[In materia di riforma vanamente si
propone l'articolo della qualità de' prelati; la residenza eccita contese:
discorso dell'origine di questa materia]
Ho narrato tutto insieme quello che fu
maneggiato in materia di fede per non dividere le cose congionte: ma tra tanto
qualche giorni anco fu trattato della riforma, et in quelle congregazioni fu
proposto di statuir le qualità requisite nella promozione de' prelati maggiori
et altri ministri della Chiesa. E furono dette gravissime sentenzie con
grand'apparato, ma il modo d'introdurne l'osservanza non si trovò; perché dove
i re hanno la presentazione, non si vedeva con che legami astringergli; dove
l'elezzione ha ancora luogo, i capitoli sono di persone grandi e potenti;
quanto al rimanente, tutte le prelature sono di collazione del papa, e gli
altri beneficii per piú di 2 terzi reservati alla Sede apostolica, alla quale
non è conveniente dare legge; onde, dopo molti e lunghi discorsi, si concluse
meglio esser il tralasciare questa considerazione.
Non furono manco in numero, né piú brevi i
raggionamenti in materia della residenza, i quali, se ben non terminarono in
quella risoluzione che era necessaria e desiderata da molti, nondimeno ebbero
in questo tempo qualche confusione, e prepararono materia ad altri. Per
intelligenza delle qual cose è necessario ripigliare questa materia dal suo
principio.
I gradi ecclesiastici non furono
nell'origine loro instituiti come dignità, preminenze, premii overo onori, sí
come oggidí e da molti centinara d'anni gli vediamo, ma con ministerii,
carichi, detti con un altro nome da san Paolo «opere», e da Cristo nostro
Signore, nell'Evangelio, «operarii»; però non poteva allora entrar in pensiero
ad alcuno d'assentarsi dall'essequirgli in persona propria; e se pur uno (il
che rare volte occorreva) dall'opera si retirava, non vi era raggione che
titolo o emolumento alcuno gli restasse. E quantonque fossero i ministerii di 2
sorti, alcuni che anticamente chiamavano del Verbo, et al presente si dice di
cura d'anime, et altri delle cose temporali, per il vitto e servizio de' poveri
et infermi, come erano le diaconie et altre sobalterne opere, ugualmente tutti
si tenevano ubligati a quel servizio in propria persona, né mai alcuno averebbe
pensato di servir per sostituto, salvo che in brevissimo tempo per urgenti
impedimenti, né meno averebbe preso un altro carico che fosse d'impedimento a
quello. Aumentata la Chiesa, dove il popolo cristiano era numeroso e libero
dalle persecuzioni, altra sorte de ministri fu instituita per servire nelle
adunanze ecclesiastiche, cosí nel leggere le divine Scritture, come in altre
fonzioni, a fine d'eccitar la divozione. Furono anco instituiti collegii de
ministri, che in commune attendessero ad alcun carico, et altri, come
seminarii, di onde cavare ministri già instrutti. Questi de' collegii, non
avendo carico personale, poiché la congregazione tanto amministrava con un piú
come con un meno, alle volte o per causa di studio, o di maggior instruzzione,
o per altra, restavano assenti dalla Chiesa, chi per breve, chi per longo
tempo, non però tenendo titolo, né carica alcuna, né meno ricevendo alcun
emolumento; cosí san Gieronimo, prete antiocheno, ma senza cura particolare, e
Ruffino d'Aquileia, al modo stesso, e san Paolino, ordinato prete di
Barcellona, poco risedettero. Cresciuto poi il numero di questi, degenerò in
abuso, e gli fu dato nome de clerici vagabondi, perché erano fatti con quel
modo di vivere odiosi de' quali spesso si parla nelle leggi e Novelle di
Giustiniano; non però mai fu pensato di tener il titolo d'un ufficio e goderne
gli emolumenti, non servendo, se non dopo il 700 nella Chiesa occidentale,
quando i ministerii ecclesiastici hanno mutato stato, e sono fatti gradi de
dignità et onori, et anco premii per servizii prestati. E sí come già nelle
