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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [Diversità di parere fra' legati, e difficoltà in concilio sopra le dispense, la residenza e la reforma de' cardinali]
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[Diversità di parere fra' legati, e difficoltà in concilio sopra le dispense, la residenza e la reforma de' cardinali]

Gionte le lettere del pontefice, il cardinale Santa Croce era di parer che si ammolisse l'animo de' prelati congionti, concedendo alcuna delle petizioni che da Roma erano permesse, che facilmente con quella determinazione si sarebbono acquietati. In contrario il cardinale del Monte diceva che il condescendere all'inferiore (et alla moltitudine massime) non era altro che dare pretensione d'aver sodisfazzione maggiore; che voleva prima tentar l'animo degli amorevoli, e quando s'avesse trovato fortificato di numero maggiore, esser disposto a non retirarsi pur un passo; quando avesse trovato altremente, averebbe usato la prudenza. Dopo molti discorsi, come avviene tra colleghi, Santa Croce cedette a Monte, che caminava con affetto maggiore. Ebbero aviso che i prelati assenti si sarebbono ritrovati in Trento inanzi il fine di febraro e, tentati gli animi di diversi, si ritrovarono aderenti alle cose del pontefice, quali, confermati con le speranze, e tiratone anco altri con la medesima esca che il pontefice averebbe riconosciuto il merito di ciascuno, fecero formare il decreto con 15 capi e quello proposero in congregazione.

Sopra che furono maggiori difficoltà di prima: nel proemio, per una eccezione qual diceva: «salva sempre in tutte le cose l'autorità apostolica». Da ogni stolido sarebbe stato conosciuto dove mirava, ché non inseriva se non una pertinace ostinazione negli abusi, mentre si trattava rimediargli, conservando le cause. Però nissun ardí opporsegli, se non il vescovo Badacoz, il qual disse che aveva bisogno di dicchiarazione, perché il concilio non doveva, né poteva intaccar l'autorità d'alcuno, non che della Sede apostolica, riconosciuta per capo da tutti li catolici, ma che le parole poste in quel luogo pareva significassero che in Roma si dovesse procedere in quelle materie al modo di prima e che la regolazione non avesse vigore sopra le dispense et altri modi, con quali è stata sempre enervata l'autorità de' canoni vecchi. In difesa dell'eccettiva era detto che le leggi de' concilii non sono come le naturali, dove il rigore e l'equità sono una medesima cosa; che elle sono soggette al difetto commune di tutte le leggi, che per l'universalità conviene siano dall'equità regolate ne' casi non preveduti e dove l'esseguirle sarebbe ingiusto. Ma non essendovi sempre concilio, al quale si possi per questo ricorrere, né meno quando ben vi è, avendo modo d'attender a questo, esser necessaria l'autorità ponteficia. Ma si replicava che avendo tutte le leggi il difetto dell'universalità, nondimeno tutte si promolgano senza metterci dentro eccezzioni; che cosí si debbe anco al presente fare, perché il porvela non è altro, se non un dire che per l'ordinario, e non ne' casi rarissimi et improveduti, il papa possi dispensare in contrario.

Questo parer non fu approvato in parole da tutti quei da chi fu tenuto in conscienza; onde il legato Monte, fortificatosi, diceva che questa era sottilità per non deferir alla Sede apostolica quanto erano tenuti, e fece tacer tutti. Dimandò il vescovo di Badacoz che in quel proemio si dovesse far menzione che l'articolo della residenzia non era tralasciato, ma differito. A che risposero i legati che ciò era un diffidare delle promesse loro, anzi del pontefice, et un obligarsi vanamente a cosa che sempre è in potestà: con tutto ciò, per dare sodisfazzione in cosí intenso desiderio, si sarebbe aggionto nel proemio che tutto si decretava proseguendo l'incomminciato negozio della residenza, con che si mostrarebbe che non fu finito nell'altra sessione e ne rimane anco parte da trattare.

