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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il papa dà parte a Francia e a Cesare della sua risoluzione]
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[Il papa dà parte a Francia e a Cesare della sua risoluzione]

Maturata questa consultazione e risoluto di rimetter il concilio in Trento, il papa ne diede conto al cardinale di Ferrara et all'ambasciatore francese, e spedí anco corriero espresso al re di Francia a significargli il suo pensiero, soggiongendo che gl'averebbe per questo mandato un noncio per dargli conto piú particolare delle raggioni che l'avevano mosso. Et in fine di giugno spedí tutt'in un tempo due noncii, Sebastiano Pighino, arcivescovo sipontino, all'imperatore, et il Triulcio, vescovo di Tolone, al re di Francia. A quello diede instruzzioni di parlare conforme alle deliberazioni prese nella congregazione; al Triulcio ordinò che andasse per le poste, acciò potesse dar presto aviso della mente del re, la qual voleva aspettar di saper, prima che passar piú inanzi. Gli diede instruzzione di dar conto particolare delle cause perché deliberava di ritornar il concilio in Trento: l'essersi la Germania sottomessa, il farne instanza l'imperatore, il non potersi continuare in Bologna per la causa sopra narrata, et acciò le cose de' protestanti non si fossero accommodate in qualche maniera pregiudiciale, versando la colpa sopra il papa. Ma che il primo, e precipuo fondamento lo faceva sopra l'assistenza di Sua Maestà Cristianissima e l'intervento de' prelati del suo regno: le quali cose sperava ottener per esser Sua Maestà protettore della fede et immitator di suoi maggiori, mai discostatisi dal parere e consegli de' pontefici. Che nel concilio s'attenderebbe alla dicchiarazione e purificazione de' dogmi e riformazione de' costumi, né si tratterebbe di cosa pertinente alli Stati e dominii, né a privilegii particolari della corona di Francia. Che alla ricchiesta dell'imperatore di voler intender se il pontefice era per voler proseguir il concilio in Trento o no, il pontefice aveva risposto di , con le condizioni discusse nella congregazione, le quali ordinava al noncio che communicasse tutte alla Maestà Sua: dalla quale desiderava intender quanto prima qual fosse la mente, sperando di doverla trovar conforme alla pietà di Sua Maestà et all'amore che porta ad esso pontefice et alla confidenza che ha in lui. Diede anco carico al noncio di communicar tutta la sua instruzzione col cardinale di Guisa e, congionto con lui, o come meglio ad esso paresse, esporla al re et a chi facesse bisogno.

All'altro noncio diede simile instruzzione, in particolar di dir all'imperatore che il pontefice mostrava con effetti l'osservanza di quanto promesse a don Pietro di Toledo, cioè di proceder con Sua Maestà puramente, apertamente e senza arteficio, e di rapresentargli la prontezza dell'animo in proseguir il concilio a gloria di Dio, per scarico della conscienza propria e per il commodo che ne può risultare a Sua Maestà et all'Imperio. E per risponder al moto dato dall'imperatore, cioè che si lasciasse intender delle capitulazioni che ricerca, gli dicesse che mai sognò di far patti, né capitolazioni per proseguir il concilio, ma ben di far alcune considerazioni necessarie, le quali anco dava carico al noncio d'esponer alla Maestà Sua. Et erano 4. La prima, che era necessaria l'assistenza del re Cristianissimo e l'intervenzione de' prelati del suo regno, senza le quali cose il concilio averebbe poca riputazione e si potrebbe temer di far nascer un concilio nazionale, o perder la Francia; non doversi ingannar se stessi che, come il luogo di Trento è molto confidente a Sua Maestà Cesarea, cosí è troppo diffidente alla Cristianissima, e però doversi trovar modo d'assicurarla. Che communicasse all'imperatore il modo trovato, il quale, quando non bastasse, sarebbe necessario che Sua Maestà ci aggiongesse qualch'altra cosa. La seconda considerazione, per le spese che converrà far alla camera apostolica, essausta e carica de debiti, per i legati e per altri straordinarii che porta seco il concilio, e parimente per le spese che i prelati italiani poveri non possono sostener in quel luogo: per il che converrà calcular ben il tempo, cosí dell'incomminciare, come del proceder inanzi, che non si spendi un'ora invano; altrimente la Sede apostolica non potrà supplire al dispendio, né si potrà ovviare che i prelati italiani non diano nell'impazienza, come l'esperienza per il passato ha insegnato. Oltra che non ci è la degnità della Sede apostolica tener i suoi legati oziosi e su le ancore e senza frutto. Perilché esser necessario che, inanzi si venga all'atto, Sua Maestà si assicuri ben dell'intenzione et obedienza cosí de' catolici di Germania, come de' protestanti, stabilendo le cose di nuovo nella dieta e facendo espedir li mandati autentici delle terre e de' prencipi, obligandosi Sua Maestà e tutta la dieta insieme all'essecuzione de' decreti del concilio, acciò la fatica, spesa et opera non riesca vana e derisa, et anco per levar con questo ogni speranza a chi pensasse dar disturbo. Che in terzo luogo consideri Sua Maestà esser necessaria una dechiarazione che li decreti già fatti in Trento in materia di fede e quelli degl'altri concilii passati non possino esser in alcun modo revocati in dubio, né i protestanti sopra quelli possino dimandar d'esser uditi. Considerasse in fine all'imperatore che il pontefice confidava e teneva per certa la buona volontà di Sua Maestà verso lui esser reciproca, e come egli prontamente condescendeva a favorir le cose di Sua Maestà e del suo Imperio con metter il concilio in luogo tanto a suo proposito, cosí ella desidera che la sincerità e realtà di lui non abbiano a riportargli carico. Ma se alcun tentasse altrimente, o con cavillazioni o con calonnie, Sua Maestà non averà da maravigliarsi se egli userà i rimedii che occorreranno per difensione dell'autorità data da Dio immediatamente a lui et alla Sede apostolica, cosí in concilio, come fuori.

