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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il pontefice tenta sfuggire la protesta]
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[Il pontefice tenta sfuggire la protesta]

Il pontefice, considerata la protestazione del Mendozza e maturato il negozio co' cardinali, s'avvidde esser ridotto ad un stretto passo, e che era molto contra la degnità sua l'esser preso per parte e che contra lui si voltasse la contenzione, né esser rimedio, se non con trovar strada di farsi neutrale e giudice tra quelli che approvavano la translazione e che l'impugnavano. Per far questo era necessario declinare la protestazione, che paresse non contra lui fatta, ma inanzi lui contra i bolognesi; il che non potendosi fare con dissimulazione, risolvé d'imputare all'ambasciatore la transgressione del mandato cesareo, giudicando che l'imperatore, vedendo la destrezza sua nel caricare l'ambasciatore per fuggir di rompere con la Maestà Sua, dovesse imitarlo, e come se fosse stato protestato contra i bolognesi, proseguire, riconoscendo il papa per giudice. Perilché il mercore 1 febraro nel consistoro fatto chiamar il Mendozza, diede la risposta molto prolissa, dicendo in sostanza che il protestar era cosa di cattivo essempio, usata da quelli che hanno scossa l'obedienza o vacillano da quella; che duole a lui et al collegio de cardinali di quell'azzione inaspettata per l'amor paterno sempre portato a Cesare e per esser fatto in tempo, quando meno era aspettato, avendo fatta la guerra et avendo la vittoria contra i suoi nimici e della Chiesa aiutato dalle genti pontificie, mantenute con immensa spesa, aiuti grandi et opportunissimi, che non meritavano dopo la vittoria un tal frutto, cioè che il fine della guerra fosse principio di protestar contra lui. Mitigava bene il suo dolore, perché l'ambasciatore aveva eccesso i termini del mandato cesareo, nel quale ha commandato a' suoi procuratori a Bologna che protestino a' legati, et a lui che, in presenza del pontefice e de' cardinali, protestasse contra il concilio di Bologna, ma non contra il pontefice. Che Cesare aveva fatto l'officio di modesto prencipe, conoscendo che il pontefice è unico e legitimo giudice nella causa della traslazione, la qual causa quando ricusasse di conoscere, allora averebbe luogo la protesta contra di lui; e però era piú conveniente che i padri remasti in Trento, e avevano causa di querela contra quei di Bologna, ne instituissero giudicio inanzi a lui; ma l'ambasciatore aveva pervertito l'ordine, tralasciando la petizione che doveva fare, e ricercando un indebito pregiudicio contra il concilio; onde cadendo da sé l'atto della protestazione, non sarebbe bisogno dar risposta. Nondimeno, per sincerar la mente di tutti, voleva anco aggiongere: e prima, per quello che tassa lui da negligente e loda Cesare per sollecito, disse non voler detraere alla buona mente et azzioni dell'imperatore, ben precederlo, come in età, cosí in diligenza; mostrò che aveva sempre desiderato il concilio e con effetti mostrato il desiderio: e qui discorse tutte le azzioni fatte a questo fine e gli impedimenti attraversati da altri e qualche volta anco da Cesare con diverse guerre. Soggionse che, se le cause della traslazione siano legitime o no, si riservava giudicarlo: ma ben diceva che il lodar i rimasti in Trento era lodar gl'alienati dal corpo della Chiesa; non ricusare, né mai aver ricusato che si ritorni a Trento, purché si faccia legitimamente e senza offesa delle altre nazioni; che il voler reputar Trento solo atto a celebrar il concilio era far ingiuria allo Spirito Santo, che in ogni luogo è adorato et è presente; né si deve aver risguardo che la Germania ha bisogno della medicina; poiché per quella raggione bisognerebbe far anco un concilio generale in Inghilterra et altrove: non si piglia il commodo di quelli per chi si fanno le leggi, ma di quelli che le hanno a fare, che sono i vescovi. Spesse volte si sono fatti concilii fuori delle provincie dove erano le eresie; scoprir ben che cosa gli dispiace nella risposta datagli: cioè che siano ricevuti i decreti fatti e da farsi, e sia tenuto il modo servato sino dal tempo degl'apostoli. Che egli è per fuggir ogni negligenza nella cura della Chiesa e se Cesare vorrà usar diligenza, pur che stia tra i termini prescritti dalle leggi e da' padri che si convengono a lui, la fonzione dell'un e l'altro, distinte, saranno salutifere alla Chiesa; e per quanto s'aspettava a conoscere se la traslazione era legitima o no, avvocava a sé la causa e deputava quattro cardinali: Parisi, Burgos, Polo e Crescenzio per conoscerla, commandando a ciascuno che, pendente la cognizione, non attenti alcuna novità e dando termine un mese a' padri di Bologna e di Trento da produr le loro raggioni. E questo decreto lo fece ridur in scritto dal secretario consistoriale nella forma giudiciale solita della corte, con inibizione a' prelati di Bologna e di Trento di non innovar alcuna cosa, pendente la lite.

