[Il pontefice tenta sfuggire la
protesta]
Il pontefice, considerata la protestazione
del Mendozza e maturato il negozio co' cardinali, s'avvidde esser ridotto ad un
stretto passo, e che era molto contra la degnità sua l'esser preso per parte e
che contra lui si voltasse la contenzione, né esser rimedio, se non con trovar
strada di farsi neutrale e giudice tra quelli che approvavano la translazione e
che l'impugnavano. Per far questo era necessario declinare la protestazione, sí
che paresse non contra lui fatta, ma inanzi lui contra i bolognesi; il che non
potendosi fare con dissimulazione, risolvé d'imputare all'ambasciatore la
transgressione del mandato cesareo, giudicando che l'imperatore, vedendo la
destrezza sua nel caricare l'ambasciatore per fuggir di rompere con la Maestà
Sua, dovesse imitarlo, e come se fosse stato protestato contra i bolognesi,
proseguire, riconoscendo il papa per giudice. Perilché il mercore 1 febraro nel
consistoro fatto chiamar il Mendozza, diede la risposta molto prolissa, dicendo
in sostanza che il protestar era cosa di cattivo essempio, usata da quelli che
hanno scossa l'obedienza o vacillano da quella; che duole a lui et al collegio
de cardinali di quell'azzione inaspettata per l'amor paterno sempre portato a
Cesare e per esser fatto in tempo, quando meno era aspettato, avendo fatta la
guerra et avendo la vittoria contra i suoi nimici e della Chiesa aiutato dalle
genti pontificie, mantenute con immensa spesa, aiuti grandi et opportunissimi,
che non meritavano dopo la vittoria un tal frutto, cioè che il fine della
guerra fosse principio di protestar contra lui. Mitigava bene il suo dolore,
perché l'ambasciatore aveva eccesso i termini del mandato cesareo, nel quale ha
commandato a' suoi procuratori a Bologna che protestino a' legati, et a lui
che, in presenza del pontefice e de' cardinali, protestasse contra il concilio
di Bologna, ma non contra il pontefice. Che Cesare aveva fatto l'officio di
modesto prencipe, conoscendo che il pontefice è unico e legitimo giudice nella
causa della traslazione, la qual causa quando ricusasse di conoscere, allora
averebbe luogo la protesta contra di lui; e però era piú conveniente che i
padri remasti in Trento, e avevano causa di querela contra quei di Bologna, ne
instituissero giudicio inanzi a lui; ma l'ambasciatore aveva pervertito
l'ordine, tralasciando la petizione che doveva fare, e ricercando un indebito
pregiudicio contra il concilio; onde cadendo da sé l'atto della protestazione, non
sarebbe bisogno dar risposta. Nondimeno, per sincerar la mente di tutti, voleva
anco aggiongere: e prima, per quello che tassa lui da negligente e loda Cesare
per sollecito, disse non voler detraere alla buona mente et azzioni
dell'imperatore, ben precederlo, sí come in età, cosí in diligenza; mostrò che
aveva sempre desiderato il concilio e con effetti mostrato il desiderio: e qui
discorse tutte le azzioni fatte a questo fine e gli impedimenti attraversati da
altri e qualche volta anco da Cesare con diverse guerre. Soggionse che, se le
cause della traslazione siano legitime o no, si riservava giudicarlo: ma ben
diceva che il lodar i rimasti in Trento era lodar gl'alienati dal corpo della
Chiesa; non ricusare, né mai aver ricusato che si ritorni a Trento, purché si
faccia legitimamente e senza offesa delle altre nazioni; che il voler reputar
Trento solo atto a celebrar il concilio era far ingiuria allo Spirito Santo,
che in ogni luogo è adorato et è presente; né si deve aver risguardo che la
Germania ha bisogno della medicina; poiché per quella raggione bisognerebbe far
anco un concilio generale in Inghilterra et altrove: non si piglia il commodo
di quelli per chi si fanno le leggi, ma di quelli che le hanno a fare, che sono
i vescovi. Spesse volte si sono fatti concilii fuori delle provincie dove erano
le eresie; scoprir ben che cosa gli dispiace nella risposta datagli: cioè che
siano ricevuti i decreti fatti e da farsi, e sia tenuto il modo servato sino
dal tempo degl'apostoli. Che egli è per fuggir ogni negligenza nella cura della
Chiesa e se Cesare vorrà usar diligenza, pur che stia tra i termini prescritti
dalle leggi e da' padri che si convengono a lui, la fonzione dell'un e l'altro,
distinte, saranno salutifere alla Chiesa; e per quanto s'aspettava a conoscere
se la traslazione era legitima o no, avvocava a sé la causa e deputava quattro
cardinali: Parisi, Burgos, Polo e Crescenzio per conoscerla, commandando a
ciascuno che, pendente la cognizione, non attenti alcuna novità e dando termine
un mese a' padri di Bologna e di Trento da produr le loro raggioni. E questo
decreto lo fece ridur in scritto dal secretario consistoriale nella forma
giudiciale solita della corte, con inibizione a' prelati di Bologna e di Trento
di non innovar alcuna cosa, pendente la lite.
