[L'«Interim» giudicato dal papa atto a'
suoi dissegni]
Ma il pontefice, vecchio sensatissimo, che
piú di tutti vedeva con la finezza del suo giudicio, penetrò immediate sino al
fondo e giudicò l'impresa salutifera per sé e per l'imperatore perniziosa. Si
maravigliò molto della prudenza d'un tanto prencipe e del conseglio suo, che,
per una vittoria avuta, si pensasse esser diventato arbitro del genere umano e
presuppostosi di potere solo contrastare con ambe le parti. Poter un prencipe,
aderendo ad una, opprimere l'altra, ma combattere con tutte due essere cosa
ardita e vana. Previdde che quella dottrina piú dispiacerebbe generalmente a
catolici che alla corte, e piú a protestanti ancora, e che da ogni uno sarebbe
impugnata, da nissuno difesa, e non esservi bisogno che egli travagliasse: averebbono
operato per lui gl'inimici suoi, piú che egli medesimo, che meglio per lui era
lasciarla publicare, che impedirla, e meglio ancora nello stato che si trovava,
che reformata in meglio, acciò piú facilmente precipitasse. Solo vi era bisogno
di tre cose: che all'imperatore non fosse aperto questo senso, che si aiutasse
a dar il moto al negozio quanto prima, e che il primo colpo toccasse i
protestanti. Per effettuare il primo, conveniva leggiermente e senza molta
insistenza opponere ad alcune cose; per il secondo, eccitare gli interessi de'
prelati tedeschi; e per il terzo, con destrezza operare che quella dottrina
paresse raccolta non per unire ambe le parti, ma solo per metter freno a'
protestanti, che cosí era guadagnato un gran punto, cioè che il prencipe non
faceva statuti di fede a' fedeli, ma alli sviati.
Perilché il pontefice mandò instruzzione
al cardinale Sfondrato che facesse alcune opposizioni, e per non trovarsi
quando fosse la dottrina publicata, pigliasse licenzia e si partisse. Il
cardinale, esseguendo la commissione, espose per nome del pontefice che la
permissione di continuare in ricever il calice nella santa communione, eziandio
con condizione di non riprendere chi non lo riceve, essendo già abrogata la
consuetudine di ricever il sacramento sotto ambedue le specie, era cosa
riservata al pontefice, sí come anco il conceder matrimonio a' preti, tanto piú
quanto questo non è mai stato in uso nella Chiesa, et i greci et altri popoli
orientali, che non obligano al celibato, concedono che i mariti ricevino
gl'ordini e, ritenendo le mogli, essercitino il ministerio, ma che gli già
ordinati si possino maritare non lo permettono, né mai l'hanno permesso.
Soggionse non esser dubio alcuno che quando la Maestà Sua concedesse tal cose
come lecite, offenderebbe gravissimamente la Maestà divina; ma avendole per
illecite et illegitime, le debbe permettere per minor male alli sviati. È cosa
tolerabile, anzi appartiene alla prudenza del prencipe, quando non può impedire
tutti i mali, permetter il minore a fine d'estirpar il maggiore: che Sua
Santità, veduto il libro, ha inteso che non sia se non permissione a quei della
setta luterana, acciò non passino d'un error in l'altro in infinito; ma per
quello che appartiene a' catolici, non gli sia concesso né credere, né operare
se non il prescritto della Santa Sede apostolica, che sola maestra de' fedeli
può far decreti delle cose della religione; et essendo certo che cosí era la
mente di Sua Maestà, gli considerava che sarebbe necessario farne una
dicchiarazione espressa e restringer ancora la briglia a' luterani alquanto
piú, massime nella potestà di mutar le ceremonie, poiché l'ultimo capo pare che
dia loro troppo ampla libertà, dove concede che siano levate le ceremonie, le
quali possono dar causa alla superstizione. Aggionse poi il legato che i
luterani si sarebbono fatto lecito ritener i beni ecclesiastici usurpati e la
giurisdizzione occupata, se non gli era commandata la restituzione: né di
questo si doveva aspettar concilio, ma venir all'essecuzione immediate, e
constando notoriamente dello spoglio, non si dovevano servare pontigli di
legge, ma procedere de plano e con la mano regia.
Questa censura fu communicata da Cesare
agl'elettori ecclesiastici, i quali l'approvarono, ma particolarmente quanto al
capo della restituzione de' beni ecclesiastici, anzi l'affermarono necessaria,
et altrimente non potersi ricuperare il colto divino, né conservare la
religione, né sicurar bene la pace. E perché consta dello spoglio, il giusto
vuole che si tratti con pochi termini. Al parer de' quali s'accostorono tutti i
vescovi. I prencipi secolari, per non offendere Cesare, tacquero, et a loro
essempio gli ambasciatori delle città parlarono poco, né di quel poco fu tenuto
conto. Per la remonstranza del legato, ordinò Cesare un proemio al libro di
questa sostanza: che mirando esso alla tranquillità di Germania aveva
conosciuto non esser possibile introdurla, se non composti i dissidii della
religione, onde sono nate le guerre e gli odii; e vedendo per ciò unico remedio
un concilio generale in Germania, aveva operato che s'incomminciasse in Trento,
et indotti tutti li stati dell'Imperio ad aderirvi e sottoporvisi: ma mentre
pensa di non lasciare le cose sospese e confuse sino al celebrar del concilio,
da alcuni grandi e zelanti gli fu presentata una formula, la quale avendo fatto
essaminare a persone catoliche e dotte, l'hanno trovata non aborrente dalla
religione catolica intendendola in buon senso, eccetto ne' due articoli della
communione del calice e del matrimonio de' preti; perilché ricchiede dalli
stati che sino al presente hanno osservato li statuti della Chiesa universale
che perseverino in quelli, che sí come hanno promesso non mutino alcuna cosa, e
quelli che hanno innovato, overo ritornino all'antico, o si conformino a quella
confessione, ritirandosi a quella dove avessero trapassato, e si contentino di
quella, non impugnandola, non insegnando, né scrivendo, né predicando in
contrario, ma aspettando la dicchiarazione del concilio. E perché nell'ultimo
capo si concede di levar le ceremonie superstiziose, riserva a sé la
dicchiarazione di quel capo e di tutte le altre difficoltà che nascessero. Il
decimoquinto giorno di maggio fu recitato il libro nel publico consesso: non si
pigliarono i voti di tutti secondo il consueto, ma l'elettor solo si levò e,
come in nome commune, ringraziò Cesare; il quale pigliò quel ringraziamento per
un'approbazione et assenso di tutti. Da nissun fu parlato, ma a parte poi molti
de' prencipi che già seguivano la confessione augustana dissero di non poterla
accettare, et alcune delle città ancora dissero parole che significavano
l'istesso, se ben per timor di Cesare non parlavano apertamente. Fu il libro
per ordine dell'imperatore stampato in latino e tedesco, poi anco tradotto e
stampato in italiano e francese.
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