[Cesare ordina che si faccia la
protesta prima a Bologna, poi a Roma]
Cesare, avisato dall'ambasciatore suo
delle condizioni proposte da' bolognesi e della risoluta risposta del papa,
quantonque chiaramente conoscesse che la Santità Sua s'era coperta col nome del
concilio e padri di Bologna, quali era notissimo dipendere in tutto e per tutto
e ricever ogni moto da lui, per render certo il mondo che non aveva tralasciato
mezo alcuno di ritornar il concilio in piedi, mandò a Bologna Francesco Vargas
e Martino Velasco; i quali a 16 di genaro, avuta l'audienza dal consesso, dove,
insieme co' cardinali del Monte e Santa Croce, legati, erano li padri non in
maggior numero che nell'ultima sessione, presentarono lettere dell'imperatore,
quali erano inviate «Conventui Patrum Bononiae». Le quali lette, incomminciando
il Vargas a parlare, il Monte l'interruppe dicendo che, se ben quella Santa
Sinodo non era tenuta ascoltarlo, non essendo le lettere indrizzate a lei, come
quella, che non era convento, ma concilio, tuttavia non ricusavano udirlo con
protesto che fosse senza pregiudicio suo e senza avantaggio d'altri, e che
restasse libero a' padri di continuare il concilio e passar inanzi e proceder
contra i contumaci e ribelli con le pene delle leggi. Vargas ricercò che della
protestazione fatta, inanzi che intendere la proposta, fosse fatto istromento;
poi pregò i padri, per nome di tutta la republica cristiana, a proceder con
equità, perché perseverando ostinati nel parer da loro non con intiera prudenza
e maturità abbracciato, il fine non poteva riuscir se non con gran calamità
publica; ma condescendendo a Cesare, tutto avverrebbe felicemente. Egli era per
mostrargli quanto pernicioso error sarebbe il non mutar deliberazione e quanto
la volontà di Cesare verso il servizio di Dio e publico della Chiesa era
ottima. In queste parole di nuovo fu interrotto dal Monte, qual disse: «Son qua
io, presidente di questo sacrosanto concilio e legato di Paolo III, successor
di Pietro e vicario di Cristo in terra, insieme con questi santissimi padri,
per proseguire a gloria di Dio il concilio trasferito legitimamente da Trento;
e preghiamo Cesare di mutar parere e di porgerci aiuto a questo effetto, e
raffrenar i perturbatori del concilio, sapendo Sua Maestà che chi mette
impedimento a' sacri concilii, sia di che grado si voglia, incorre gravissime
pene delle leggi, e siamo cosí disposti che, succedendo qualonque cosa, non
averemo rispetto a qual si voglia minaccie, né saremo per mancar alla libertà
et onore della Chiesa, del concilio e del nostro».
Allora il Velasco legette la protesta che
aveva scritta in mano, la somma della quale era: che essendo la religione
sbattuta, i costumi corrotti e la Germania separata dalla Chiesa, l'imperatore
aveva dimandato il concilio a Leone, Adriano, Clemente et in fine a Paolo III,
e narrati gl'impedimenti e difficoltà nell'adunarlo, toccò le cose trattate nel
concilio, soggiongendo che in quel mentre l'imperatore fece la guerra
principalmente per causa della religione e quietò la Germania con la virtú sua,
con grandissima speranza che al concilio andassero quelli che sino allora
l'avevano ricusato; ma che allora essi reverendissimi legati, contra
l'espettazione di tutti, senza la saputa del papa, fatta nascere e finta una
causa leggierissima, proposero a' padri la traslazione del concilio senza
dargli tempo di pensare; al che essendosi opposti alcuni santi vescovi,
protestando di volere restar in Trento, essi col solo consenso de' pochi
italiani decretarono la traslazione, et il dí seguente partirono e se n'andarono
in Bologna. Che l'imperatore, avuta la vittoria, sollecitò in molti modi il
pontefice, pregandolo a fargli ritornar in Trento, mostrando li scandali e
