[Il papa rinuova il trattato di
rimetter il concilio in Trento. Umori naturali e politici del papa]
L'imperatore, vedendo le cose della
religione in Germania non caminar a modo suo, sperando pure con la presenza sua
superare le difficoltà, intimò la dieta per quell'anno in Augusta e mandò Luis
d'Avila al pontefice per congratularsi con lui dell'assonzione sua et a
ricercarlo di rimetter in piedi il concilio. A che correspondendo il pontefice
con altretanta cortesia, fece grand'offerte della sua benevolenza; ma al fatto
del concilio rispose parole generali, non essendo ancora in se stesso risoluto,
e di questo medesimo parlò col cardinale di Ghisa, che doveva tornar in
Francia, con la medesima irresoluzione, ma ben affermando che non sarebbe
passato a farlo se non communicato prima ogni cosa col re di Francia. Et al
cardinale Pacceco, che spesso ne tenne con lui proposito, et agli altri
imperiali diceva che sarebbe stato facilmente d'accordo con l'imperatore in
questo particolare tutte le volte che si caminasse con sincerità, e che il
concilio si dovesse fare per confondere gl'eretici, per favorire le cose
dell'imperatore e non per disfavorire la Sede apostolica, sopra che aveva molte
considerazioni, che a suo tempo averebbe fatto intender a Sua Maestà. Diede presto
saggio qual dovesse esser il suo governo, consummando i giorni intieri ne'
giardini e dessignando fabriche deliziose e mostrandosi piú inclinato a'
diletti che a' negozii, massime ch'avessero congiunta qualche difficoltà. Le
quali cose avendo accuratamente osservato don Diego, ambasciatore cesareo,
scrisse all'imperatore che sperava dover riuscire facilmente ogni negoziazione
che Sua Maestà avesse introdotta col papa, imperoché, come vago de' diletti,
s'averebbe fatto far tutto quello che l'uomo avesse voluto, mettendogli paura.
Si confermò maggiormente l'opinione che il papa dovesse riuscir piú attento
agl'affetti privati che alle publiche essiggenze, per la promozione che fece il
dí 31 maggio d'un cardinale, a cui diede, secondo il costume usato, il suo
capello.
Essendo Giovanni Maria di Monte ancora
vescovo sipontino al governo della città di Bologna, ricevette nella sua
famiglia un putto piacentino di nazione, de' natali del quale non è passato
notizia al mondo. A questo prese tanto affetto, quanto se gli fosse stato
figlio. Vi è memoria che, essendo quello infermato in Trento di morbo grave e
longo, con opinione de' medici che doveva condurlo a morte, per conseglio loro
lo mandò in Verona per mutar aria, dove avendo ricuperato la sanità e ritornando
in Trento, l'istesso giorno del suo arrivo uscí il legato dalla città per
diporto, accompagnato da gran numero de prelati, e l'incontrò appresso la città
con molti segni d'allegrezza; che diede da parlar assai, o fosse stato questo
incontro per caso, o fosse il cardinale andato a studio sotto altro colore a
questo effetto d'incontrarlo. Egli era solito dire che l'amava e favoriva come
artefice della sua fortuna, atteso che dagli astrologi era predetta gran
dignità e ricchezze a quel giovine, quali non poteva aver se egli non ascendeva
al papato. Subito creato pontefice volle che Innocenzio (cosí era il nome del
giovine) fosse adottato per figlio di Baldoino del Monte, suo fratello, per
qual adozzione si chiamò Innocenzio di Monte e conferitogli molti beneficii, il
giorno sopra detto lo creò cardinale, dando materia di discorsi e pasquinate a'
corteggiani romani, che a gara professavano dire la vera causa d'un azzione
tanto insolita per congetture di varii accidenti passati.
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