Della risposta del pontefice non bastò agl'imperiali di ridersi per la distinzione ivi apportata di protestare non contra il papa, se ben inanzi il papa, ma ancora Diego replicò una nuova protesta, dicendo aver da Cesare speciale mandato di protestare nella forma che usata aveva. Et in Bologna, ricevuta la inibizione del pontefice, non facendosi piú ridizzione de' vescovi, né congregazione de' teologi, a poco a poco partirono tutti, fuorché i stipendiati dal papa, che non potevano farlo con loro onore. Quei di Trento non si mossero, cosí volendo Cesare per mantenervi il segno di concilio e tener in speranza i catolici di Germania et in officio i protestanti, et acciò non restasse caduca la promessa fatta da loro di sottomettersi al concilio di Trento, per non esser quello in essistenza.

Il pontefice fece passar a notizia de' prelati rimasti in Trento la risposta data al Mendozza, et aspettò 15 giorni se da lui o da loro fosse fatta qualche apertura che lo facesse giudice, come aveva dissegnato. Ma vedendo che niente succedeva, scrisse un breve al cardinal Pacceco et agl'arcivescovi e vescovi restati in Trento a similitudine d'una citazione; nel quale, dopo aver detto le cause che lo mossero a intimar il concilio, e gl'impedimenti e dilazioni occorsi nel congregarlo, e l'allegrezza che ebbe vedendolo principiato, la qual s'aumentò per il felice progresso, mettendolo in speranza che in breve dovesse esser proveduto a tutti i mali della Chiesa, soggionse che altretanta molestia riceveva da' contrarii incontri: onde quando intese la partita de' suoi legati e della maggior parte de' vescovi da Trento, essendo rimasti essi nel medesimo luogo, sentí dispiacere come di causa che poteva tirar indietro il progresso del concilio e dar scandalo alla Chiesa; le qual cose essendo cosí ben note a loro come a lui, si maravigliava perché se la traslazione del concilio era parsa loro giusta, non fossero andati in compagnia de gl'altri, se ingiusta, perché non avevano fatto querela a lui: esser cosa chiara, e loro non poterla ignorare, ch'erano in obligo dell'uno o dell'altro di questi doi: de' quali qual si voglia che fosse abbracciato, averebbe levato le occasioni di scandalo. Non poter restar di scrivergli con dolore che in l'uno o in l'altro abbiano mancato e che egli sia stato avisato prima delle loro querele dall'imperatore, che da alcuno di loro, almeno per lettere o per noncii; e di questo officio tralasciato aver maggior causa di dolersi del cardinale, maggiormente obligato per la degnità del cardinalato. Ma poiché quello che egli aspettava che fosse fatto da loro è stato prevenuto da Cesare, il qual si è querelato per mezzo dell'ambasciatore suo che la traslazione del concilio sia nulla et illegitima, offerisce a loro prontamente quello che non gli averebbe negato se essi si fossero lamentati: cioè di udire le loro querele e conoscer la causa. E quantonque dovesse presuppor che la traslazione fosse legitima, nondimeno, per far l'officio di giusto giudice, si offeriva pronto ad udir loro e le raggioni che adduranno in contrario; che in ciò ha voluto anco tener conto della nazione spagnuola e delle loro persone, non volendo che prevalessero le grandi presonzioni che si dovevano aver contra di loro. Perilché, avendo col conseglio de' cardinali avvocato a sé la causa della traslazione del concilio, e commessa ad alcuni di essi per riferirla in consistorio, e chiamati tutti i pretendenti interessi, et inibito a' prelati di Bologna e di Trento di attentar alcuna cosa pendendo la lite, come nella scrittura, della quale manda copia, si conteneva, desiderando finir la causa quanto prima, gli commanda che, pretendendo la traslazione esser invalida, tre di loro almeno, ben informati, debbino assister nel giudicio et allegare le pretensioni loro e presentarsi perciò quanto prima, volendo che la presentazione fatta al cardinale et a doi o tre di loro, con l'affissione alle porte della chiesa di Trento, oblighi tutti, come se fosse personalmente intimata. Mandò anco il pontefice a congregati in Bologna ad intimare l'istesso decreto: i quali mandarono a Roma immediate.

