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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il papa rinuova il trattato di rimetter il concilio in Trento. Umori naturali e politici del papa]
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[Il papa rinuova il trattato di rimetter il concilio in Trento. Umori naturali e politici del papa]

L'imperatore, vedendo le cose della religione in Germania non caminar a modo suo, sperando pure con la presenza sua superare le difficoltà, intimò la dieta per quell'anno in Augusta e mandò Luis d'Avila al pontefice per congratularsi con lui dell'assonzione sua et a ricercarlo di rimetter in piedi il concilio. A che correspondendo il pontefice con altretanta cortesia, fece grand'offerte della sua benevolenza; ma al fatto del concilio rispose parole generali, non essendo ancora in se stesso risoluto, e di questo medesimo parlò col cardinale di Ghisa, che doveva tornar in Francia, con la medesima irresoluzione, ma ben affermando che non sarebbe passato a farlo se non communicato prima ogni cosa col re di Francia. Et al cardinale Pacceco, che spesso ne tenne con lui proposito, et agli altri imperiali diceva che sarebbe stato facilmente d'accordo con l'imperatore in questo particolare tutte le volte che si caminasse con sincerità, e che il concilio si dovesse fare per confondere gl'eretici, per favorire le cose dell'imperatore e non per disfavorire la Sede apostolica, sopra che aveva molte considerazioni, che a suo tempo averebbe fatto intender a Sua Maestà. Diede presto saggio qual dovesse esser il suo governo, consummando i giorni intieri ne' giardini e dessignando fabriche deliziose e mostrandosi piú inclinato a' diletti che a' negozii, massime ch'avessero congiunta qualche difficoltà. Le quali cose avendo accuratamente osservato don Diego, ambasciatore cesareo, scrisse all'imperatore che sperava dover riuscire facilmente ogni negoziazione che Sua Maestà avesse introdotta col papa, imperoché, come vago de' diletti, s'averebbe fatto far tutto quello che l'uomo avesse voluto, mettendogli paura. Si confermò maggiormente l'opinione che il papa dovesse riuscir piú attento agl'affetti privati che alle publiche essiggenze, per la promozione che fece il 31 maggio d'un cardinale, a cui diede, secondo il costume usato, il suo capello.

Essendo Giovanni Maria di Monte ancora vescovo sipontino al governo della città di Bologna, ricevette nella sua famiglia un putto piacentino di nazione, de' natali del quale non è passato notizia al mondo. A questo prese tanto affetto, quanto se gli fosse stato figlio. Vi è memoria che, essendo quello infermato in Trento di morbo grave e longo, con opinione de' medici che doveva condurlo a morte, per conseglio loro lo mandò in Verona per mutar aria, dove avendo ricuperato la sanità e ritornando in Trento, l'istesso giorno del suo arrivo uscí il legato dalla città per diporto, accompagnato da gran numero de prelati, e l'incontrò appresso la città con molti segni d'allegrezza; che diede da parlar assai, o fosse stato questo incontro per caso, o fosse il cardinale andato a studio sotto altro colore a questo effetto d'incontrarlo. Egli era solito dire che l'amava e favoriva come artefice della sua fortuna, atteso che dagli astrologi era predetta gran dignità e ricchezze a quel giovine, quali non poteva aver se egli non ascendeva al papato. Subito creato pontefice volle che Innocenzio (cosí era il nome del giovine) fosse adottato per figlio di Baldoino del Monte, suo fratello, per qual adozzione si chiamò Innocenzio di Monte e conferitogli molti beneficii, il giorno sopra detto lo creò cardinale, dando materia di discorsi e pasquinate a' corteggiani romani, che a gara professavano dire la vera causa d'un azzione tanto insolita per congetture di varii accidenti passati.

 

 




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