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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro terzo
    • [Il papa manda la bolla della convocazione in dieta]
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[Il papa manda la bolla della convocazione in dieta]

Al pontefice pareva che niente fosse concluso delle cose da lui proposte, mentre non era deciso che i decreti fatti fossero ricevuti: non voleva che nel bel principio del concilio si mettesse questo in disputa, perché era chiaro l'essito, cioè che si consummerebbe molto tempo senza niente fare, in fine si dissolverebbe senza conclusione. Era cosa chiara da veder che la disputa generale se si dovevano ricevere, tirava una particolare di ciascuno, e che egli non averebbe potuto interporsi, che sarebbe stato allegato per sospetto, come quello che fu presidente et autore principale. L'insister maggiormente con l'imperatore che questo ponto fosse deciso, era dargli disgusto grande e metterlo in difficoltà insuperabili. Fu consegliato che, senza altro dire, avesse il ponto deciso e nella bolla sua presupponesse che i decreti fatti fossero da tutti accettati, perché, andando la bolla alla dieta con quel tenore, o i tedeschi se ne contentaranno, e cosí egli averà l'intento, o non l'accettaranno, et in quel caso la disputa comminciarà nella dieta et egli sarà uscito di pensiero. Gli parve buono il conseglio, il qual seguendo ordinò la bolla e, per compiacer l'imperatore in parte, la mandò non in minuta, parendogli esser contra la degnità sua, ma formata, datata e bollata, non però publicata; il giorno del dato fu sotto il 15 novembre.

In quella diceva che, per levare le discordie della religione di Germania, essendo ispediente et opportuno, come anco l'imperatore gli aveva significato, rimetter in Trento il concilio generale, già convocato da Paolo III, principiato, ordinato e proseguito da esso, allora cardinale e presidente, et in quello statuiti e publicati molti decreti della fede e de' costumi, perciò egli, al qual s'aspetta congregare et indrizzare i concilii generali, a fine dell'aummento della religione ortodossa e restituir la tranquillità alla Germania, che per i tempi passati non ha ceduto ad altra provincia in ubedir e riverir i pontefici vicarii di Cristo, sperando che anco i re e prencipi lo favoriranno et assisteranno, essorta et ammonisce i patriarchi, arcivescovi, vescovi, abbati et altri, che per legge, consuetudine o privilegio debbano intervenir ne' concilii, che il primo di maggio debbano ritrovarsi in Trento: per il qual giorno ha ordinato per autorità apostolica e con consenso de' cardinali che il concilio sia reassonto nello stato in qual si ritrovava e proseguito; dove egli invierà i suoi legati, per li quali presederà al concilio, se non potrà trovarvisi personalmente, non ostante qualonque traslazione o sospensione o altra cosa che vi fosse in contrario, e specialmente quelle cose che Paolo III nella bolla della convocazione et altre spettanti al concilio ordinò che non ostassero, le quali bolle egli vuole che restino in vigore con tutte le sue clausule e decreti, confermandole e rinovandole quanto faccia di bisogno.