Ma il cardinal Pacceco e gl'altri spagnuoli rimasti in Trento, che si ritrovarono insieme al numero di 13, avendo prima mandato ad intender la mente dell'imperatore, risposero alla lettera del pontefice sotto il 23 marzo in questa sostanza: che confidavano nella benignità e prudenza sua, qual facilmente conoscerà essi, nell'aver contradetto alla traslazione, nell'aver taciuto, nell'esser restati in quella città, niente aver manco pensato che d'offender la Santità Sua; anzi la principal causa del dissentir dagli altri esser stata il veder che si trattava di cosa gravissima, senza saputa della Santità Sua: nel che anco desideravano che non fosse tenuto poco conto dell'imperatore. Che pareva loro chiaro che la traslazione non dovesse esser ben interpretata, né facilmente approvata dalla Santità Sua, la qual pregavano di non credere che l'imperatore abbia prevenuto la querela loro, aspettata dalla Beatitudine Sua, sopra la illigitima traslazione del concilio, perché essi glie n'abbiano fatto querela, ma per proprio moto di Cesare, il quale riputava appartenere a lui la protezzione della Chiesa; che non sarebbe mai venuto in mente loro la Santità Sua aver potuto desiderar questo officio d'esser aiutata da essi, la qual riputavano aver avuto intiero conto da' suoi legati, avendo essi parlato in publico e con scrittura de notarii; che pareva loro bastar aver detto il parer loro e del resto tacere. Perilché non credevano che la loro presenza fosse necessaria in altro. Che se vi è mancamento, il candor d'animo nondimeno è chiaro; che pensavano a loro bastar dissentire dalla traslazione proposta, e per modestia et umiltà non interpellar la Santità Sua, qual speravano non dover mancar a quello che avesse giudicato utile alla Chiesa. Non vedere perché dovessero partir co' legati, i quali promisero, e nella congregazione generale e nella publica sessione, di dovere tornare a Trento subito che fosse cessato il sospetto del morbo, massime se la Germania s'avesse sottomessa al concilio. Che essi si fermarono nella città, credendo che dovessero tornare, massime quando intesero per grazia di Dio e per virtú dell'imperatore, la Germania essersi al concilio sottomessa. Che alcuni abbiano ricevuto scandalo, come dice Sua Santità, dal loro esser rimasti, bastare a loro che non l'hanno dato, e che dall'altra parte la partita degli altri ha turbato molti; che la loro nazione ha sempre venerato il successor di san Pietro, nel che da loro non è stato commesso mancamento; pregare Sua Santità che non sia ascritto loro a fraude quello che a buon fine hanno fatto; quale pregano umilmente che non consenti siano messi in lite: la causa di che si tratta non esser di loro, ma di Dio; quando di loro fosse, esser parecchiati a sostener ogni torto; ma essendo di Dio e di Cristo, come è, a nissun piú appartenere che al vicario suo. In fine pregarono Sua Santità che rimettesse in piedi l'interrotto concilio, rendesse a quel luogo i legati et i padri, et il tutto si facesse per la breve, senza trattare di translazione; pregarlo ricever in bene le loro parole, non dette per significar qual sia il debito della Santità Sua, ma quello che essi da lei sperano.

