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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Cesare ordina che si faccia la protesta prima a Bologna, poi a Roma]
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[Cesare ordina che si faccia la protesta prima a Bologna, poi a Roma]

Cesare, avisato dall'ambasciatore suo delle condizioni proposte da' bolognesi e della risoluta risposta del papa, quantonque chiaramente conoscesse che la Santità Sua s'era coperta col nome del concilio e padri di Bologna, quali era notissimo dipendere in tutto e per tutto e ricever ogni moto da lui, per render certo il mondo che non aveva tralasciato mezo alcuno di ritornar il concilio in piedi, mandò a Bologna Francesco Vargas e Martino Velasco; i quali a 16 di genaro, avuta l'audienza dal consesso, dove, insieme co' cardinali del Monte e Santa Croce, legati, erano li padri non in maggior numero che nell'ultima sessione, presentarono lettere dell'imperatore, quali erano inviate «Conventui Patrum Bononiae». Le quali lette, incomminciando il Vargas a parlare, il Monte l'interruppe dicendo che, se ben quella Santa Sinodo non era tenuta ascoltarlo, non essendo le lettere indrizzate a lei, come quella, che non era convento, ma concilio, tuttavia non ricusavano udirlo con protesto che fosse senza pregiudicio suo e senza avantaggio d'altri, e che restasse libero a' padri di continuare il concilio e passar inanzi e proceder contra i contumaci e ribelli con le pene delle leggi. Vargas ricercò che della protestazione fatta, inanzi che intendere la proposta, fosse fatto istromento; poi pregò i padri, per nome di tutta la republica cristiana, a proceder con equità, perché perseverando ostinati nel parer da loro non con intiera prudenza e maturità abbracciato, il fine non poteva riuscir se non con gran calamità publica; ma condescendendo a Cesare, tutto avverrebbe felicemente. Egli era per mostrargli quanto pernicioso error sarebbe il non mutar deliberazione e quanto la volontà di Cesare verso il servizio di Dio e publico della Chiesa era ottima. In queste parole di nuovo fu interrotto dal Monte, qual disse: «Son qua io, presidente di questo sacrosanto concilio e legato di Paolo III, successor di Pietro e vicario di Cristo in terra, insieme con questi santissimi padri, per proseguire a gloria di Dio il concilio trasferito legitimamente da Trento; e preghiamo Cesare di mutar parere e di porgerci aiuto a questo effetto, e raffrenar i perturbatori del concilio, sapendo Sua Maestà che chi mette impedimento a' sacri concilii, sia di che grado si voglia, incorre gravissime pene delle leggi, e siamo cosí disposti che, succedendo qualonque cosa, non averemo rispetto a qual si voglia minaccie, né saremo per mancar alla libertà et onore della Chiesa, del concilio e del nostro».