pericoli imminenti se il concilio non si finisca in quella città, e fra tanto
operò nella dieta d'Augusta che tutti i tedeschi si sottomettessero al
concilio. Mandò finalmente il cardinale di Trento a Sua Beatitudine a
significargli questo e pregarla a far tornar il concilio in Trento. Fece anco
andar il Mendozza a Roma per far l'istesso ufficio. Che il pontefice ha
interposto tempo per trattare con essi congregati, quali hanno dato una
risposta vana, capziosa, piena d'inganni, degna che il pontefice la dannasse,
il qual però l'ha approvata e seguita, chiamando la congregazione bolognese,
che è illegitima, con nome di generale concilio, dandogli tanta autorità che
essa medesima non ha saputo tanta arrogarsene. Certa cosa esser che il concilio
congregato in Trento non si poteva trasferire, se non per urgente necessità,
diligente discussione e consenso di tutti; che con tutto ciò, essi asseriti
legati e gl'altri precipitosamente erano usciti di Trento, finte certe febri et
infezzioni d'aria, e testimonii affettati de' medici, quali l'evento ha
mostrato che non erano cause manco di vano timore. Che quando anco vi fosse
stata necessità di farlo, conveniva trattare prima col papa e con l'imperatore,
che ha la tutela de concilii. Ma tanta fu la loro fretta, che non consultarono
manco con loro medesimi. Che era debito ascoltar et essaminar le contradizzioni
e pareri di quei padri che parlavano per conscienza, i quali, se ben erano
manco di numero, dovevano esser preferiti come piú savii. Che quando s'avesse
dovuto partire, non conveniva uscire di quella regione, ma, seguendo i decreti
de' santi concilii, elegger un altro luogo in Germania; non potersi in alcun
modo difendere d'aver eletto Bologna suddita della Chiesa, dove certo era che
germani non sarebbono andati e quale ogni uno poteva per molte cause ricusare;
il che non era se non dissolvere il concilio alla sprovista. Perilché
l'imperatore, al qual appartiene difender la Chiesa e proteger i concilii
generali, per componer i dissidii di Germania, et anco per ridur la Spagna,
gl'altri regni e Stati suoi alla vera vita cristiana, vedendo che la partita da
Trento, fatta senza raggione, pertorba tutto 'l suo proposito, ricerca essi
asseriti legati con gl'altri vescovi che partirono di ritornar in Trento. Che
ciò non possono ricusare, avendo promesso di farlo, cessate le sospizzioni di
peste: il che se faranno, sarà cosa gratissima a tutto 'l popolo cristiano. Ma
quando non, essi procuratori, per special mandato di Cesare, protestano la
traslazione overo recesso esser illegitimo e nullo, con tutte le cose seguite e
che seguiranno, e l'autorità d'essi asseriti legati e de' vescovi là presenti,
come pendenti dal nuto del pontefice, non esser tanta che possi dar legge a
tutta la republica cristiana nella causa di religione e di riforma de' costumi,
e massime a quelle provincie, i costumi et instituti de' quali non gli sono noti;
similmente protestano che la risposta di Sua Santità e la loro non è
conveniente, ma illegitima, piena d'inganni et illusoria, e che tutti i danni,
tumulti, rovine et esterminii di popoli che di là sono nati, nascono e possono
nascere, non debbono esser imputati a Cesare, ma a quella congregazione che
chiamano concilio, potendo ella facilissimamente e canonicamente rimediarvi.
Protestando similmente che l'imperatore, per difetto, colpa e negligenzia loro
e del papa, provederà con tutte le sue forze, non tralasciando la protezzione e
tutela della Chiesa che se gli conviene per essere imperatore e re, conforme
alle leggi et al consenso de' santi padri e del mondo. Dimandarono in fine
istromento publico delle cose da loro trattate e che il mandato di Cesare e la
protestazione loro fosse inserita negl'atti di quella asserta congregazione.
