusse la dispensa ponteficia, non mai negata a chi la ricerca in quel modo, che fa impetrar ogni cosa a Roma, onde i soli poveri e quelli che ne ricevano commodo risedevano, e l'abuso prima in minima parte per leggi ponteficie rimediato, per le dispense non solo salí al colmo, ma si sparse anco fuori infettando la terra. Dopo i moti della Germania nella religione, che diedero occasione di parlare e desiderare riforma, ascrivendo ogni uno il male alla negligenza e poca cura de' prelati, e desiderando vedergli al governo delle chiese, detestando le dispense, cause dell'assenza, furono introdotti discorsi dell'ubligazione loro, et alcuni uomini pii, fra quali frate Tomaso Gaetano cardinale, affermarono l'obligo della residenza esser de legge divina: et avvenne, come in tutte le cose occorre, che la passione precedente persuade l'opinione piú rigida e l'ubligazione piú stretta e la disubligazione piú difficile, quest'era dandogli vigor di legge divina. I prelati, vedendo il male, ma desiderando che fosse iscusabile e di colpa leggiera, si diedero all'opinione che non da Dio, ma dal pontefice erano ubligati, imperoché cosí la dispensa a la taciturnità del papa gli salvava. Con queste previe disposizioni di dottrina fu nel concilio proposta la materia, come si è detto; la quale perché partorí controversia nel principio non molto grave, ma in progresso maggiore, e nel fine, che fu negl'anni 1562 e 1563, grandissima, non è stata fuori di proposito questa recapitolazione, né sarà il raccontare qualche particolari occorsi.

Adonque, se ben gl'articoli primieramente proposti non furono se non di stringer maggiormente i precetti, aggiongerci pene e levare gli impedimenti e facilitare l'essecuzione, e tutti concordavano, allegando persuasioni cavate dalla Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento, e da' canoni de' concilii e dottrina de' padri, et anco dagli inconvenienti che dal non resedere erano nati, nondimeno la maggior parte de teologi e de' dominicani massime, passarono a determinare che l'ubligazione fosse per legge divina. Frate Bartolomeo Caranza e frate Dominico Soto, spagnuoli, erano autori piú principali; le raggioni piú fondate che adducevano furono perché il vescovato era instituito da Cristo come ministerio et opera, adonque ricerca azzione personale, che non può far l'assente; che Cristo, descrivendo le qualità del buon pastore, dice che metta la vita per il gregge, conosce le pecorelle per nome e camina inanzi loro. Dall'altra parte i canonisti et i prelati italiani disputavano che l'obligo fosse per legge ecclesiastica, allegando che mai si troverà degli antichi alcuno non residente ripreso come transgressor della divina legge, ma solo de' canoni. Che Timoteo, se ben vescovo efesino, piú tempo fu in viaggio per ordine di san Paolo; che a san Pietro è detto che pasca le agnelle, il che s'intende di tutte, e pur non può esser per tutto presente: cosí può il vescovo adempire il precetto di pascere senza resedere. Rispondevano anco alle raggioni contrarie, dicendo che le condizioni del pastore da Cristo proposte non convengono ad altro che a lui proprio.

Fra Ambrosio Catarino, se ben dominicano, era contrario agli altri; diceva che il vescovato, quale è instituzione di Cristo, è uno solo, quello che ha il papa: degli altri l'instituzione è del pontefice, il quale, come egli parte la quantità et il numero delle pecorelle da pascere, cosí egli prescrive anco il modo e la qualità. Perilché al papa sta ordinare a ciascun vescovo che per se stesso o per sostituto attenda al gregge, come glielo può assegnare e molto e poco, e privarlo anco della potestà del pascere. Tomaso Campeggia, vescovo di Feltre, rispondeva in un altro modo: che il vescovo, come san Gieronimo testifica, è instituzione di Cristo, ma la divisione de' vescovati fu instituita dopo dalla Chiesa; che Cristo a tutti gli apostoli diede cura di pascere, ma non gli legò ad un luogo, come anco le azzioni apostoliche e de' discepoli loro mostrano l'aver assegnato questa porzione del gregge ad uno e quella ad altro fu instituzione ecclesiastica per meglio governare.

Queste cose furono trattate con assai passione tra i vescovi: i spagnuoli non solo aderivano, ma anco fomentavano et incitavano i teologi de iure divino, avendo un arcano, che tra loro solo communicavano, d'aggrandire l'autorità episcopale; imperoché se una volta fosse deciso che da Cristo avessero la cura di reggere la loro chiesa, resterebbe anco deciso che da lui hanno l'autorità perciò necessaria, né il papa potrebbe restringerla. Questi dissegni erano subodorati dagli aderenti alla corte, però, attesa l'importanza della cosa, essi ancora facevano animo a' defensori della contraria. I legati giudicavano meglio ovviare al pericolo, mostrando di non accorgersi, et a questo fine mirando, per allora dissero che la materia era difficile et aveva bisogno di maggior essame; perché dove le cose sono controverse tra li stessi catolici non è da venire a decisione che danni una parte, per non far scisma et a fine di non seminare contenzioni, per poter unitamente attendere a condannare i luterani: però ad un'altra sessione era meglio differire la dicchiarazione, quo iure sia debita. Ad alcuni pareva che bastasse rinovare i canoni e decretali vecchi in questa materia, dicendo che sono assai severi, avendo la pena di privazione, et anco raggionevoli, admettendo le legitime scuse; restava trovare via che non fossero concesse dispense, e tanto era bastante. Altri sentivano che era necessario eccitarla con nuove pene et attendere a levare gli impedimenti, che piú importava, poiché, quelli levati, sarebbe la residenza seguita, e poco rilevava di onde l'obligo venisse, purché fosse esseguito; che fatto questo, s'averebbe potuto discutere meglio la materia. Alla maggior parte piacque che si facesse l'un e l'altro; a che consentirono i legati con questo, che delle dispense non si parlasse; ma per far che non fossero ricchieste, si levassero gli impedimenti che provengono per le essenzioni; nel che non vi fu meno che dire e che contendere tra quelli che tenevano ogni essenzione per abuso e quelli che l'avevano per necessaria nella Chiesa, reprobando solamente gli eccessi.

 

 




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