Allora il Velasco legette la protesta che aveva scritta in mano, la somma della quale era: che essendo la religione sbattuta, i costumi corrotti e la Germania separata dalla Chiesa, l'imperatore aveva dimandato il concilio a Leone, Adriano, Clemente et in fine a Paolo III, e narrati gl'impedimenti e difficoltà nell'adunarlo, toccò le cose trattate nel concilio, soggiongendo che in quel mentre l'imperatore fece la guerra principalmente per causa della religione e quietò la Germania con la virtú sua, con grandissima speranza che al concilio andassero quelli che sino allora l'avevano ricusato; ma che allora essi reverendissimi legati, contra l'espettazione di tutti, senza la saputa del papa, fatta nascere e finta una causa leggierissima, proposero a' padri la traslazione del concilio senza dargli tempo di pensare; al che essendosi opposti alcuni santi vescovi, protestando di volere restar in Trento, essi col solo consenso de' pochi italiani decretarono la traslazione, et il seguente partirono e se n'andarono in Bologna. Che l'imperatore, avuta la vittoria, sollecitò in molti modi il pontefice, pregandolo a fargli ritornar in Trento, mostrando li scandali e pericoli imminenti se il concilio non si finisca in quella città, e fra tanto operò nella dieta d'Augusta che tutti i tedeschi si sottomettessero al concilio. Mandò finalmente il cardinale di Trento a Sua Beatitudine a significargli questo e pregarla a far tornar il concilio in Trento. Fece anco andar il Mendozza a Roma per far l'istesso ufficio. Che il pontefice ha interposto tempo per trattare con essi congregati, quali hanno dato una risposta vana, capziosa, piena d'inganni, degna che il pontefice la dannasse, il qual però l'ha approvata e seguita, chiamando la congregazione bolognese, che è illegitima, con nome di generale concilio, dandogli tanta autorità che essa medesima non ha saputo tanta arrogarsene. Certa cosa esser che il concilio congregato in Trento non si poteva trasferire, se non per urgente necessità, diligente discussione e consenso di tutti; che con tutto ciò, essi asseriti legati e gl'altri precipitosamente erano usciti di Trento, finte certe febri et infezzioni d'aria, e testimonii affettati de' medici, quali l'evento ha mostrato che non erano cause manco di vano timore. Che quando anco vi fosse stata necessità di farlo, conveniva trattare prima col papa e con l'imperatore, che ha la tutela de concilii. Ma tanta fu la loro fretta, che non consultarono manco con loro medesimi. Che era debito ascoltar et essaminar le contradizzioni e pareri di quei padri che parlavano per conscienza, i quali, se ben erano manco di numero, dovevano esser preferiti come piú savii. Che quando s'avesse dovuto partire, non conveniva uscire di quella regione, ma, seguendo i decreti de' santi concilii, elegger un altro luogo in Germania; non potersi in alcun modo difendere d'aver eletto Bologna suddita della Chiesa, dove certo era che germani non sarebbono andati e quale ogni uno poteva per molte cause ricusare; il che non era se non dissolvere il concilio alla sprovista. Perilché l'imperatore, al qual appartiene difender la Chiesa e proteger i concilii generali, per componer i dissidii di Germania, et anco per ridur la Spagna, gl'altri regni e Stati suoi alla vera vita cristiana, vedendo che la partita da Trento, fatta senza raggione, pertorba tutto 'l suo proposito, ricerca essi asseriti legati con gl'altri vescovi che partirono di ritornar in Trento. Che ciò non possono ricusare, avendo promesso di farlo, cessate le sospizzioni di peste: il che se faranno, sarà cosa gratissima a tutto 'l popolo cristiano. Ma quando non, essi procuratori, per special mandato di Cesare, protestano la traslazione overo recesso esser illegitimo e nullo, con tutte le cose seguite e che seguiranno, e l'autorità d'essi asseriti legati e de' vescovi presenti, come pendenti dal nuto del pontefice, non esser tanta che possi dar legge a tutta la republica cristiana nella causa di religione e di riforma de' costumi, e massime a quelle provincie, i costumi et instituti de' quali non gli sono noti; similmente protestano che la risposta di Sua Santità e la loro non è conveniente, ma illegitima, piena d'inganni et illusoria, e che tutti i danni, tumulti, rovine et esterminii di popoli che di sono nati, nascono e possono nascere, non debbono esser imputati a Cesare, ma a quella congregazione che chiamano concilio, potendo ella facilissimamente e canonicamente rimediarvi. Protestando similmente che l'imperatore, per difetto, colpa e negligenzia loro e del papa, provederà con tutte le sue forze, non tralasciando la protezzione e tutela della Chiesa che se gli conviene per essere imperatore e re, conforme alle leggi et al consenso de' santi padri e del mondo. Dimandarono in fine istromento publico delle cose da loro trattate e che il mandato di Cesare e la protestazione loro fosse inserita negl'atti di quella asserta congregazione.

