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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il papa preme la restituzione di Piacenza occupata da' cesarei]
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[Il papa preme la restituzione di Piacenza occupata da' cesarei]

Mentre queste cose si trattano, dopo la morte del duca suo figlio il papa con continue instanze fece dimanda della restituzione di Piacenza e d'altri luoghi occupati nel Parmeggiano, valendosi degl'interessi della figlia dell'imperatore, moglie del duca Ottavio, figlio del defonto. Ma Cesare, che dissegnato aveva di tenere quella città per il ducato di Milano e dar ricompensa al genero in altro, portava il tempo inanzi in varie risposte e partiti, sperando che il papa, già ottuagenario et adolorato per la morte del figlio e tanti altri disgusti, dovesse, lasciando la vita, dare luogo e fine a tutte le controversie. Ma il papa, vedendosi deluso con le dilazioni e molestato con le instanze di far ritornar il concilio in Trento et offeso con la dimora continuata de' prelati spagnuoli in quella città, per far almeno una diversione, fece intendere a Cesare che gl'occupatori di Piacenza, terra della soggezzione della Sede apostolica, erano incorsi nelle censure, alla dicchiarazione de' quali egli voleva passare, folminandone anco di nuove, se fra un dato termine non gli era restituita. Rescrisse l'imperatore una lettera acerba, avvertendo il papa a non dar fomento a' fuorusciti di Napoli, narrando che tutti i machinamenti gli erano passati a notizia, che aveva inteso le calonnie eccitate contra da lui, che procurasse scisma, mentre per unire la cristianità dimanda il concilio in Trento; e quanto a Piacenza, che quella è membro del ducato di Milano, occupata indebitamente da' pontefici già pochi anni, e se la Chiesa vi ha ragioni sopra, si mostrino, che non mancherà di far quello che sarà giusto. Il papa, vedendo che le arme spirituali senza le temporali non averebbono fatto effetto, si voltò a restringere una lega contra l'imperatore; nel che scontrò molte difficoltà per non poter indurre li veneziani ad entrarvi e chiedendo i francesi, attesa la decrepità del papa, assenso del consistoro e deposito de danari, de' quali il papa non voleva privarsi per le molte spese che faceva e per il timore di doverle far maggiori; per la qual causa anco aveva gravato i subditi quanto potevano portare, e venduto et impegnato quanto poteva, et ordinato che si spedisse ogni sorte di dispense e grazie a chi componeva in danari per i bisogni della Sede apostolica. Per conto del concilio, di non farlo fuori delle terre sue era risolutissimo, et oltre le urgenti raggioni che aveva, s'aggiongeva anco quella della riputazione sua e della Sede apostolica, se l'imperatore l'avesse potuto costringere. Ma come potesse indurre l'imperatore e la Germania a consentirvi, non sapeva vederlo: il lasciarlo andar in niente, ora gli pareva bene, ora male: piú volte ne tenne proposito co' cardinali, et in consistorio et in privati discorsi. Ma finalmente risolvé di rimetter alla buona ventura quella deliberazione, alla quale si conosceva insufficiente, non tanto per le sudette cause, come per altri gravi rispetti che passavano in Germania.

 

 




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