[Nel tempo di Leone X]
Leon X, come quello ch'era nobilmente nato
et educato, portò molte buone arti nel pontificato; fra quali erano una buona
erudizione singolare nelle buone lettere di umanità, bontà e dolcezza di trattare
maravigliosa, con una piacevolezza piú che umana, insieme con somma liberalità
et inclinazione grande a favoriti letterati e virtuosi, che da longo tempo non
s'erano vedute in quella sede né uguali, né prossime alle sue. E sarebbe stato
un perfetto pontefice, se con queste avesse congionto qualche cognizione delle
cose della religione et alquanto piú d'inclinazione alla pietà: dell'una e
dell'altra delle quali non mostrava aver gran cura. E sí come era liberalissimo
e ben intendente dell'arte del donare, cosí in quella dell'acquistare non era
sufficiente da sé, ma si serviva dell'opera di Lorenzo Pucci, cardinal di Santi
Quattro, il qual in questa parte valeva assai.
Ritrovandosi adunque Leone in questo stato
quieto, estinto in tutto e per tutto il schisma, senza alcun avversario, si può
dire, (poiché quei pochi valdesi e calistini non erano in considerazione),
liberale nello spendere e donare, cosí a parenti, come a corteggiani et alli
professori di lettere, essausti gli altri fonti donde la corte romana suole
tirar a sé le ricchezze dell'altre regioni, pensò valersi di quello delle
indulgenze.
Questo modo di cavar danari fu messo in
uso doppo il 1100. Imperoché, avendo papa Urbano II concessa indulgenza
plenaria e remissione di tutti i peccati a chi andava nella milizia di Terra
Santa per conquistar e liberar il sepolcro di Cristo dalle mani di maometani,
fu seguitato per piú centenara d'anni dalli successori, avendo alcuni d'essi,
(come sempre si aggionge alle nuove invenzioni) aggiontovi la medesima indulgenza
a quelli che mantenevano un soldato, non potendo essi o non volendo
personalmente andare nella milizia; e poi, col progresso, concesso le medesime
indulgenze e remissioni anco per far la guerra a quelli che, se ben cristiani,
non erano obedienti alla Chiesa romana; e per lo piú erano fatte abondantissime
essazzioni di danari sotto li pretesti detti di sopra. Li quali però erano
applicati, o tutti, o la maggior parte, ad altri usi.
Seguendo questi essempii Leone, cosí
consegliato dal cardinal Santi Quattro, mandò una indulgenza e remissione de
peccati per tutte le regioni di cristiani, concedendola a chi contribuisse
danari et estendendola anco a morti: per i quali, quando fosse fatta
l'esborsazione, voleva che fossero liberati dalle pene del purgatorio;
aggiongendo anco facoltà di mangiar ova e latticini ne' giorni di digiuno, di
eleggersi confessore, et altre tali abilità. E se ben l'essecuzione di questa
impresa di Leone ebbe qualche particolare poco pio et onesto, come si dirà, il
quale diede scandalo e causa di novità, non è però che molte delle concessioni
simili già fatte dalli pontefici per l'inanzi non avessero cause meno oneste e
non fossero essercitate con maggiore avarizia et estorsione. Ma molte volte
nascono occasioni sufficienti per produrre notabili effetti, e svaniscono per
mancamento d'uomini che se ne sappiano valere. E quello che piú importa, è
necessario che per effettuare alcuna cosa venga il tempo nel quale piaccia a
Dio di corregger i mancamenti umani. Queste cose tutte s'incontrarono nel tempo
di Leone, del quale parliamo.
Imperoché avendo egli del 1517 publicata
la universale concessione delle indulgenze, distribuí una parte delle rendite
prima che fossero raccolte né ben seminate, donando a diversi le revenute di
diverse provincie e riserbando anco alcune per la sua camera. In particolare
donò il tratto delle indulgenze della Sassonia e di quel braccio di Germania
che di là camina sino al mare a Maddalena sua sorella, moglie di Franceschetto
Cibo, figlio naturale di papa Innocenzio VIII. Per ragione del qual matrimonio
Leone era stato creato cardinale in età di 14 anni, che fu il principio delle
grandezze ecclesiastiche nella casa de Medici. Et usò Leone quella liberalità
non tanto per affetto fraterno, quanto per ricompensa delle spese fatte dalla
casa Cibo in quel tempo che stette retirato in Genova, non potendo dimorar in
Roma mentre Alessandro VI era congionto con li fiorentini nemici di casa
Medici, che l'avevano scacciata di Fiorenza. Ma la sorella, acciò il dono del
pontefice gli rendesse buon frutto, diede la cura di mandar a predicare
l'indulgenze e dell'essazzione del danaro al vescovo Aremboldo, il quale
nell'assonzione della dignità e carico episcopale non si era spogliato di
alcuna delle qualità di perfetto mercatante genovese. Questo diede la facoltà
di publicarle a chi offerí di piú cavarne, senza risguardo della qualità delle
persone, anzi cosí sordidamente, che nissuna persona mediocre poté contrattar
con lui, ma solo trovò ministri simili a sé, non con altra mira che di cavar
danari.
Era costume nella Sassonia che quando
dalli pontefici si mandavano l'indulgenze, erano adoperati li frati dell'ordine
degli eremitani per publicarle. A questi non volsero inviarsi li questori
ministri dell'Aremboldo, come a quelli che, soliti maneggiare simili merci,
potevano aver maniera di trarne occultamente frutto per loro, e da quali anco,
come usati a questo ufficio, non aspettavano cosa straordinaria e che li
potesse fruttare piú del solito; ma s'inviarono alli frati dell'ordine di san
Domenico. Da questi, nel publicar l'indulgenze, furono dette molte novità che
diedero scandalo, mentre essi volevano amplificare il valore piú del solito. Si
aggionse la cattiva vita delli questori, i quali nelle taverne et altrove, in
giuochi et altre cose piú da tacere, spendevano quello che il popolo
risparmiava dal suo vivere necessario per acquistar le indulgenze.
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