Della risposta del pontefice non bastò
agl'imperiali di ridersi per la distinzione ivi apportata di protestare non
contra il papa, se ben inanzi il papa, ma ancora Diego replicò una nuova
protesta, dicendo aver da Cesare speciale mandato di protestare nella forma che
usata aveva. Et in Bologna, ricevuta la inibizione del pontefice, non facendosi
piú ridizzione de' vescovi, né congregazione de' teologi, a poco a poco
partirono tutti, fuorché i stipendiati dal papa, che non potevano farlo con
loro onore. Quei di Trento non si mossero, cosí volendo Cesare per mantenervi
il segno di concilio e tener in speranza i catolici di Germania et in officio i
protestanti, et acciò non restasse caduca la promessa fatta da loro di
sottomettersi al concilio di Trento, per non esser quello in essistenza.
Il pontefice fece passar a notizia de'
prelati rimasti in Trento la risposta data al Mendozza, et aspettò 15 giorni se
da lui o da loro fosse fatta qualche apertura che lo facesse giudice, come
aveva dissegnato. Ma vedendo che niente succedeva, scrisse un breve al cardinal
Pacceco et agl'arcivescovi e vescovi restati in Trento a similitudine d'una
citazione; nel quale, dopo aver detto le cause che lo mossero a intimar il
concilio, e gl'impedimenti e dilazioni occorsi nel congregarlo, e l'allegrezza
che ebbe vedendolo principiato, la qual s'aumentò per il felice progresso,
mettendolo in speranza che in breve dovesse esser proveduto a tutti i mali
della Chiesa, soggionse che altretanta molestia riceveva da' contrarii incontri:
onde quando intese la partita de' suoi legati e della maggior parte de' vescovi
da Trento, essendo rimasti essi nel medesimo luogo, sentí dispiacere come di
causa che poteva tirar indietro il progresso del concilio e dar scandalo alla
Chiesa; le qual cose essendo cosí ben note a loro come a lui, si maravigliava
perché se la traslazione del concilio era parsa loro giusta, non fossero andati
in compagnia de gl'altri, se ingiusta, perché non avevano fatto querela a lui:
esser cosa chiara, e loro non poterla ignorare, ch'erano in obligo dell'uno o
dell'altro di questi doi: de' quali qual si voglia che fosse abbracciato,
averebbe levato le occasioni di scandalo. Non poter restar di scrivergli con
dolore che in l'uno o in l'altro abbiano mancato e che egli sia stato avisato
prima delle loro querele dall'imperatore, che da alcuno di loro, almeno per
lettere o per noncii; e di questo officio tralasciato aver maggior causa di
dolersi del cardinale, maggiormente obligato per la degnità del cardinalato. Ma
poiché quello che egli aspettava che fosse fatto da loro è stato prevenuto da
Cesare, il qual si è querelato per mezzo dell'ambasciatore suo che la
traslazione del concilio sia nulla et illegitima, offerisce a loro prontamente
quello che non gli averebbe negato se essi si fossero lamentati: cioè di udire
le loro querele e conoscer la causa. E quantonque dovesse presuppor che la
traslazione fosse legitima, nondimeno, per far l'officio di giusto giudice, si
offeriva pronto ad udir loro e le raggioni che adduranno in contrario; che in
ciò ha voluto anco tener conto della nazione spagnuola e delle loro persone,
non volendo che prevalessero le grandi presonzioni che si dovevano aver contra
di loro. Perilché, avendo col conseglio de' cardinali avvocato a sé la causa della
traslazione del concilio, e commessa ad alcuni di essi per riferirla in
consistorio, e chiamati tutti i pretendenti interessi, et inibito a' prelati di
Bologna e di Trento di attentar alcuna cosa pendendo la lite, sí come nella
scrittura, della quale manda copia, si conteneva, desiderando finir la causa
quanto prima, gli commanda che, pretendendo la traslazione esser invalida, tre
di loro almeno, ben informati, debbino assister nel giudicio et allegare le
pretensioni loro e presentarsi perciò quanto prima, volendo che la
presentazione fatta al cardinale et a doi o tre di loro, con l'affissione alle
porte della chiesa di Trento, oblighi tutti, come se fosse personalmente
intimata. Mandò anco il pontefice a congregati in Bologna ad intimare l'istesso
decreto: i quali mandarono a Roma immediate.
