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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Cesare fa, a dispetto del papa, formare lo scritto dell'«Interim»]
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[Cesare fa, a dispetto del papa, formare lo scritto dell'«Interim»]

Imperoché Cesare, col ritorno in Augusta del cardinal di Trento, intesa la mente del pontefice e la risposta che in fine di decembre diede al Mendozza, sopra la quale diede ordine della protestazione, come s'è detto, e stimando che, con ricercare la restituzione di Piacenza fosse posto il pontefice a divertire di parlare di concilio, restò certificato in se stesso che, vivendo quello, o non si farebbe, overo in ogni modo anderebbe la resoluzione in longo, e giudicò necessario, inanzi che disarmarsi, trovar via per metter pace della religione in Germania. Di ciò fu fatta proposizione in dieta, et ordinato che fossero elette persone atte a fare questa buona opera. Fu fatta scielta de' riputati migliori, quali non convenendo tra loro, finalmente fu rimesso tutto a Cesare. Egli elesse tre: Giulio Flugio, Michiel Sidonio e Giovanni Islebio. Questi, dopo longa consultazione, composero una formula di religione, la qual anco fu molte volte essaminata, riveduta e mutata, prima da loro stessi, poi da diverse persone dotte a' quali Cesare la diede a vedere, e furono chiamati alcuni ministri de' protestanti principali per fargliela approbare. Ma tante volte fu alterata e mutata, aggionta e sminuita, che ben dimostra esser opera di molte persone che tra loro miravano a fini contrarii. Finalmente si ridusse nella forma che si vede, e ne mandò il legato a Roma una copia, cosí volendo l'imperatore per intendere anco la mente del pontefice, consegliando cosí la maggior parte de' prelati; i quali vedendo le controversie tra l'imperatore et il papa, temevano di qualche divisione e che l'imperatore non levasse l'obedienza, cosa da loro sommamente aborrita per l'innata et inveterata opinione de' tedeschi di sostentare la degnità del ponteficato, che sola può contrapesare l'autorità degl'imperatori, a' quali essi, senza l'appoggio del papa, non possono resistere, se, conforme all'uso de' prencipi cristiani antichi, vogliono tenergli in officio e levare gl'abusi della decantata libertà ecclesiastica.

Il libro conteneva 26 capi: dello stato dell'uomo nella natura integra; dello stato dell'uomo dopo il peccato; della redenzione per Cristo; della giustificazione; de' frutti d'essa; del modo come è ricevuta; della carità e buone opere; della fiducia della remissione de' peccati; della Chiesa; de' segni della vera Chiesa; dell'autorità di essa; delli ministri della Chiesa; del sommo pontefice e de' vescovi; de' sacramenti; del battesmo; della confermazione; della penitenzia; dell'eucaristia; dell'estrema onzione; dell'ordine; del matrimonio; del sacrificio della messa; della memoria, intercessione et invocazione de' santi; della memoria de morti; della communione; delle ceremonie et uso de' sacramenti. Il recitar qui la sostanza sarebbe cosa prolissa e tediosa, inutile ancora, poiché per poco tempo durarono le consequenze che di questo libro ebbero origine. Egli acquistò il nome Interim, prescrivendo il modo di tener le cose della religione tra tanto che dal concilio generale fossero stabilite.

Andata la copia a Roma, ogni uno restò stordito, prima per questo generale, che un prencipe temporale in un convento secolare metta mano nella religione, e non in un solo articolo, ma in tutte le materie. I letterati si ricordavano dell'Enotico di Zenone, della Ecthesi di Eraclio e del Tipo di Costante, e di quante divisioni furono nella Chiesa per causa di constituzioni imperiali in materia di religione, e dicevano che tre nomi erano sino a quel tempo, sotto pretesto d'unità, infausti nella Chiesa per le divisioni introdotte. A questi si potrà agionger per quarto l'Interim di Carlo V. Dubitarono che questa azzione dell'imperatore fosse un principio per capitare dove era arrivato Enrico VIII d'Inghilterra, di dicchiararsi capo della Chiesa, con tanta maggior ampiezza, quanto non averebbe compreso un'isola, ma Spagna, Italia, Germania et altre regioni adgiacenti; che in apparenza mostrava contenere una dottrina catolica, ma era dalla catolica lontanissima. Descendendo a particolari, riprendevano che nelle materie del peccato originale, della giustificazione, de' sacramenti, del battesmo e della confermazione non fosse portata la stessa dottrina determinata dal concilio, essendo quella raccolta fatta per tenersi sino al concilio: poiché quanto a quei capi il concilio era già fatto, che occorreva altro dire, se non che precisamente fosse tenuto? Ma l'aver publicata altra dottrina esser un annichilar il concilio, e l'arte dell'imperatore molto sottile dover esser piú che mai sospetta, poiché insieme faceva cosí gagliarda instanza che il concilio fosse tornato a Trento, e levava tutta l'autorità alle cose già statuite da quello. Dannavano tutto 'l corpo di quella dottrina che contenesse modi di parlare ambigui, che superficialmente considerati ricevevano buon senso, ma internamente erano venenati; che affettatamente in alcune parti stesse sul solo universale, acciò i luterani avessero modo d'interpretarlo per loro; ma della concupiscenzia parlava afatto alla luterana, come anco nell'articolo della giustificazione, riponendola nella fiducia sopra le promissioni, et attribuendo troppo, anzi il tutto alla fede. Nel capo delle opere niente parlarsi del merito de condigno, che è il cardine in quella materia. Nel capo della Chiesa non aver presa l'unità dal capo visibile, che è essenziale, e, quello che è peggio, aver statuito una Chiesa invisibile per la carità, e poi fatta la stessa visibile; esser un'arteficiosa et occolta maniera di destruggere la ierarchia e stabilire l'openione luterana; l'aver posto per note della Chiesa la sana dottrina et il legitimo uso de sacramenti aver dato modo a tutte le sette di ostinarsi a tenersi per Chiesa, taciuta la vera marca, che è l'obedienza al pontefice romano. Non essere comportabile d'aver posto il sommo pontefice in remedium schismatis et i vescovi de iure divino. Che il sacramento della penitenzia era fatto luteranissimo, quando si diceva che, credendo di ricevere con questo sacramento quello che Cristo ha promesso, gli avviene come crede. Del sacrificio ancora essere taciuto il principale, che egli è espiativo e propiziatorio per i vivi e per i morti. Quel che dicevano poi dell'aver concesso le mogli a' sacerdoti et il calice nella communione de' laici, ogni uno lo può da sé comprendere, che con questi doi abusi era destrutta tutta la fede catolica. Era una la voce di tutta la corte, che si trattava de summa rerum: che erano crollati i fondamenti della Chiesa, che bisognava metterci tutte le forze, eccitare tutti i prencipi, mandar a' vescovi di tutte le nazioni et urtar in ogni maniera questo principio, dal qual indubitatamente era necessario che ne seguisse, non la destruzzione della Chiesa romana, essendo ciò impossibile, ma bene una deformazione e deturpazione la maggiore che mai.

 

 

 




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