Sopra i capi delle qualità de' vescovi et altri curati, disse l'arcivescovo Torre che quelli non solo non davano rimedio alle corrottele introdotte, anzi snervavano i rimedii vecchi, perché con termini cosí universali d'età, costumi, scienzia, abilità e valore, si poteva canonizar ogni uno per abile: e l'allegar decreti di Alessandro lo esser un annullar tutti gli altri canoni che prescrivono altre condizioni; poiché sempre, nominato uno e studiosamente tacciuti gli altri, pare che se gli abbia derogato; che sarebbe necessario dir una volta chiaro qual è questa gravità di costumi, questa scienzia di lettere; il che se fosse fatto per l'una e l'altra qualità, sarebbe escluso per sempre ogni cortigiano. I costumi ricercati esser molto ben raccontati da san Paolo, e tuttavia a quelli non s'attende. La perizia e dottorato che san Paolo ricerca, esser cognizione della dottrina cristiana e delle lettere sacre, e non esser da immitare Onorio III, quale privò un vescovo della Sassonia inferiore per non aver imparato grammatica, né letto mai il Donato, perché, dice la glossa, egli non poteva insegnare grammatica al popolo, quasi che la materia della predica debbia esser le regole grammaticali e non l'Evangelio. Aggionse a questo il vescovo di Huesca che non gli piaceva il rimettersi overo allegare decretali o constituzioni: perché o si fa per dar autorità maggiore a quelle, o per riceverla da loro, overo per far un aggregato di forza maggiore di quelle con questa sinodo; et a tutti i modi esser cosa poco convenevole e diminuire l'autorità d'ambedue; essere ben cosa raggionevole farlo dove la longhezza d'una constituzione non comportasse che fosse riferita, ma quando non contiene se non l'istesso, non esserci causa di farlo e dar occasioni di liti inestricabili, disputando se quelle constituzioni siano approvate come la lettera semplicemente suona, o pur con le limitazioni et ampliazioni dette da' dottori, e con le varie intelligenzie, che è un confonder il mondo. Esservi bisogni di decreti che mettino pace, carità e seria riformazione nella Chiesa, non che diano occasioni di litigi e nuovi inconvenienti. A che poteva servire ne' tempi presenti dar agli ordinarii le pene del c[anone] Grave nimis, l'essecuzione de' quali è commessa a' concilii provinciali, che sono desusati, se prima non è preso modo come ritornargli in uso? Poi, essendo il numero de beneficii conferiti dagli ordinarii, per diverse riserve, minori d'una decima parte, a che è buono proveder a questa minima e lasciare correre l'abuso ne' nove decimi che la corte conferisce? Similmente, volendo rimediare la pluralità, l'approvar la constituzione De multa non esser altro che un stabilirla maggiormente, poiché in quella le dispense sono permesse.

Longhissima disputa fu sopra gli articoli, dove i spagnuoli instavano che i cardinali fossero specificati, dicendosi per l'altra parte che non conveniva per la grandezza di quell'ordine, primo nella Chiesa, pieno d'uomini di singolar merito, mostrare cosí apertamente che in quello vi fossero corrottele degne d'emendazione, et essi stessi non emendassero se medesimi. Ma bastava ben far l'istesso effetto con parole generali che includessero anco loro, come il commandare ad ogni persona di qual si voglia degnità, grado e preminenza. Dicevano in contrario gl'altri che i canonisti hanno già dicchiarato sotto nissun termine generale comprendersi i cardinali, se non sono nominatamente espressi; però non restar altra via di proveder al cattivo essempio che il mondo riceve, se non con riformare loro particolarmente; esserci poco bisogno di riforma nel clero minuto, le corrottele del quale sono leggieri et egli necessitato a seguire i maggiori; doversi nel curar un corpo infermo attendere a' mali gravi et alle parti principali; le altre (sanate quelle) o da sé guariscono, o con leggier rimedii. All'abuso delle unioni perpetue dicevano che ben pareva provisto assai a bastanza col rimetter a' vescovi d'essaminarle già fatte, e presumer surrettizie quelle che non si trovassero fondate sopra cause raggionevoli: ma tutto era destrutto con la modificazione seguente, cioè se altrimente non sarà giudicato dalla Sede apostolica, il che era un stabilirle, anzi metter il vescovo in liti e spese. Fu anco di nuovo ricchiesto che fossero vietate le unioni a vita et annullate le già fatte.

Ma il numero maggiore approvò i decreti come furono proposti, parte per propria inclinazione alle cose romane, e parte per esser stati pratticati, et alcuni buoni anco, a' quali era fatta promessa che il papa con una sua bolla averebbe levato e quelli e molti altri disordini, ma essere dovere, per riputazione di quella Santa Sede, lo facesse egli medesimo, e non paresse che la sinodo l'avesse costretto contra il suo voler a ricever leggi. E questi, posti insieme, ascendevano a' tre quarti di tutto 'l numero della sinodo. Instando il tempo della sessione e reletti gli anatematismi, da qualch'uno fu ricercato che si aggiongesse la dottrina, da altri fu ricchiesto perché non si risolveva il decreto degli abusi: quanto a questo furono fermati con dire che non era ben discusso e che era luogo piú opportuno portargli dopo tutti i sacramenti, rimediando insieme agli abusi occorrenti nel ministerio di ciascuno et agli universali in tutti. Per render raggione dell'ommissione della dottrina, il piú concludente argumento fu che cosí s'era fatto nella sessione del peccato originale e che la dicchiarazione per modo di dottrina è necessaria, quando, senza quella, gli anatematismi non possono esser intesi; però nel decreto della giustificazione esser stata di necessità, ma in questo de' sacramenti gli anatematismi da sé esser tanto chiari che servono anco per dottrina. Il tempo instante et il consenso del numero maggiore fece che se risolvesse per questa opinione e fossero costretti a tacer quelli che dimandavano la dottrina e riforma degl'abusi sopra detti.

 

 




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