[Il papa, temendo del concilio, si
risolve a trasferirlo in Bologna]
Poi ruminando il papa gli avisi da Trento
e dal noncio suo di Germania fra se stesso con i suoi intimi, restò pieno di
sospetto che il concilio non dovesse partorir qualche gran mostruosità a
pregiudicio di lui e dell'autorità ponteficia. Considerava le fazzioni tra'
teologi, massime dominicani e francescani, antichi emuli e contrarii di
dottrina, che in concilio avevano preso animo di trapassar il segno delle
contenzioni, da' prudenti con difficoltà composte; fra quali essendo delle
differenze non minori di quelle che si hanno con luterani, et essi assai arditi
nel tassarsi l'un l'altro, le quali, se non si starà sempre nell'accordargli,
esservi pericolo che non soccedesse qualche grave inconveniente. Faceva gran
riflesso sopra la disputa della residenza, se è de iure divino, e sopra
l'audacia di fra Bartolomeo Carranza, il qual, fomentato da molti, era passato
a chiamare l'opinione contraria dottrina diabolica. Vedeva quanto facilmente
potesse nascer un altro male simile a quello di Lutero, e che si fosse fatto
della residenza un articolo di fede, il papato era ridotto a niente.
Considerava che tutte le riforme miravano a ristringer l'autorità del papa et
ampliare quella de' vescovi; avvertí quanto poco fosse stata l'autorità sua
stimata, che avendo il concilio dato speranza di rimetter a lui la riforma, di
che anco aveva formato la bolla, avvocandola tutta a sé, poi, senza rispetto di
lui, s'aveva trattato piú acremente. Ebbe gran sospetto dello spirito et
animosità de' spagnoli; considerava le qualità della nazione avveduta e che non
opera a caso, mostra maggior riverenza che non porta, sta unita in se stessa, e
non fa un passo senza aver la mira a cento piú inanzi; gli parve gran cosa
l'aver preso a ridursi insieme e l'aver formato una censura per commune: gli
pareva verisimile che ciò fosse ardito per fomento dell'imperatore, essendoci
un suo ambasciatore che trattava quotidianamente con loro. Aveva anco per altro
sospetto Cesare, considerando la prosperità della fortuna che in quel tempo
correva, la qual suol indur gli uomini a non saper metter fine a' dissegni:
faceva riflesso sopra il permetter la religione per connivenza, attribuendo che
fosse a fine d'acquistar la grazia de' luterani. Considerava le querimonie
usate non solo dall'imperatore, ma anco da' ministri al partir delle genti
italiane, l'aversi doluto d'esser abandonato nel bisogno; dubitava di lui,
sapendo che attribuiva al duca di Piacenza, suo figlio, la sedizione di Genova.
Sopra tutto ponderava le parole dette al noncio, di non aver maggior nimico del
papa: temeva, che se gli fosse venuto fatto di stabilir in Germania un'autorità
assoluta, fosse poi entrato in pensiero di far l'istesso in Italia, adoperando
il concilio per opprimer il ponteficato. Vedeva che restava come arbitro,
attesa l'incurabil indisposizione del re di Francia e la prossima morte che si
prevedeva. Del delfino non sapeva quanto potersi promettere, come di giovane
non ancora esperto; teneva per fermo che i prelati, quali sino allora aderivano
alla corte romana, quando l'imperatore avesse fatto alla scoperta, s'averebbono
dicchiarato per lui, o per timore della maggior potenza, overo per emulazione
che tutti hanno alla grandezza ponteficia, la qual scoprirebbono, quando
vedessero aperta strada sicura di moderarla.
Questi rispetti lo fecero risolvere a
sicurarsi del concilio in qualche maniera: il finirlo non pareva cosa
fattibile, attesa le moltiplicità delle cose che restavano da trattare; la
sospensione ricercare qualche gran causa e nondimeno esser una provisione
leggiera, perché sarebbe immediate ricercato di levarla; la translazione in
luogo dove egli avesse autorità assoluta pareva il meglior conseglio; e poiché
questo s'aveva a fare, farlo in maniera che rimediasse a tutti i pericoli; che
non poteva avvenire se non celebrandosi nelle terre sue. A queste pensando, non
giudicò ben trattar di Roma, per non far tanto parlar alla Germania. Bologna
gli parve ottima, come la piú vicina a chi viene di là da' monti, fertile e
capace. Al modo pensando, risolse l'asconder in questo la persona sua et
operare che fosse fatto da' legati, come da loro, per l'autorità che gli aveva
data per la bolla data il 22 febraro e mandatagli nell'agosto 1545. Che cosí
facendo, se sopra la translazione fosse nata qualche opposizione, sarebbe addossata
a' legati, et egli, come non interessato, averebbe piú facilità a mantenerli; e
quando per qualche accidente occorresse mutar pensiero, lo potrebbe far con
intiera sua degnità. Adonque risoluto di tanto, spedí un privato gentiluomo,
famigliare del cardinale del Monte, con lettere di credenza a far ad ambi li
legati questa ambasciata, ordinandogli che non giongesse in quella città inanzi
il tempo della sessione, e gli commettesse di trasferire il concilio a Bologna,
facendo nascer qualche apparente causa, overo valendosi d'alcuna che fosse in
essere; ma venendo all'essecuzione tanto presto che, dopo data la prima mossa
all'impresa, si venisse al fine, prima che d'altrove potesse esser trasposto
alcun impedimento.
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