La risposta de' spagnuoli, dal pontefice ricevuta, fu mandata a' cardinali commissarii della causa, da' quali fu communicata a' procuratori de' bolognesi, acciò proseguissero inanzi. Questi risposero essergli grato che i spagnuoli riconoscono il giudicio et il giudice, e che non vogliono esser parte: con tutto ciò esser necessario ributtare alcune cose dette nella risposta loro, per metter in chiaro la verità. Per quel che dicono che doveva esser avisata prima la Santità Sua, questo era superfluo, essendovi una special bolla che allora fu letta. Che l'imperatore sia stato negletto non si può dire, poiché tanto conto è stato tenuto di Sua Maestà, quanto del pontefice, non comportando il fatto dimora, poiché era necessario o dissolver, o trasferir il concilio per il progresso che faceva il morbo pestilente nella città e luoghi circonvicini, per la partita di molti padri successa et imminente, e per la contestazione giurata de' medici, specialmente di Fracastoro, stipendiato publico; per il timore che si aveva, che non fosse levato il commercio delle città vicine; le quali cose constano tutte negli atti, per commandamento di Sua Santità a Roma trasportati. Che li legati, dopo il decreto, gli essortarono andar a Bologna, e gionti a Bologna gli ammonirono per lettere, onde non possono dire di non aver dovuto seguire i legati, perché non fossero di parere che il concilio si trasferisse, imperoché essendo liberi i voti di tutti nel concilio, potero con conscienzia dissentire dagli altri, ma avendo la maggior parte fatto un decreto, a quello convien che la minor accommodi la conscienza sua, altrimente mai cosa alcuna si terminerebbe. Che sia stato promesso il ritorno, si può veder nel decreto con che forma; ma se sono restati credendo che gl'altri dovessero ritornare, perché non responder alle lettere de' legati, che gl'ammonivano di andar a Bologna? Ma quando chiamano asserta la sospezzione della pestilenzia, è verisimile che gli sia caduta quella voce per caso, altramente, non avendo causa d'allegare contra la traslazione e non mandando, secondo il decreto di Sua Santità, incorrerebbono nelle censure. Né quella divisione vale, se la causa è di loro o di Dio; perché, in quanto a loro appartenga, niuno vuole fargli ingiuria, in quanto sia di Cristo, poiché è question di fatto, è ben necessario dilucidare quello che in fatto non è chiaro: onde avendo l'imperatore chiamato i legati asserti et i padri che sono in Bologna, non concilio, ma privata adunanza, et aggregato molti opprobrii contra la traslazione, fu raggionevole che la causa fosse assonta da Sua Santità, non per fomentar le liti, anzi per sopirle. Se li scandali siano nati per la traslazione o perché essi siano rimasti, da questo solo si può vedere, perché il loro rimanere è causa che non si possi tornarvi; e quando pregano la Santità Sua di ritornar l'interrotto concilio, se ciò intendono delle solite congregazioni, quelle mai si sono intermesse; se della publicazione de' decreti, quella è stata differita in grazia loro, e già tante cose sono discusse in Bologna, cosí della fede, come della riforma, che se ne può far una longa sessione. Perilché pregano la Sua Santità di dar la sentenza, considerando che nissun concilio, fuor di tempo di schisma, è durato tanto quanto questo; onde i vescovi sono desiderati dalle sue chiese, alle quali è giusto che siano renduti. Questa scrittura fu in fine d'aprile presentata.

Dopo la quale non fu proceduto piú inanzi nella causa, perché i cardinali deputati non sapevano trovar modo come venir a fine: il pronunciar la traslazione legitima in assenza di chi la contradiceva, non avendo modo di costringergli a ricever la sentenza, era fare un scisma; meno si vedeva modo come sforzargli ad assister al giudicio. Il pontefice era di ciò molto angustiato, non vedendo manco partito alcuno come, senza forma di giudicio, si potesse comporre questa difficoltà.

 

 




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