promozioni ecclesiastiche, considerato il bisogno della Chiesa, si provedeva di
persona atta a quel ministerio, cosí dopo, considerate le qualità della
persona, si provede di grado, degnità a emolumento che gli convenga; dal che è
nata l'essercitare l'opera et il ministerio per sostituto. Questo abuso
introdotto ha tirato per consequenza un altro seco, cioè riputarsi disubligato
non solo di ministrare, ma anco di stare presente et assistere a quello che
opera in suo luogo: e veramente, dove non è eletta l'industria della persona
per l'opera, ma è provista di luogo e grado alla persona, non è raggione che
sia astretta ad operare per se stessa, né assistere all'operante. Il disordine
era tanto inanzi passato, che averebbe destrutto l'ordine clericale, se i
pontefici romani non avessero in parte ovviato, commandando che i prelati et
altri curati, quantonque per sostituti essercitassero il carico, fossero nondimeno
tenuti all'assistenza del luogo che chiamarono residenza; al che anco volsero
ubligare i canonici, non constringendo a questo gl'altri chierici beneficiati,
né di loro parlando, ma lasciandogli alla consuetudine, anzi abuso introdotto,
dal qual silenzio nacque che si riputarono disubligati; né a' pontefici
dispiacque quel volontario inganno, ben vedendo che terminerebbe in grandezza
della loro corte; e di qui venne la perniziosa e non mai a bastanza detestanda
distinzione de beneficii di residenza e non residenza, la quale è seguita cosí
nella dottrina, come nell'opera, senza nissun rossore dell'assordità che seco
apertamente porta, cioè che sia dato titolo e salario senza obligazione; e per
palliarla, anzi piú tosto farla apparire piú vergognosa, avendo i canonisti una
massima che convince l'assordità, cioè ogni beneficio è dato per l'ufficio,
[l']hanno esposto intendendo per ufficio le preci orarie del breviario, sí che
sia data un'entrata di mille, di dieci mille e piú scudi per questo solo, acciò
si pigli in mano un breviario e legga con quanta velocità può la lingua in
sommessa voce, senza attender anco ad altro che alla prononcia delle parole. Ma
la distinzione de' dottori e la provisione de' pontefici romani aummentarono in
poco tempo l'abuso, imperoché, senza di quelle, alcuno pur de' beneficiati
semplici si sarebbe fatto conscienzia, che con quelle ogni uno ha giustificato
l'abuso per cosa lecita. E quanto a' curati, introdusse la dispensa ponteficia,
non mai negata a chi la ricerca in quel modo, che fa impetrar ogni cosa a Roma,
onde i soli poveri e quelli che ne ricevano commodo risedevano, e l'abuso prima
in minima parte per leggi ponteficie rimediato, per le dispense non solo salí
al colmo, ma si sparse anco fuori infettando la terra. Dopo i moti della
Germania nella religione, che diedero occasione di parlare e desiderare
riforma, ascrivendo ogni uno il male alla negligenza e poca cura de' prelati, e
desiderando vedergli al governo delle chiese, detestando le dispense, cause
dell'assenza, furono introdotti discorsi dell'ubligazione loro, et alcuni
uomini pii, fra quali frate Tomaso Gaetano cardinale, affermarono l'obligo
della residenza esser de legge divina: et avvenne, come in tutte le cose
occorre, che la passione precedente persuade l'opinione piú rigida e
l'ubligazione piú stretta e la disubligazione piú difficile, quest'era dandogli
vigor di legge divina. I prelati, vedendo il male, ma desiderando che fosse
iscusabile e di colpa leggiera, si diedero all'opinione che non da Dio, ma dal pontefice
erano ubligati, imperoché cosí la dispensa a la taciturnità del papa gli
salvava. Con queste previe disposizioni di dottrina fu nel concilio proposta la
materia, come si è detto; la quale perché partorí controversia nel principio
non molto grave, ma in progresso maggiore, e nel fine, che fu negl'anni 1562 e
1563, grandissima, non è stata fuori di proposito questa recapitolazione, né
sarà il raccontare qualche particolari occorsi.
