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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Difficoltà della gratuità del sacramento]
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[Difficoltà della gratuità del sacramento]

E quantonque con maggior facilità i canonisti fossero convenuti in questi decreti che i teologi nelle loro discussioni, con tutto ciò furono tra loro qualche differenze, nella risoluzione de' quali non potendo convenire, dopo averle longamente disputate, formarono i dubii, rimettendo la decisione di quelli alla congregazione generale. Era il primo dubio se alle parole del decreto, cioè: nissuna cosa sia riscossa overo addimandata, si doveva aggiongere ancora: né ricevuta. Il secondo, se si doveva anco aggiongere: eziandio sotto pretesto di qual si voglia consuetudine. Il terzo se era ben aggiongersi qualche parole per significare che la sinodo non proibisce le oblazioni volontarie, overo che le proibisce solo quando sono date per risguardo del sacramento, e non per altri rispetti di pietà, o pur se il decreto si debbe lasciare nella sua universalità.

Ma nella congregazione generale fu la medesima difficoltà, la quale non fu possibile concordare. Quelli che volevano le aggionte per proibire anco il ricevere et il pretesto della consuetudine, allegavano l'Evangelio: «Date liberalmente quello che liberalmente avete ricevuto», e molti canoni con anatemi a chi et a chi riceve cosa temporale per la spirituale. Che la consuetudine contra la legge divina e naturale è una corrottela e non può aver luogo; che nel titolo di simonia è ripresa e dannata la consuetudine di dare o di ricever per il possesso de' beneficii, per le benedizzioni delle nozze, per le sepolture, benedizzione del crisma, overo oglio, et ancora per la terra della sepoltura: il che tanto maggiormente si debbe applicare a' sacramenti; che, non proibendo la consuetudine, non sarà fatto niente, perché la corrottela è introdotta per tutto et ogni uno si scuserà con quella; che come nel decreto si ha dannato la consuetudine di ricever alcuna cosa inanzi, per la medesima raggione si debbe dannare la consuetudine di ricever dopo; perché altrimente, con aver condannato quella sola, si vien ad approvar questa. E quanto alle oblazioni volontarie, volevano che generalmente fosse proibito il dar e ricever alcuna cosa poco inanzi o poco dopo per qualcunque rispetto si voglia; imperoché per raggione del tempo si ha da presumere che sia dato per il sacramento, e per questo era allegata la glossa, la qual dice che, quantonque il metter danari nella cassetta sia opera di pietà, nondimeno il farlo al tempo del sacramento ricevuto induce sospizione di simonia: doversi aver rispetto al tempo nel quale la cosa, che del rimanente sarebbe stimata buona, ha specie di malizia; esser precetto divino levar ogni occasione di scandalo et astenersi da ogn'apparenza di male, e per fare che i sacramenti siano amministrati con purità, proibir assolutamente le offerte spontanee ne' tempi che i sacramenti sono amministrati, essortando i fedeli a quelle negli altri tempi et occasioni.

Per l'altra parte era detto, che un canone del concilio cartaginese IV concede che sia ricevuto quello che è offerto da chi fa battezare i suoi figli; che i teologi, dopo avere determinato che per i sacramenti niente di temporale può esser ricevuto, insieme consentono che si possi ricever per la fatica nell'amministrargli. E molto piú quando non è dato o ricevuto per rispetto del sacramento, ma per raggione di limosina; che questo sarebbe un levar a' laici le occasioni d'essercitare le opere di pietà; che levando le offerte volontarie, i poveri curati non averanno di che sostentarsi. Allegavano l'autorità di san Paolo, che non sia lecito metter la musarola al animal che batte il grano nell'ara, e che serve all'altare, dell'altare debbe vivere. Non doversi confessare mai che vi sia alcuna consuetudine introdotta di dar o ricevere alcuna cosa per il ministerio de' sacramenti; perché essendo quella generale per tutto, sarebbe un dire che nella Chiesa universale sia stato tolerato, anzi approbato un abuso pernizioso; e però non fa bisogno parlare di levar una consuetudine, la qual non è introdotta: e pensando di voler porger rimedio a quello che non è male, ma è stimato tale per la fiacchezza della conscienza d'alcuni, far una piaga mortale nella Chiesa. Per raggione principalissima dicevano che Innocenzio III nel concilio generale, capitolo Ad apostolicam, De simonia, non solamente dicchiara per lodevole la consuetudine in questa materia d'oblazione nel ministerio de' sacramenti et ordina che sia osservata, ma ancora che il vescovo debbe punir chi tenta di mutarla. Perilché il determinar adesso il contrario sarebbe con immenso scandalo condannar un pontefice et un concilio generale, come approbatori e defensori d'un error pernizioso.

Era replicato dall'altra parte che lo statuto del concilio cartaginese condanna severamente l'essazione, tolerando l'offerta spontanea; ma è però emendato dal concilio eliberitano, il quale proibisce l'uso introdotto che il battezato metteva qualche danaro nel vaso. Che l'invenzione de' teologi, distinguendo il ministerio del sacramento dalla fatica nel ministrarlo e la distinzione di ricever per rispetto del sacramento o d'altro, insieme con quell'altra di primaria e secondaria intenzione, erano metafisiche e chimeriche, poiché le parole dell'Evangelio sono dette in termini assoluti, non soggetti a cavilli, né a glosse che destruggono il testo. Che Dio, per Moisè e san Paolo, nel proibir la musarola, intendono che non sia negato l'alimento all'animal affamato, ma non che sia concesso al satollo di riempirsi superfluamente. Che non si può pretendere povertà dell'ordine clericale, avendo non solo competenti, anzi anco abondanti entrate; ma l'abuso esser che i rettori delle chiese non fanno residenza ne' beneficii e pur vogliono per sé tutti i frutti et affittano anco gli incerti a poveri pretucci, i quali sono sforzati a vender tutto per vivere. Doversi piú tosto provedere che tutti risedano nel suo beneficio, che averanno di che vivere et abondare, e non useranno vendere i sacramenti ecclesiastici. E con questa occasione tornavano a dilatarsi sopra la residenza e sopra i beni che sarebbono seguiti dicchiarandola de iure divino. Soggiongendo poi che se pur qualche beneficio curato è tenue, se gli provegga con l'unione d'altri beneficii simplici; e quando non vi sia altro modo, si procuri che il popolo gli dia da viver. Esser meglio e grato a Dio il confessar l'error passato e rimediarlo, piú tosto che difenderlo e perseverare in quello. Et il cardinal del Monte, che del rimanente pareva a tutti poco inclinato a riformazione, in questo nondimeno sentiva vivamente per questa parte, et a quelli che allegavano l'autorità d'Innocenzio III [e] del concilio generale, respondeva che facevano gran torto a quel pontefice et a quei padri ad attribuirgli che difendessero un tanto abuso, e mostravano la loro ignoranza; imperoché leggendo i 3 capi del medesimo concilio, precedenti inanzi, averebbono veduto chiaro l'intenzione, e come quei padri proibirono ogni essazzione, condannando anco la consuetudine in contrario; et in quel capitolo non si approvano le consuetudini di dar alcuna cosa per il ministerio de' sacramenti, ma le altre lecite et oneste introdotte a favor delle chiese, come le decime, primizie, oblazioni solite a farsi all'altare, porzioni canoniche et altre tali lodevoli usanze; allegando che cosí era inteso il capitolo da Bartolo e da Romano.

 

 




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