[Sesta sessione: decreti intorno alla
giustificazione]
Il qual commandamento ricevuto, fecero
congregazione il dí 3 genaro, nella quale, dopo aver deliberato che s'intimasse
la sessione per il 13 con parere e piacere concorde di tutti, essendo ad ogni
uno venuto a noia lo star tanto tempo senza risolver niente, proposero i legati
di publicare i decreti formati. Quanto a quelli della fede, i prelati imperiali
s'opponevano con dire che non era ancora opportunità e bastava publicare la
riforma: ma i ponteficii instavano in contrario, allegando esser già noto a
tutto il mondo che per sette mesi s'aveva assiduamente ventilata la materia
della grazia e giustificazione, et era anco il decreto stabilito; che sarebbe
con detrimento della fede, quando il mondo vedesse il concilio temere di
publicare quella verità che era decisa. E per esser questi in numero molto
maggiore, l'openione loro, aiutata dall'autorità de' legati, superò. Le due
seguenti congregazioni furono consummate in releggere i decreti cosí di fede,
come de riforma: i quali, accommodate qualche leggieri cosuccie, secondo
l'avvertimento di quelli che non erano intervenuti prima, piacquero a tutti.
Con le solite ceremonie andati alla chiesa i legati co' prelati il giovedí 13
genaro, giorno destinato per il publico consesso, si tenne la sessione; dove
cantò la messa Andrea Carnaro, arcivescovo di Spalato, e fece il sermone Tomaso
Stella, vescovo di Salpi, e furono letti i decreti della fede e della riforma.
Il primo conteneva 16 capi con loro
proemii e 33 anatematismi. In sostanza, dopo d'avere proibito credere o
predicare o insegnare altramente di quanto era statuito et esplicato in quel
decreto, dicchiarava:
1 Che né gentili per mezi naturali, né
giudei per la lettera de Moisè hanno potuto liberarsi dal peccato.
2 Onde Dio mandò il figliuolo per
riscuotere gl'uni e gl'altri.
3 Il qual se ben è morto per tutti,
nondimeno godono il beneficio quei soli a chi il merito di lui è communicato.
4 Che la giustificazione dell'empio non è
altro se non una translazione dello stato di figlio di Adamo nello stato di
figlio adottivo di Dio per Giesú Cristo, la quale, dopo la publicazione
dell'Evangelio, non si fa senza il battesmo o senza il voto di quella.
5 Che il principio della giustificazione
negli adulti viene dalla grazia preveniente, che gli invita a disporsi con
acconsentirgli liberamente a cooperargli, il che fa di sua volontà spontanea,
potendola anco rifiutare.
6 Il modo della preparazione è credendo
prima volontariamente le revelazioni e premesse divine, e conoscendosi
peccatore, dal timor della divina grazia voltandosi alla misericordia con
sperare il perdono da Dio, e perciò comminciare ad amarlo et odiar il peccato;
e finalmente proponendo di ricever il battesmo, incomminciare vita nuova e
servare i commandamenti divini.
7 Che a questa preparazione seguita la
giustificazione, quale non è sola rimissione de' peccati, ma santificazione ancora,
et ha cinque cause: la finale, la gloria divina e vita eterna; l'efficiente,
Dio; la meritoria, Cristo; l'istromentale, il sacramento; e la formale, la
giustizia donata da Dio, ricevuta secondo il beneplacito dello Spirito Santo e
seconda la disposizione del recipiente, ricevendo insieme con la remissione de'
peccati, la fede, speranza e carità.
8 Che quando san Paolo dice: l'uomo esser
giustificato per la fede e gratuitamente, ciò si debbe intendere perché la fede
è principio e le cose precedenti la giustificazione non sono meritorie della
grazia.
9 Che i peccati non sono perdonati a chi
si vanta e si riposa nella sola fiducia e certezza della remissione. Né si
debbe dire che quella sola fede giustifichi, anzi ogni uno, sí come non debbe
dubitare della misericordia di Dio, meriti di Cristo et efficacia de'
sacramenti, cosí risguardando la propria indisposizione, può dubitare, non
potendo con certezza di fede infallibile saper d'aver ottenuta la grazia.
10 Che i giusti con l'osservanza de'
commandamenti di Dio e della Chiesa sono maggiormente giustificati.
11 Che non si può dire i precetti divini
esser impossibili al giusto, il qual, se ben cade ne' peccati veniali, non
resta però d'esser tale; che nissun debbe fermarsi nella sola fede, né dire che
il giusto in ogni buona opera faccia peccato overo pecchi, se opera per fine di
mercede.
12 Che nissun deve presumere d'esser
predestinato, con credere che il giustificato non possi piú peccare o peccando
debbia promettersi la resipiscenza.
13 Parimente, che nissun può promettersi
assoluta certezza di perseverare sino al fine, ma metter la speranza nell'aiuto
divino, il quale continuerà non mancando l'uomo.
14 Che li caduti in peccato potranno
riaver la grazia, procurando coll'eccitamento divino di ricuperarla per mezo
della penitenzia, la quale è differente dalla battesmale, contenendo non solo
la contrizione, ma la sacramental confessione et assoluzione sacerdotale,
almeno in voto; et oltra ciò la satisfazzione per la pena temporale, la qual
non si rimette sempre tutta insieme, come nel battesmo.
15 Che la grazia divina si perde non solo
per l'infedeltà, ma per qualonque altro [peccato] mortale, quantonque la fede
non sia per quello perduta.