Dopo la protesta il Velasco presentò la
scrittura medesima che teneva in mano, e replicò l'instanza che fosse
registrata. Il cardinale del Monte, con consenso della sinodo, con gravissime
parole protestò esser parecchiati piú tosto a morire, che sopportare
l'introduzzione d'un tal essempio nella Chiesa, che la potestà secolare
congreghi concilio: che Cesare è figlio della Chiesa, non signore o maestro.
Che esso et il suo collega sono legati della Santa Sede apostolica e che non
ricusavano di render conto a Dio et al pontefice della loro legazione, e che
fra pochi giorni averebbono risposto alla protestazione lettagli.
Il Mendozza in Roma, ricevuta la risposta da Cesare
che dovesse proseguir inanzi e protestare al papa in presenza de' cardinali et
ambasciatori de' prencipi, e ricevuto aviso dell'azzione fatta in Bologna dal
Vargas e Velasco, comparve in consistoro, et inginocchiato inanzi il papa,
lesse la protestazione, tenendola in mano scritta. Incomminciò dalla vigilanza
e diligenza dell'imperatore per riunire la republica cristiana divisa in varie
opinioni della religione. Narrò gl'officii fatti con Adriano, Clemente e con
l'istesso Paolo per indurgli a convocar il concilio: al quale poiché gli
ribelli di Germania ricusavano sottomettersi, indotto dall'istessa pietà, gli
ha costretti con le arme all'obedienza; nel che, quantonque il pontefice, per
non mostrare di mancar alla publica causa, abbia contribuito certo leggier aiuto
di gente, si può dir però che con le sole forze di Cesare una tanta guerra sia
ridotta a fine, nella quale, mentre egli era occupato, ecco che la buona opera
principiata in Trento fu interrotta con un pernizioso tentativo di trasferir il
concilio sotto pretesti non veri, né verisimili, ma solo ad effetto che non
sortisse il fine della quiete commune, non ostante che la piú pia e sana parte
de' padri s'opponesse e rimanesse nell'istesso luogo; che a questi doverebbe
esser dato il nome di concilio, e non a quelli che sono ritirati a Bologna,
quali la Santità Sua onora di quel nome per esser aderenti a lei, la volontà
de' quali antepone alle preghiere dell'imperatore, di Ferdinando e de' prencipi
dell'Imperio, non curando la salute di Germania e la conversione delli sviati,
per ridur i quali, poiché si sono contentati di sottomettersi al concilio di
Trento, non resterebbe altro che ritornarlo in quella città. Del che essendo da
esso ambasciatore per i nomi sopradetti supplicato, ha dato una risposta piena
d'arteficii e senza alcun fondamento di raggione: laonde vedendo che le
requisizioni evangeliche fatte a 14 e 27 decembre alla Santità Sua da lui, come
ambasciatore cesareo, et a 16 genaro in Bologna da altri procuratori della
medesima Maestà, delle quali né in l'uno, né in l'altro luogo era stato tenuto
conto, allora protestava la partita da Trento e la traslazione del concilio a
Bologna esser nulle et illegitime, che introdurranno contenzione nella Chiesa,
metteranno la fede catolica e la religione in pericolo, oltre che di presente
danno scandalo alla Chiesa e desformano il suo stato; che tutte le rovine,
dissidii e scandali che nasceranno, si doveranno imputare a Sua Beatitudine, la
qual, ancorché obligata sino al sangue a provedervi, favorisce e fomenta gl'autori.
Che l'imperatore, per difetto e colpa di Sua Santità, vi provederà con tutte le
sue forze per officio suo come imperatore e re, secondo la forma statuita da'
santi padri et osservata col consenso del mondo. Voltato poi a' cardinali,
disse che, recusando il papa d'attendere alla pace della religione, unione
della Germania e riformazione de' costumi, se essi medesimamente saranno
negligenti, protestava quel medesimo a loro che alla Santità Sua; e lasciata la
scrittura che teneva in mano, non essendogli da alcuno fatta risposta, si
partí.
|