I ministri imperiali et altri catolici zelanti, a chi Cesare la communicò, giudicavano che quel tenore dovesse essacerbar i protestanti e dargli occasione di non accettar quel concilio, nel quale il papa dicchiarava non tanto di volervi presedere, ma anco di volerlo indrizzare; oltra che il dire di riassumerlo e proseguirlo era mettergli in troppo sospezzioni, et il parlar cosí magnificamente dell'autorità sua era un irritargli. Consegliarono l'imperatore di far opera che il pontefice moderasse la bolla e la riducesse in forma che non dasse occasione a' protestanti d'alienarsi maggiormente. Ne trattò l'imperatore col noncio e scrisse al suo ambasciatore che ne parlasse al papa, pregando Sua Santità affettuosamente et efficacemente e per la carità cristiana che indolcisse quelle parole che potevano divertir la Germania da accettar il concilio. Trattò l'ambasciatore in Roma con la destrezza spagnuola: proponeva che, come le fiere prese a laccio conviene tirarle al passo, mostrando di cedergli, né fargli veder il fuogo o le arme per non irritarle e ponerle in desperazione che gli fa accrescer le forze, cosí bisogna co' protestanti, quali con dolci maniera e con instruirgli et ascoltargli conveniva tirargli al concilio, dove quando saranno ridotti sarà tempo di mostrargli la verità. Che il fargli la sentenza contra inanzi che udirgli, era un essacerbargli et irritargli maggiormente. Il papa, con la solita libertà, rispose non voler esser insegnato a combattere col gatto serrato, ma volerlo in libertà che possi fuggire; che a ponto il ridur i protestanti con belle parole al concilio e non corrisponder co' fatti, era far che, entrati in desperazione, pigliassero qualche precipitosa risoluzione; che quello che s'ha da fare, se gli dica pur alla chiara. L'ambasciator secondando diceva che lodava ciò quanto alle cose che era necessario et opportuno dire; non vedersi opportunità di dire che a lui tocca d'indrizzar i concilii: queste cose esser verissime, ma la verità non aver questo privilegio d'esser detta in ogni tempo et in ogni luogo; esser ben tacerne alcuna, quando il dirla sia per far cattivo effetto; si ricordasse che per il duro parlar di Leone X e del cardinal Gaetano, suo legato, è acceso il fuogo che vede ardere, il quale con una dolce parola si poteva estinguere; che li seguenti pontefici, e massime Clemente e Paolo, prencipi savii, molte volte se n'erano doluti; se adesso con destri modi si può acquistar la Germania, perché con le amarezze separarla maggiormente?

Il papa, quasi sdegnato, diceva che s'ha da predicar sempre apertamente et inculcare quello che Cristo ha insegnato, che Sua divina Maestà l'ha fatto suo vicario, capo della Chiesa e principal lucerna del mondo; che questa verità era di quelle che bisognava dire, che sempre bisognava aver in bocca, in ogni tempo et in ogni luogo, e secondo san Paolo opportunamente et importunamente; che il far altrimente sarebbe, contra il precetto di Cristo, porre sotto il staio la lucerna che si debbe alzar nel candeliero. Che non era dignità della Sede apostolica procedere con artificii e dissimulazioni, ma parlar all'aperta. L'ambasciator, cosí in dolcezza di raggionamento, disse anzi parergli che l'ascondere la sferza e mostrarsi benigno e condescendere a tutti era il vero ufficio apostolico, aver sentito legger in san Paolo che, essendo libero, si era fatto servo di tutti per guadagnar tutti: co' giudei, giudeo, co' gentili, gentile, co' deboli, debole, per guadagnare anco quelli, e che quella era la via di piantar l'Evangelio. In fine il pontefice, per non entrar in disputa, si ritirò a dire che la bolla era formata secondo lo stile della cancellaria, quale non si poteva alterare, che egli era alieno dalle novità, che conveniva seguire le vestigia de' predecessori: usando la solita forma, nissuna poteva attribuir a lui quello che fosse riuscito; se ne avesse inventato una nuova, tutto 'l male sarebbe attribuito a lui. L'ambasciator per dargli tempo di meglio pensare, concluse di non volere ricever la risposta per una negativa, ma confidare che Sua Santità averebbe con affetto paterno compatito alla Germania, dissegnando di lasciar passar le feste di Natale, perché allora era mezo decembre, e poi di nuovo dargli un altro assalto.

