[Difficoltà della gratuità del
sacramento]
E quantonque con maggior facilità i
canonisti fossero convenuti in questi decreti che i teologi nelle loro
discussioni, con tutto ciò furono tra loro qualche differenze, nella
risoluzione de' quali non potendo convenire, dopo averle longamente disputate,
formarono i dubii, rimettendo la decisione di quelli alla congregazione
generale. Era il primo dubio se alle parole del decreto, cioè: nissuna cosa sia
riscossa overo addimandata, si doveva aggiongere ancora: né ricevuta. Il
secondo, se si doveva anco aggiongere: eziandio sotto pretesto di qual si
voglia consuetudine. Il terzo se era ben aggiongersi qualche parole per
significare che la sinodo non proibisce le oblazioni volontarie, overo che le
proibisce solo quando sono date per risguardo del sacramento, e non per altri
rispetti di pietà, o pur se il decreto si debbe lasciare nella sua
universalità.
Ma nella congregazione generale fu la
medesima difficoltà, la quale non fu possibile concordare. Quelli che volevano
le aggionte per proibire anco il ricevere et il pretesto della consuetudine,
allegavano l'Evangelio: «Date liberalmente quello che liberalmente avete
ricevuto», e molti canoni con anatemi a chi dà et a chi riceve cosa temporale
per la spirituale. Che la consuetudine contra la legge divina e naturale è una
corrottela e non può aver luogo; che nel titolo di simonia è ripresa e dannata
la consuetudine di dare o di ricever per il possesso de' beneficii, per le
benedizzioni delle nozze, per le sepolture, benedizzione del crisma, overo
oglio, et ancora per la terra della sepoltura: il che tanto maggiormente si
debbe applicare a' sacramenti; che, non proibendo la consuetudine, non sarà
fatto niente, perché la corrottela è introdotta per tutto et ogni uno si
scuserà con quella; che sí come nel decreto si ha dannato la consuetudine di
ricever alcuna cosa inanzi, per la medesima raggione si debbe dannare la
consuetudine di ricever dopo; perché altrimente, con aver condannato quella
sola, si vien ad approvar questa. E quanto alle oblazioni volontarie, volevano
che generalmente fosse proibito il dar e ricever alcuna cosa poco inanzi o poco
dopo per qualcunque rispetto si voglia; imperoché per raggione del tempo si ha
da presumere che sia dato per il sacramento, e per questo era allegata la
glossa, la qual dice che, quantonque il metter danari nella cassetta sia opera
di pietà, nondimeno il farlo al tempo del sacramento ricevuto induce sospizione
di simonia: doversi aver rispetto al tempo nel quale la cosa, che del rimanente
sarebbe stimata buona, ha specie di malizia; esser precetto divino levar ogni
occasione di scandalo et astenersi da ogn'apparenza di male, e per fare che i
sacramenti siano amministrati con purità, proibir assolutamente le offerte
spontanee ne' tempi che i sacramenti sono amministrati, essortando i fedeli a
quelle negli altri tempi et occasioni.
Per l'altra parte era detto, che un canone
del concilio cartaginese IV concede che sia ricevuto quello che è offerto da
chi fa battezare i suoi figli; che i teologi, dopo avere determinato che per i
sacramenti niente di temporale può esser ricevuto, insieme consentono che si
possi ricever per la fatica nell'amministrargli. E molto piú quando non è dato
o ricevuto per rispetto del sacramento, ma per raggione di limosina; che questo
sarebbe un levar a' laici le occasioni d'essercitare le opere di pietà; che
levando le offerte volontarie, i poveri curati non averanno di che sostentarsi.
Allegavano l'autorità di san Paolo, che non sia lecito metter la musarola al
animal che batte il grano nell'ara, e che serve all'altare, dell'altare debbe
vivere. Non doversi confessare mai che vi sia alcuna consuetudine introdotta di
dar o ricevere alcuna cosa per il ministerio de' sacramenti; perché essendo
quella generale per tutto, sarebbe un dire che nella Chiesa universale sia
stato tolerato, anzi approbato un abuso pernizioso; e però non fa bisogno
parlare di levar una consuetudine, la qual non è introdotta: e pensando di
voler porger rimedio a quello che non è male, ma è stimato tale per la
fiacchezza della conscienza d'alcuni, far una piaga mortale nella Chiesa. Per
raggione principalissima dicevano che Innocenzio III nel concilio generale,
capitolo Ad apostolicam, De simonia, non solamente dicchiara per
lodevole la consuetudine in questa materia d'oblazione nel ministerio de'
sacramenti et ordina che sia osservata, ma ancora che il vescovo debbe punir
chi tenta di mutarla. Perilché il determinar adesso il contrario sarebbe con
immenso scandalo condannar un pontefice et un concilio generale, come
approbatori e defensori d'un error pernizioso.
Era replicato dall'altra parte che lo
statuto del concilio cartaginese condanna severamente l'essazione, tolerando
l'offerta spontanea; ma è però emendato dal concilio eliberitano, il quale
proibisce l'uso introdotto che il battezato metteva qualche danaro nel vaso.
Che l'invenzione de' teologi, distinguendo il ministerio del sacramento dalla
fatica nel ministrarlo e la distinzione di ricever per rispetto del sacramento
o d'altro, insieme con quell'altra di primaria e secondaria intenzione, erano
metafisiche e chimeriche, poiché le parole dell'Evangelio sono dette in termini
assoluti, non soggetti a cavilli, né a glosse che destruggono il testo. Che
Dio, per Moisè e san Paolo, nel proibir la musarola, intendono che non sia
negato l'alimento all'animal affamato, ma non che sia concesso al satollo di
riempirsi superfluamente. Che non si può pretendere povertà dell'ordine
clericale, avendo non solo competenti, anzi anco abondanti entrate; ma l'abuso
esser che i rettori delle chiese non fanno residenza ne' beneficii e pur
vogliono per sé tutti i frutti et affittano anco gli incerti a poveri pretucci,
i quali sono sforzati a vender tutto per vivere. Doversi piú tosto provedere
che tutti risedano nel suo beneficio, che averanno di che vivere et abondare, e
non useranno vendere i sacramenti ecclesiastici. E con questa occasione
tornavano a dilatarsi sopra la residenza e sopra i beni che sarebbono seguiti
dicchiarandola de iure divino. Soggiongendo poi che se pur qualche
beneficio curato è tenue, se gli provegga con l'unione d'altri beneficii
simplici; e quando non vi sia altro modo, si procuri che il popolo gli dia da
viver. Esser meglio e grato a Dio il confessar l'error passato e rimediarlo,
piú tosto che difenderlo e perseverare in quello. Et il cardinal del Monte, che
del rimanente pareva a tutti poco inclinato a riformazione, in questo nondimeno
sentiva vivamente per questa parte, et a quelli che allegavano l'autorità
d'Innocenzio III [e] del concilio generale, respondeva che facevano gran torto
a quel pontefice et a quei padri ad attribuirgli che difendessero un tanto
abuso, e mostravano la loro ignoranza; imperoché leggendo i 3 capi del medesimo
concilio, precedenti inanzi, averebbono veduto chiaro l'intenzione, e come quei
padri proibirono ogni essazzione, condannando anco la consuetudine in
contrario; et in quel capitolo non si approvano le consuetudini di dar alcuna
cosa per il ministerio de' sacramenti, ma le altre lecite et oneste introdotte
a favor delle chiese, come le decime, primizie, oblazioni solite a farsi
all'altare, porzioni canoniche et altre tali lodevoli usanze; allegando che
cosí era inteso il capitolo da Bartolo e da Romano.
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