[Il papa fortifica la parte sua in
concilio con mandarvi vescovi italiani, e fa consultar le censure degli
spagnuoli]
Il pontefice, ricevuto l'aviso, immediate
scrisse a Venezia lettere efficacissime, ma insieme amorevolissime al noncio
suo per far ritornar i prelati, quali erano ancora quasi tutti in quella città;
e dal noncio l'officio fu fatto in tal modo, che tutti ebbero per favore il far
il viaggio, poiché si trattava tanto servizio del pontefice. Pose in
consultazione co' deputati la censura de' spagnuoli, et il rimanente, che piú
importava, ponendolo insieme con le altre cose prima avisategli, riservò alla
deliberazione propria.
La congregazione de' deputati, ripensato
lo stato delle cose considerò che il partito proposto da' legati era piú
onorevole e, riuscendo, il piú utile; ma se non fosse riuscito, era il piú
pernizioso: et in cose di tanto momento non esser prudenza correre sí gran
rischi; esser ugualmente pericoloso negare tutto, come tutto credere.
Concludendo che, se i legati non erano piú che certi di superare, potevano
concedere o parte, o tutte le infrascritte modificazioni, secondo che il
negozio stesso sul fatto consultasse; le quali erano digeste in forma di
risposta ad articolo per articolo della censura spagnuola.
Al 1°, d'innovare il concilio lateranense ne' doi
capi, par che si possi sodisfare a prelati, purché nel testo i canoni che si
faranno siano raggionevoli.
Al 2°, d'obligare i cardinali alla
residenza, per quelli che stanno in Roma e che servono actu la Chiesa
universale, la dimanda non è conveniente, et agli altri Sua Santità provederà,
come è detto nella lettera.
Al 3°, di statuire che la residenza sia de
iure divino, prima, il decreto forse non sarebbe vero, applicato alle
chiese particolari; dopoi, quanto all'effetto, non può servire, se non a
maggiore confusione, repugnando massime che il decreto si faccia et insieme si
permetta, almeno tacitamente, il contrario per la metà dell'anno.
Al 4°, di dicchiarare abuso la pluralità
delle chiese, si può dire il medesimo che al 3, e quanto a' cardinali, che Sua
Santità provederà per se stessa, come è detto di sopra.
Al 5°, della pluralità delle chiese
minori, la provisione proposta da' legati pare che doverebbe essere bastante; e
nondimeno quando circa il passato sia giudicato bene farla piú severamente, Sua
Santità se ne rimette, avvertendo che il troppo rigore in questa parte può
causare effetto contrario, per la resistenza che si ha da presumere che sarà
fatta da quelli che possedono; e considerando insieme che il lasciare
semplicemente il giudicio nelle dispensazioni agli ordinarii può esser mal
usato e senza partorire altro effetto che accrescer loro autorità.
Al 6°, di rivocare le unioni a vita, non
ostante che la Santità Sua abbia pensiero di farci conveniente provisione,
nondimeno, quando si desideri levarle, etiam in tutto, si può concederlo,
purché si dia spacio onesto a chi possede i beneficii di poter dispor di
quelli.
Al 7°, che la non residenza de' beneficii
curati porti seco precisamente la privazione e che nissun si dispensi, se non
in casi dalla legge permessi, è troppo rigore e tale che, quando bene si
determinasse, mal si potrebbe osservare.
All'8°, che chi ha beneficio curato e si
trova illiterato o vizioso possa esser privato dall'ordinario, intendendosi di
tal inabilitade che de iure lo meriti, questa pena si può concedere, altrimente
non è dimanda onesta, perché non sarebbe altro che lasciar il tutto
all'arbitrio degl'ordinarii.
Al 9°, che i beneficii curati non si diano
se non per diligente essamine precedente, essendo necessario lasciar il modo e
qualità dell'essame alla conscienza di chi ha da conferire i beneficii, pare
che l'aggiongere sopra questo altro decreto sia o superfluo, o inutile.
Al 10°, di far il processo in partibus
di quelli che si promovono alle chiese catedrali, non si vede né il modo, né il
frutto di questa diligenza, essendo cosí facile trovar chi deponga il falso in
partibus, come in Roma. Dove quando si possa aver, come quasi si può
sempre, tanta notizia che basti, è superfluo cercar altro.
All'11°, che nissun si ordini, se non dal
suo vescovo, pare che il rimedio della bolla possi bastare, e tanto piú quanto
che per essa si provede per piú d'un modo agl'inconvenienti che si pretendono
circa questo capo.
Spedí immediate il pontefice la risposta a
Trento, con rimetter alla prudenza de' legati, che, ben consegliati con gli
amorevoli risolvessero come meglio avessero giudicato sul fatto di conceder o parte,
o tutte le cose richieste, dentro però de' termini consultati da' deputati in
Roma: rimettendo parimente a loro il negar ogni cosa, se si fossero veduti in
stato di poterlo fare. Gli avisò dell'ufficio fatto con quelli che erano in
Venezia, soggiongendo che tenessero la sessione al debito tempo, tralasciando a
fatto i capi di dottrina de' sacramenti, e publicando i soli anatematismi ne'
quali tutti sono convenuti, poiché quella dottrina non si può esplicare senza
qualche pericolo; che tralasciassero a fatto il decreto degli abusi
de'sacramenti del battesmo e confermazione, non essendo possibile toccar quella
materia senza offender tutto l'ordine de' poveri preti e frati e dar troppo
gran presa agli eretici, confessando d'aver approvato per i passati tempi
notabili assordità; aggionse in fine che del rimanente operassero sí che la
sessione riuscisse piú quieta che si potesse, ma con degnità della Sede
apostolica.
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