Ma il cardinal Pacceco e gl'altri
spagnuoli rimasti in Trento, che si ritrovarono insieme al numero di 13, avendo
prima mandato ad intender la mente dell'imperatore, risposero alla lettera del
pontefice sotto il 23 marzo in questa sostanza: che confidavano nella benignità
e prudenza sua, qual facilmente conoscerà essi, nell'aver contradetto alla
traslazione, nell'aver taciuto, nell'esser restati in quella città, niente aver
manco pensato che d'offender la Santità Sua; anzi la principal causa del
dissentir dagli altri esser stata il veder che si trattava di cosa gravissima,
senza saputa della Santità Sua: nel che anco desideravano che non fosse tenuto
sí poco conto dell'imperatore. Che pareva loro chiaro che la traslazione non
dovesse esser ben interpretata, né facilmente approvata dalla Santità Sua, la
qual pregavano di non credere che l'imperatore abbia prevenuto la querela loro,
aspettata dalla Beatitudine Sua, sopra la illigitima traslazione del concilio,
perché essi glie n'abbiano fatto querela, ma per proprio moto di Cesare, il
quale riputava appartenere a lui la protezzione della Chiesa; che non sarebbe
mai venuto in mente loro la Santità Sua aver potuto desiderar questo officio
d'esser aiutata da essi, la qual riputavano aver avuto intiero conto da' suoi
legati, avendo essi parlato in publico e con scrittura de notarii; che pareva
loro bastar aver detto il parer loro e del resto tacere. Perilché non credevano
che la loro presenza fosse necessaria in altro. Che se vi è mancamento, il
candor d'animo nondimeno è chiaro; che pensavano a loro bastar dissentire dalla
traslazione proposta, e per modestia et umiltà non interpellar la Santità Sua,
qual speravano non dover mancar a quello che avesse giudicato utile alla Chiesa.
Non vedere perché dovessero partir co' legati, i quali promisero, e nella
congregazione generale e nella publica sessione, di dovere tornare a Trento
subito che fosse cessato il sospetto del morbo, massime se la Germania s'avesse
sottomessa al concilio. Che essi si fermarono nella città, credendo che
dovessero tornare, massime quando intesero per grazia di Dio e per virtú
dell'imperatore, la Germania essersi al concilio sottomessa. Che alcuni abbiano
ricevuto scandalo, come dice Sua Santità, dal loro esser rimasti, bastare a
loro che non l'hanno dato, e che dall'altra parte la partita degli altri ha
turbato molti; che la loro nazione ha sempre venerato il successor di san
Pietro, nel che da loro non è stato commesso mancamento; pregare Sua Santità
che non sia ascritto loro a fraude quello che a buon fine hanno fatto; quale
pregano umilmente che non consenti siano messi in lite: la causa di che si
tratta non esser di loro, ma di Dio; quando di loro fosse, esser parecchiati a
sostener ogni torto; ma essendo di Dio e di Cristo, come è, a nissun piú
appartenere che al vicario suo. In fine pregarono Sua Santità che rimettesse in
piedi l'interrotto concilio, rendesse a quel luogo i legati et i padri, et il
tutto si facesse per la breve, senza trattare di translazione; pregarlo ricever
in bene le loro parole, non dette per significar qual sia il debito della
Santità Sua, ma quello che essi da lei sperano.