Dopo la protesta il Velasco presentò la scrittura medesima che teneva in mano, e replicò l'instanza che fosse registrata. Il cardinale del Monte, con consenso della sinodo, con gravissime parole protestò esser parecchiati piú tosto a morire, che sopportare l'introduzzione d'un tal essempio nella Chiesa, che la potestà secolare congreghi concilio: che Cesare è figlio della Chiesa, non signore o maestro. Che esso et il suo collega sono legati della Santa Sede apostolica e che non ricusavano di render conto a Dio et al pontefice della loro legazione, e che fra pochi giorni averebbono risposto alla protestazione lettagli.

Il Mendozza in Roma, ricevuta la risposta da Cesare che dovesse proseguir inanzi e protestare al papa in presenza de' cardinali et ambasciatori de' prencipi, e ricevuto aviso dell'azzione fatta in Bologna dal Vargas e Velasco, comparve in consistoro, et inginocchiato inanzi il papa, lesse la protestazione, tenendola in mano scritta. Incomminciò dalla vigilanza e diligenza dell'imperatore per riunire la republica cristiana divisa in varie opinioni della religione. Narrò gl'officii fatti con Adriano, Clemente e con l'istesso Paolo per indurgli a convocar il concilio: al quale poiché gli ribelli di Germania ricusavano sottomettersi, indotto dall'istessa pietà, gli ha costretti con le arme all'obedienza; nel che, quantonque il pontefice, per non mostrare di mancar alla publica causa, abbia contribuito certo leggier aiuto di gente, si può dir però che con le sole forze di Cesare una tanta guerra sia ridotta a fine, nella quale, mentre egli era occupato, ecco che la buona opera principiata in Trento fu interrotta con un pernizioso tentativo di trasferir il concilio sotto pretesti non veri, né verisimili, ma solo ad effetto che non sortisse il fine della quiete commune, non ostante che la piú pia e sana parte de' padri s'opponesse e rimanesse nell'istesso luogo; che a questi doverebbe esser dato il nome di concilio, e non a quelli che sono ritirati a Bologna, quali la Santità Sua onora di quel nome per esser aderenti a lei, la volontà de' quali antepone alle preghiere dell'imperatore, di Ferdinando e de' prencipi dell'Imperio, non curando la salute di Germania e la conversione delli sviati, per ridur i quali, poiché si sono contentati di sottomettersi al concilio di Trento, non resterebbe altro che ritornarlo in quella città. Del che essendo da esso ambasciatore per i nomi sopradetti supplicato, ha dato una risposta piena d'arteficii e senza alcun fondamento di raggione: laonde vedendo che le requisizioni evangeliche fatte a 14 e 27 decembre alla Santità Sua da lui, come ambasciatore cesareo, et a 16 genaro in Bologna da altri procuratori della medesima Maestà, delle quali né in l'uno, né in l'altro luogo era stato tenuto conto, allora protestava la partita da Trento e la traslazione del concilio a Bologna esser nulle et illegitime, che introdurranno contenzione nella Chiesa, metteranno la fede catolica e la religione in pericolo, oltre che di presente danno scandalo alla Chiesa e desformano il suo stato; che tutte le rovine, dissidii e scandali che nasceranno, si doveranno imputare a Sua Beatitudine, la qual, ancorché obligata sino al sangue a provedervi, favorisce e fomenta gl'autori. Che l'imperatore, per difetto e colpa di Sua Santità, vi provederà con tutte le sue forze per officio suo come imperatore e re, secondo la forma statuita da' santi padri et osservata col consenso del mondo. Voltato poi a' cardinali, disse che, recusando il papa d'attendere alla pace della religione, unione della Germania e riformazione de' costumi, se essi medesimamente saranno negligenti, protestava quel medesimo a loro che alla Santità Sua; e lasciata la scrittura che teneva in mano, non essendogli da alcuno fatta risposta, si partí.

 

 




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