Adonque, se ben gl'articoli primieramente
proposti non furono se non di stringer maggiormente i precetti, aggiongerci
pene e levare gli impedimenti e facilitare l'essecuzione, e tutti concordavano,
allegando persuasioni cavate dalla Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento, e
da' canoni de' concilii e dottrina de' padri, et anco dagli inconvenienti che
dal non resedere erano nati, nondimeno la maggior parte de teologi e de'
dominicani massime, passarono a determinare che l'ubligazione fosse per legge
divina. Frate Bartolomeo Caranza e frate Dominico Soto, spagnuoli, erano autori
piú principali; le raggioni piú fondate che adducevano furono perché il
vescovato era instituito da Cristo come ministerio et opera, adonque ricerca
azzione personale, che non può far l'assente; che Cristo, descrivendo le
qualità del buon pastore, dice che metta la vita per il gregge, conosce le
pecorelle per nome e camina inanzi loro. Dall'altra parte i canonisti et i
prelati italiani disputavano che l'obligo fosse per legge ecclesiastica,
allegando che mai si troverà degli antichi alcuno non residente ripreso come
transgressor della divina legge, ma solo de' canoni. Che Timoteo, se ben
vescovo efesino, piú tempo fu in viaggio per ordine di san Paolo; che a san
Pietro è detto che pasca le agnelle, il che s'intende di tutte, e pur non può
esser per tutto presente: cosí può il vescovo adempire il precetto di pascere
senza resedere. Rispondevano anco alle raggioni contrarie, dicendo che le
condizioni del pastore da Cristo proposte non convengono ad altro che a lui
proprio.
Fra Ambrosio Catarino, se ben dominicano,
era contrario agli altri; diceva che il vescovato, quale è instituzione di
Cristo, è uno solo, quello che ha il papa: degli altri l'instituzione è del
pontefice, il quale, sí come egli parte la quantità et il numero delle
pecorelle da pascere, cosí egli prescrive anco il modo e la qualità. Perilché
al papa sta ordinare a ciascun vescovo che per se stesso o per sostituto
attenda al gregge, sí come glielo può assegnare e molto e poco, e privarlo anco
della potestà del pascere. Tomaso Campeggia, vescovo di Feltre, rispondeva in
un altro modo: che il vescovo, come san Gieronimo testifica, è instituzione di
Cristo, ma la divisione de' vescovati fu instituita dopo dalla Chiesa; che
Cristo a tutti gli apostoli diede cura di pascere, ma non gli legò ad un luogo,
come anco le azzioni apostoliche e de' discepoli loro mostrano l'aver assegnato
questa porzione del gregge ad uno e quella ad altro fu instituzione
ecclesiastica per meglio governare.
Queste cose furono trattate con assai
passione tra i vescovi: i spagnuoli non solo aderivano, ma anco fomentavano et
incitavano i teologi de iure divino, avendo un arcano, che tra loro solo
communicavano, d'aggrandire l'autorità episcopale; imperoché se una volta fosse
deciso che da Cristo avessero la cura di reggere la loro chiesa, resterebbe
anco deciso che da lui hanno l'autorità perciò necessaria, né il papa potrebbe
restringerla. Questi dissegni erano subodorati dagli aderenti alla corte, però,
attesa l'importanza della cosa, essi ancora facevano animo a' defensori della
contraria. I legati giudicavano meglio ovviare al pericolo, mostrando di non
accorgersi, et a questo fine mirando, per allora dissero che la materia era
difficile et aveva bisogno di maggior essame; perché dove le cose sono
controverse tra li stessi catolici non è da venire a decisione che danni una
parte, per non far scisma et a fine di non seminare contenzioni, per poter
unitamente attendere a condannare i luterani: però ad un'altra sessione era
meglio differire la dicchiarazione, quo iure sia debita. Ad alcuni
pareva che bastasse rinovare i canoni e decretali vecchi in questa materia,
dicendo che sono assai severi, avendo la pena di privazione, et anco
raggionevoli, admettendo le legitime scuse; restava trovare via che non fossero
concesse dispense, e tanto era bastante. Altri sentivano che era necessario
eccitarla con nuove pene et attendere a levare gli impedimenti, che piú
importava, poiché, quelli levati, sarebbe la residenza seguita, e poco rilevava
di onde l'obligo venisse, purché fosse esseguito; che fatto questo, s'averebbe
potuto discutere meglio la materia. Alla maggior parte piacque che si facesse
l'un e l'altro; a che consentirono i legati con questo, che delle dispense non
si parlasse; ma per far sí che non fossero ricchieste, si levassero gli
impedimenti che provengono per le essenzioni; nel che non vi fu meno che dire e
che contendere tra quelli che tenevano ogni essenzione per abuso e quelli che
l'avevano per necessaria nella Chiesa, reprobando solamente gli eccessi.
|