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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il papa preme Cesare di approvar la traslazione; Cesare insta al ritorno in Trento]
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[Il papa preme Cesare di approvar la traslazione; Cesare insta al ritorno in Trento]

Il cardinale Sfondrato non aveva mancato del debito in proporre molti vantaggi per Cesare, quando fosse condesceso a consentir il concilio in Bologna: gli mostrò confusioni in che era l'Inghilterra sotto un re fanciullo con governatori discordi e con i popoli tra loro diffidenti per causa della religione; gli scoprí l'intelligenze che il papa teneva in quel regno, che tutte sarebbono state a suo favore; propose che il papa l'averebbe aiutato a quell'impresa con numero di genti e di vaselli, che gli averebbe concesso di valersi delle rendite ecclesiastiche di tutti i Stati suoi. Era nota all'imperatore la mira del papa di volerlo implicare in nuova impresa, per intorbidargli quella che già aveva a fine condotta. Però rispose che col pontefice voleva esser unito nelle cose della religione; ma, dove si trattava di guerra, era risoluto far i fatti suoi da se stesso e non esser capitano di chi in l'opportunità l'abbandonasse, come nella guerra di Germania. E dall'altro canto esso ancora propose diversi vantaggi al papa, quando consentisse il ritorno del concilio a Trento. Sopra che avendo il legato certificato di non aver commissione alcuna, ispedí Cesare in diligenza il cardinale di Trento al pontefice per negoziare la restituzione del concilio et altri particolari che si diranno. Il pontefice, dopo averlo piú volte ascoltato senza scoprir qual fosse l'animo suo, finalmente rispose che dovesse parlarne in concistorio.

Il cardinale a 9 di decembre, in presenza di tutto 'l collegio, dopo aver narrato quante fatiche e pericoli aveva passato Cesare, non per altro che per sostenere la degnità del concilio, e come finalmente per la sua diligenza et autorità aveva indotto tutti i prencipi e stati di Germania ad aderirvi e sottomettervisi, pregò Sua Santità, a nome di Cesare, di Ferdinando e di tutto l'Imperio, che per l'amor di Dio volesse far ritornar a Trento i vescovi che erano a Bologna, per finir l'opera necessaria incomminciata, et ancora si contentasse mandar un legato o doi in Germania con pienissima autorità pontificale, senza ritenergli facoltà alcuna, accioché con loro conseglio si ordinasse un modo di vivere sino al concilio e si riformasse l'ordine ecclesiastico: et appresso di ciò avesse considerazione e determinasse se, accorrendo vacanza della Sede durante il concilio, l'elegger il pontefice toccasse a' padri d'esso o a' cardinali: acciò, occorrendo, non nascesse qualche nuovo moto. Questo terzo ponto fu aggionto per avvertire il pontefice della sua vecchiezza e prossima mortalità, et indurlo piú facilmente a condescendere, per non lasciare la sua posterità erede del dispiacer che sentiva l'imperatore per la sua renitenza. A queste proposte rispose il pontefice, commentando la buona volontà dell'imperatore e le opere fatte in publico servizio della Chiesa, e concludendo d'aver udite le proposizioni, alle quali averebbe avuto la considerazione che meritavano, e risoluto quello che avesse piacciuto a Dio inspirargli. Il cardinale, dopo aver provato in diverse audienze private d'aver qualche buona risoluzione dal pontefice, vedendo che altro non si poteva da lui avere, lasciata la instruzzione a don Diego di Mendozza, quale l'imperatore a questo effetto aveva fatto andar a Roma da Siena, dove si ritrovava per accommodare le differenze di quella republica, si partí e tornò in Augusta. Don Diego, nel concistoro publico congregato per dar il capello al cardinale di Ghisa, dove ogni qualità di persone può esser presente, si presentò inanzi al papa e gli espose l'istesse cose dette dal cardinale, aggiongendo aver commissione, se la Santità Sua interponeva dilazione o scusa, di protestare che la sinodo di Bologna non era legitima. Rispose il pontefice volere prima intendere la mente e le raggioni de' padri del concilio di Bologna, e communicare la proposta co' re e prencipi cristiani, per far risoluzione matura in servizio di Dio e sodisfazzione commune.

Il cardinale di Ghisa in quello stesso concistoro fece un publico raggionamento per nome del re di Francia, e disse in sostanza: che il re Francesco non aveva mai perdonato a spesa e pericoli per mantenere la libertà anco degli altri prencipi: in conformità di che Enrico, non degenerando dalla bontà paterna, subito cessato il dolore per la morte del padre, aver voluto dichiarare la sua osservazione verso la Sede romana; esser illustri i meriti de' re di Francia verso i pontefici e superare tutti quelli delle altre nazioni. Ma sopra tutto esser molto opportuno questo che fa il re, promettendo tutte le sue forze per conservare la degnità ponteficia, in questo tempo che e cosí vilipesa. Aggionse che pregava il pontefice a ricever il re per figliuolo e promettersi da lui ogni aiuto, e del resto avere mira che la Chiesa non ricevi alcun danno o vergogna, essendo ben noto da che deboli principii sono nate de' gran fazzioni, le quali hanno condotto i pontefici in gran calamità. Passò agli essempi di molti papi tribulati e da' re di Francia difesi e, sollevati: concludendo che il presente re non vorrà esser inferiore a suoi progenitori nel conservare la degnità della Sede apostolica.

 

 




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