La risposta de' spagnuoli, dal pontefice
ricevuta, fu mandata a' cardinali commissarii della causa, da' quali fu communicata
a' procuratori de' bolognesi, acciò proseguissero inanzi. Questi risposero
essergli grato che i spagnuoli riconoscono il giudicio et il giudice, e che non
vogliono esser parte: con tutto ciò esser necessario ributtare alcune cose
dette nella risposta loro, per metter in chiaro la verità. Per quel che dicono
che doveva esser avisata prima la Santità Sua, questo era superfluo, essendovi
una special bolla che allora fu letta. Che l'imperatore sia stato negletto non
si può dire, poiché tanto conto è stato tenuto di Sua Maestà, quanto del
pontefice, non comportando il fatto dimora, poiché era necessario o dissolver,
o trasferir il concilio per il progresso che faceva il morbo pestilente nella
città e luoghi circonvicini, per la partita di molti padri successa et
imminente, e per la contestazione giurata de' medici, specialmente di
Fracastoro, stipendiato publico; per il timore che si aveva, che non fosse
levato il commercio delle città vicine; le quali cose constano tutte negli
atti, per commandamento di Sua Santità a Roma trasportati. Che li legati, dopo
il decreto, gli essortarono andar a Bologna, e gionti a Bologna gli ammonirono
per lettere, onde non possono dire di non aver dovuto seguire i legati, perché
non fossero di parere che il concilio si trasferisse, imperoché essendo liberi
i voti di tutti nel concilio, potero con conscienzia dissentire dagli altri, ma
avendo la maggior parte fatto un decreto, a quello convien che la minor
accommodi la conscienza sua, altrimente mai cosa alcuna si terminerebbe. Che
sia stato promesso il ritorno, si può veder nel decreto con che forma; ma se
sono restati credendo che gl'altri dovessero ritornare, perché non responder
alle lettere de' legati, che gl'ammonivano di andar a Bologna? Ma quando
chiamano asserta la sospezzione della pestilenzia, è verisimile che gli sia
caduta quella voce per caso, altramente, non avendo causa d'allegare contra la
traslazione e non mandando, secondo il decreto di Sua Santità, incorrerebbono
nelle censure. Né quella divisione vale, se la causa è di loro o di Dio;
perché, in quanto a loro appartenga, niuno vuole fargli ingiuria, in quanto sia
di Cristo, poiché è question di fatto, è ben necessario dilucidare quello che
in fatto non è chiaro: onde avendo l'imperatore chiamato i legati asserti et i
padri che sono in Bologna, non concilio, ma privata adunanza, et aggregato
molti opprobrii contra la traslazione, fu raggionevole che la causa fosse
assonta da Sua Santità, non per fomentar le liti, anzi per sopirle. Se li
scandali siano nati per la traslazione o perché essi siano rimasti, da questo
solo si può vedere, perché il loro rimanere è causa che non si possi tornarvi;
e quando pregano la Santità Sua di ritornar l'interrotto concilio, se ciò
intendono delle solite congregazioni, quelle mai si sono intermesse; se della
publicazione de' decreti, quella è stata differita in grazia loro, e già tante
cose sono discusse in Bologna, cosí della fede, come della riforma, che se ne
può far una longa sessione. Perilché pregano la Sua Santità di dar la sentenza,
considerando che nissun concilio, fuor di tempo di schisma, è durato tanto
quanto questo; onde i vescovi sono desiderati dalle sue chiese, alle quali è
giusto che siano renduti. Questa scrittura fu in fine d'aprile presentata.
Dopo la quale non fu proceduto piú inanzi
nella causa, perché i cardinali deputati non sapevano trovar modo come venir a
fine: il pronunciar la traslazione legitima in assenza di chi la contradiceva,
non avendo modo di costringergli a ricever la sentenza, era fare un scisma;
meno si vedeva modo come sforzargli ad assister al giudicio. Il pontefice era
di ciò molto angustiato, non vedendo manco partito alcuno come, senza forma di
giudicio, si potesse comporre questa difficoltà.
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