16 Propone anco a' giustificati
l'essercizio delle buone opere, per quale s'acquista la vita eterna, come
grazia promessa dalla misericordia di Dio e mercede debita alle buone opere per
la divina promessa. E conclude che questa dottrina non stabilisce una giustizia
propria nostra, repudiata la giustizia di Dio, ma la medesima si dice nostra
per esser in noi e di Dio, essendo da lui infusa per il merito di Cristo.
In fine, che per far sapere ad ogni uno
non solo la dottrina da seguire, ma anco quella che debbe fugire, soggionge i
canoni contra chi dice:
1 Che l'uomo può esser giustificato senza
la grazia, per le forze della natura umana e per la dottrina della legge.
2 Che la grazia sia data per vivere bene
con maggior facilità e meritare la vita eterna, potendo l'istesso il libero
arbitrio, ma con difficoltà.
3 Che l'uomo possi credere, amare, sperare
o pentirsi come conviene, senza la prevenzione e l'aiuto dello Spirito Santo.
4 Che il libero arbitrio, eccitato da Dio,
non cooperi per disporsi alla grazia, né possi dissentire volendo.
5 Che dopo il peccato d'Adamo il libero arbitrio
sia perduto.
6 Che non sia in potestà dell'uomo il far
male, ma cosí le cattive, come le buone opere avvengano non solo per divina
permissione, ma per sua operazione propria.
7 Che tutte le opere fatte inanzi la
giustificazione siano peccati, e tanto piú l'uomo pecchi, quanto piú si sforza
per disponersi alla grazia.
8 Che il timore dell'inferno, che ci fa
astenere dal peccare o ricorrere alla misericordia di Dio, sia peccato.
9 Che l'empio sia giustificato per fede
sola, senza preparazione che venga dal moto della sua volontà.
10 Che l'uomo sia giustificato senza la
giustizia meritata da Cristo overo sia giusto per quella formalmente.
11 Che sia giustificato per sola
imputazione della giustizia di Cristo, o per sola remissione de' peccati senza
la grazia e carità inerente, overo che la grazia della giustificazione sia solo
il favor divino.
12 Che la fede che giustifica non sia
altro che la confidenza della divina misericordia, che rimette i peccati per
Cristo.
13 Che per la remissione de' peccati sia
necessario il credere che siano rimessi, senza dubitare della propria
indisposizione.
14 Che l'uomo è assoluto e giustificato,
perché lo crede fermamente.
15 Che sia tenuto per fede a credere
d'essere certamente nel numero de' predestinati.
16 Chi dirà essere certo d'aver il dono
della perseveranza senza special rivelazione.
17 Che li soli predestinati ottengano la
grazia.
18 Che i precetti di Dio siano impossibili
al giustificato.
19 Che non sia altro precetto evangelico
che della fede.
20 Che il giusto e perfetto non sia
obligato ad osservare i commandamenti di Dio e della Chiesa, overo che
l'Evangelio sia una promessa senza condizione dell'osservanzia de'
commandamenti.
21 Che Cristo è dato per redentore, non
per legislatore.
22 Che il giustificato possi perseverare
senza il special aiuto di Dio, o non possi con quello.
23 Che il giusto non possi peccare, overo
possi evitare tutti i peccati veniali, se non per privilegio speciale, come la
Chiesa tiene della Vergine.
24 Che la giustizia non si conservi et
accresca per le buone opere, ma siano frutti o segni.
25 Che il giusto in ogni opera pecca
mortalmente o venialmente.
26 Che il giusto non debbe sperare mercede
per le buone opere.
27 Non esservi altro peccato mortale che
l'infedeltà.
28 Che perduta la grazia, se perda la
fede, overo la fede rimanente non esser vera, né di cristiano.
29 Che peccando dopo il battesmo, non
possi l'uomo rilevarsi con la grazia di Dio, overo possi ricuperarla con la
sola fede, senza il sacramento della penitenzia.
30 Che ad ogni penitente vien rimessa la
colpa e la pena intieramente, non restando pena temporale da pagare in questa
vita o in purgatorio.
31 Che il giusto pecca se opera bene
risguardando la mercede eterna.
32 Che le opere buone del giusto sono doni
di Dio solamente e non insieme meriti del giustificato.
33 Che per questa dottrina sia derogato
alla gloria di Dio e meriti di Cristo, e non piú tosto illustrata la gloria
loro.
Dopoi ch'ebbi tessuta questa abbreviata
narrazione del decreto, mi cadé in pensiero che fosse cosa superflua, poiché
tutti li decreti di questo concilio sono in un volume stampati e nelle mani di
tutti, e che potessi anco nella composizione delle azzioni seguenti rimettermi
a quel libro, e fui per cancellare questo foglio. Poi considerai che ad alcuno
fosse piú piacere in un solo libro leggere tutto continuato e chi averà piú
caro vedere l'originale, potrà tralasciare questa mia abbreviazione; ho
deliberato non mutare et anco nelle materie seguenti seguire lo stesso stile. E
tanto piú, considerando il dispiacere che sento quando veggo in Senofonte o
Tacito tralasciata la narrazione d'alcuna cosa a' loro tempi notissima, che non
avendo modo di risaper al presente, mi resta incognita; e mi persuade a tener
una massima: che mai un libro doverebbe riferirsi ad un altro. Però vengo alla
somma del decreto della riforma.
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