Ma il papa, risoluto di non mutare un iota, dicendo spesso: voglio prevenire e non esser prevenuto, e di levarsi ogni molestia di raggionamento, fece il di san Giovanni un breve, nel quale narrato sommariamente il contenuto della bolla sua sopradetta e preso pretesto che, per non esser publicata, alcun potrebbe pretendere ignoranza, ordinava che cosí quel breve, come la bolla fossero lette, publicate et affisse nelle basiliche di San Pietro e San Giovanni Laterano, con intenzione di mandarne essemplar stampato agli arcivescovi, acciò da loro fossero intimate a' vescovi et altri prelati. Fu levato il modo di parlarne piú col papa all'ambasciator, il quale immediate spedí corrier espresso a significar il tutto all'imperatore, et egli, vedendo la risoluzione del papa e pensato come rimediare, fece legger la bolla nel publico consesso; la qual veduta produsse a ponto l'effetto che egli aveva preveduto, cioè che sarebbe revocata la parola data da' protestanti di rimettersi, e da' catolici d'andar al concilio. A' catolici dispiacque per il duro modo et intrattabile, a' protestanti per le cose dette. Queste erano: partener a lui non solo congregar, ma indrizzar anco e governar i concilii; che avesse risoluto di continuare e proseguire le cose incomminciate, il che levava il reessaminar le già trattate; che fuor di luogo e senza occasione dicesse la Germania aver riconosciuto i pontefici per vicarii di Cristo; che si avesse dichiarato presidente del concilio e che non chiamasse se non ecclesiastici che gli ubedivano, e confermasse con tanta ampiezza di parole affettatamente la bolla della convocazione di Paolo. Dicevano i protestanti che vanamente si farebbe il concilio con quei fondamenti; che il sottomettersi a quelli era far contra Dio e contra la conscienza. I catolici dicevano che quando non vi era speranza di ridur i protestanti, vanamente si pigliava la fatica e la spesa. Cesare temperò l'ardire d'ambedue le parti con dire che il concilio era generale di tutte le nazioni cristiane, che ubedendo tutte l'altre al pontefice, egli aveva formato la convocazione, come conveniva a quelle; che per quanto s'aspetta alla Germania, rimettessero il tutto alla cura sua, che sapeva come trattare; lasciassero convenire le altre nazioni, che egli sarebbe andato personalmente, se non , almeno in luogo prossimo, et averebbe operato non con parole, ma con fatti, che le cose passassero per i debiti termini; non avessero risguardo a quello che il papa diceva, ma a quella che egli prometteva sopra la parola imperiale e regia.

Con questa maniera l'imperatore quietò gl'animi, et a 13 febraro si fece il recesso, publicando il decreto, il tenor del quale fu: che essendo proposta nella precedente dieta non esservi modo di componer le discordie di Germania per causa della religione, se non per mezo d'un pio e libero concilio generale, tutti gl'ordini dell'Imperio hanno confermato la proposizione e deliberato d'accettarla, approvarla e sottomettersegli; la qual cosa, non avendosi esseguita ancora, nella presente dieta è stata fatta la medesima proposizione e deliberazione. Perilché Cesare aveva operato e finalmente impetrato dal papa che rimettesse il concilio di Trento al primo di maggio dell'anno futuro; il che avendo il pontefice fatto et essendo la convocazione stata letta e proposta nella dieta, è cosa giusta che si resti nella medesima risoluzione d'aspettare con la debita obedienzia il concilio, et intervenire in quello, al quale tutti i prencipi cristiani assisteranno, et esso Cesare, come avvocato della santa Chiesa e defensor de' concilii, operarà tutto quello che si conviene al suo carico d'imperatore, come ha promesso; e per tanto notifica a tutti esser sua volontà che per l'autorità e potestà imperiale sia sicuro ciascuno che anderà al concilio di poter liberamente andare, stare e ritornare e proponer tutto quello che in sua conscienza giudicherà necessario; e per ciò starà ne' confini dell'Imperio et in luogo piú prossimo che si potrà; et ammonisce gl'elettori, prencipi e stati dell'Imperio, massime gl'ecclesiastici e quelli che hanno innovato nella religione, che si preparino per ritrovarsi ben instrutti, acciò non possino aver alcuna scusa, dovendo egli aver cura che tutto possi legitimamente e con ordine et operare che si tratti e definisca ogni cosa pia e cristianamente, conforme alla Sacra Scrittura e dottrina de' padri. E per quello che s'aspetta alla trasgressione de' decreti dell'interreligione e riforma, fatto certo che era impossibile superare le difficoltà, e che quanto piú si operava, tanto le cose piú peggioravano, acciò maggior confusione non nascesse, avvocò a sé ogni cognizione delle contravenzioni passate, incaricando però i prencipi et ordini dell'Imperio all'osservanza in futuro.

Il decreto veduto per il mondo, fu stimato, come era, un contraposto alla bolla del papa, a ponto in tutte le parti. Questo vuol indrizzar i concilii, quello vuol aver cura che tutto si faccia con ordine e giuridicamente; questo vuol presidere, e quello vuol che si decidi secondo la Scrittura e padri; questo vuol continuare, e quello vuol che ogni uno possi propor secondo la conscienza. In somma la corte non poteva digerir questo affronto e si doleva che fosse un'altra convocazione del concilio; ma il papa, con la solita piacevolezza, diceva: «L'imperatore m'ha reso la publicazione della bolla fatta senza di lui».

 

 




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