Stimò il pontefice utile per le cose sue che la risoluzione presa fosse intieramente saputa in Italia et in Germania, e fece che Giulio Canano, suo secretario, mostrando di favorir alcuni corteggiani suoi amici, communicasse loro, con obligo di secreto, le instruzzioni sopradette; con qual modo furono sparse per tutto. Di Francia ebbe il papa dal nuovo noncio presta risposta, perché quel re, sapendo le cause che il pontefice aveva di fidarsi poco dell'imperatore per le cose passate e stimando che grande fosse l'inclinazione sua nella parte francese, fece gran dimostrazione d'aggradire il noncio e l'ufficio, offerí al pontefice tutti i suoi favori e promise l'assistenza al concilio e la missione de' prelati del suo regno, con promessa d'ogni favor e protezzione per mantenimento dell'autorità ponteficia.

L'imperatore, udita l'esposizione del sipontino e deliberato maturamente sopra di quella, rispose lodando l'ingenuità e la prudenza del pontefice, che, conoscendo la publica necessità di far il concilio in Trento, avesse trovato modo ispediente di rimetterlo, senza far andar inanzi la causa della traslazione, cosa aromatica, di molta difficoltà e di nissun utilità. Aggionse che le quattro considerazioni erano tutte importanti e raggionevolmente proposte da Sua Santità. Che quanto alle cose di Francia, non solo lodava quanto ella aveva deliberato, ma s'offeriva ancora di coadiuvare e dar ogni possibil sicurtà a quel re; che era molto raggionevole lo scampar le spese superflue e non lasciar il concilio aperto et ozioso; che già l'anno inanzi s'era fatto il decreto in Augusta, che la Germania tutta, eziandio i protestanti, si sottomettessero; che di quello averebbe dato copia al noncio e nella dieta d'allora l'averebbe fatto confermare; che non gli pareva tempo di trattar al presente che le cose già decise in Trento non siano rivocate in dubio, perché ciò s'averebbe fatto piú opportunamente in quella città, quando il concilio fosse stato ridotto. E per quel che tocca l'autorità di Sua Santità e della Sede apostolica, egli, come ne' tempi passati n'era stato protettore, cosí voleva esser nell'avvenire, deliberava di mantenerla con tutte le sue forze e con la propria vita, se fosse stato bisogno. Che non poteva prometter a Sua Santità che in concilio non fosse da qualche inquieto detto o trattato: ma gli dava ben parola, quando ciò avvenisse, d'opporsi talmente che ella dovesse lodarsi dell'opera sua.

 

 




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