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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Il papa fortifica la parte sua in concilio con mandarvi vescovi italiani, e fa consultar le censure degli spagnuoli]
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[Il papa fortifica la parte sua in concilio con mandarvi vescovi italiani, e fa consultar le censure degli spagnuoli]

Il pontefice, ricevuto l'aviso, immediate scrisse a Venezia lettere efficacissime, ma insieme amorevolissime al noncio suo per far ritornar i prelati, quali erano ancora quasi tutti in quella città; e dal noncio l'officio fu fatto in tal modo, che tutti ebbero per favore il far il viaggio, poiché si trattava tanto servizio del pontefice. Pose in consultazione co' deputati la censura de' spagnuoli, et il rimanente, che piú importava, ponendolo insieme con le altre cose prima avisategli, riservò alla deliberazione propria.

La congregazione de' deputati, ripensato lo stato delle cose considerò che il partito proposto da' legati era piú onorevole e, riuscendo, il piú utile; ma se non fosse riuscito, era il piú pernizioso: et in cose di tanto momento non esser prudenza correre gran rischi; esser ugualmente pericoloso negare tutto, come tutto credere. Concludendo che, se i legati non erano piú che certi di superare, potevano concedere o parte, o tutte le infrascritte modificazioni, secondo che il negozio stesso sul fatto consultasse; le quali erano digeste in forma di risposta ad articolo per articolo della censura spagnuola.

Al , d'innovare il concilio lateranense ne' doi capi, par che si possi sodisfare a prelati, purché nel testo i canoni che si faranno siano raggionevoli.

Al , d'obligare i cardinali alla residenza, per quelli che stanno in Roma e che servono actu la Chiesa universale, la dimanda non è conveniente, et agli altri Sua Santità provederà, come è detto nella lettera.

Al , di statuire che la residenza sia de iure divino, prima, il decreto forse non sarebbe vero, applicato alle chiese particolari; dopoi, quanto all'effetto, non può servire, se non a maggiore confusione, repugnando massime che il decreto si faccia et insieme si permetta, almeno tacitamente, il contrario per la metà dell'anno.

Al , di dicchiarare abuso la pluralità delle chiese, si può dire il medesimo che al 3, e quanto a' cardinali, che Sua Santità provederà per se stessa, come è detto di sopra.

Al , della pluralità delle chiese minori, la provisione proposta da' legati pare che doverebbe essere bastante; e nondimeno quando circa il passato sia giudicato bene farla piú severamente, Sua Santità se ne rimette, avvertendo che il troppo rigore in questa parte può causare effetto contrario, per la resistenza che si ha da presumere che sarà fatta da quelli che possedono; e considerando insieme che il lasciare semplicemente il giudicio nelle dispensazioni agli ordinarii può esser mal usato e senza partorire altro effetto che accrescer loro autorità.

Al , di rivocare le unioni a vita, non ostante che la Santità Sua abbia pensiero di farci conveniente provisione, nondimeno, quando si desideri levarle, etiam in tutto, si può concederlo, purché si dia spacio onesto a chi possede i beneficii di poter dispor di quelli.

Al , che la non residenza de' beneficii curati porti seco precisamente la privazione e che nissun si dispensi, se non in casi dalla legge permessi, è troppo rigore e tale che, quando bene si determinasse, mal si potrebbe osservare.

All', che chi ha beneficio curato e si trova illiterato o vizioso possa esser privato dall'ordinario, intendendosi di tal inabilitade che de iure lo meriti, questa pena si può concedere, altrimente non è dimanda onesta, perché non sarebbe altro che lasciar il tutto all'arbitrio degl'ordinarii.

Al , che i beneficii curati non si diano se non per diligente essamine precedente, essendo necessario lasciar il modo e qualità dell'essame alla conscienza di chi ha da conferire i beneficii, pare che l'aggiongere sopra questo altro decreto sia o superfluo, o inutile.

Al 10°, di far il processo in partibus di quelli che si promovono alle chiese catedrali, non si vede né il modo, né il frutto di questa diligenza, essendo cosí facile trovar chi deponga il falso in partibus, come in Roma. Dove quando si possa aver, come quasi si può sempre, tanta notizia che basti, è superfluo cercar altro.

All'11°, che nissun si ordini, se non dal suo vescovo, pare che il rimedio della bolla possi bastare, e tanto piú quanto che per essa si provede per piú d'un modo agl'inconvenienti che si pretendono circa questo capo.

Spedí immediate il pontefice la risposta a Trento, con rimetter alla prudenza de' legati, che, ben consegliati con gli amorevoli risolvessero come meglio avessero giudicato sul fatto di conceder o parte, o tutte le cose richieste, dentro però de' termini consultati da' deputati in Roma: rimettendo parimente a loro il negar ogni cosa, se si fossero veduti in stato di poterlo fare. Gli avisò dell'ufficio fatto con quelli che erano in Venezia, soggiongendo che tenessero la sessione al debito tempo, tralasciando a fatto i capi di dottrina de' sacramenti, e publicando i soli anatematismi ne' quali tutti sono convenuti, poiché quella dottrina non si può esplicare senza qualche pericolo; che tralasciassero a fatto il decreto degli abusi de'sacramenti del battesmo e confermazione, non essendo possibile toccar quella materia senza offender tutto l'ordine de' poveri preti e frati e dar troppo gran presa agli eretici, confessando d'aver approvato per i passati tempi notabili assordità; aggionse in fine che del rimanente operassero che la sessione riuscisse piú quieta che si potesse, ma con degnità della Sede apostolica.

 

 




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