[Il papa manda la bolla della
convocazione in dieta]
Al pontefice pareva che niente fosse
concluso delle cose da lui proposte, mentre non era deciso che i decreti fatti
fossero ricevuti: non voleva che nel bel principio del concilio si mettesse
questo in disputa, perché era chiaro l'essito, cioè che si consummerebbe molto
tempo senza niente fare, in fine si dissolverebbe senza conclusione. Era cosa
chiara da veder che la disputa generale se si dovevano ricevere, tirava una
particolare di ciascuno, e che egli non averebbe potuto interporsi, che sarebbe
stato allegato per sospetto, come quello che fu presidente et autore
principale. L'insister maggiormente con l'imperatore che questo ponto fosse
deciso, era dargli disgusto grande e metterlo in difficoltà insuperabili. Fu
consegliato che, senza altro dire, avesse il ponto deciso e nella bolla sua
presupponesse che i decreti fatti fossero da tutti accettati, perché, andando
la bolla alla dieta con quel tenore, o i tedeschi se ne contentaranno, e cosí
egli averà l'intento, o non l'accettaranno, et in quel caso la disputa
comminciarà nella dieta et egli sarà uscito di pensiero. Gli parve buono il conseglio,
il qual seguendo ordinò la bolla e, per compiacer l'imperatore in parte, la
mandò non in minuta, parendogli esser contra la degnità sua, ma formata, datata
e bollata, non però publicata; il giorno del dato fu sotto il 15 novembre.
In quella diceva che, per levare le
discordie della religione di Germania, essendo ispediente et opportuno, come
anco l'imperatore gli aveva significato, rimetter in Trento il concilio
generale, già convocato da Paolo III, principiato, ordinato e proseguito da
esso, allora cardinale e presidente, et in quello statuiti e publicati molti
decreti della fede e de' costumi, perciò egli, al qual s'aspetta congregare et
indrizzare i concilii generali, a fine dell'aummento della religione ortodossa
e restituir la tranquillità alla Germania, che per i tempi passati non ha
ceduto ad altra provincia in ubedir e riverir i pontefici vicarii di Cristo,
sperando che anco i re e prencipi lo favoriranno et assisteranno, essorta et
ammonisce i patriarchi, arcivescovi, vescovi, abbati et altri, che per legge,
consuetudine o privilegio debbano intervenir ne' concilii, che il primo di
maggio debbano ritrovarsi in Trento: per il qual giorno ha ordinato per
autorità apostolica e con consenso de' cardinali che il concilio sia reassonto
nello stato in qual si ritrovava e proseguito; dove egli invierà i suoi legati,
per li quali presederà al concilio, se non potrà trovarvisi personalmente, non
ostante qualonque traslazione o sospensione o altra cosa che vi fosse in
contrario, e specialmente quelle cose che Paolo III nella bolla della
convocazione et altre spettanti al concilio ordinò che non ostassero, le quali
bolle egli vuole che restino in vigore con tutte le sue clausule e decreti,
confermandole e rinovandole quanto faccia di bisogno.
I ministri imperiali et altri catolici
zelanti, a chi Cesare la communicò, giudicavano che quel tenore dovesse
essacerbar i protestanti e dargli occasione di non accettar quel concilio, nel
quale il papa dicchiarava non tanto di volervi presedere, ma anco di volerlo
indrizzare; oltra che il dire di riassumerlo e proseguirlo era mettergli in
troppo sospezzioni, et il parlar cosí magnificamente dell'autorità sua era un
irritargli. Consegliarono l'imperatore di far opera che il pontefice moderasse
la bolla e la riducesse in forma che non dasse occasione a' protestanti
d'alienarsi maggiormente. Ne trattò l'imperatore col noncio e scrisse al suo
ambasciatore che ne parlasse al papa, pregando Sua Santità affettuosamente et
efficacemente e per la carità cristiana che indolcisse quelle parole che
potevano divertir la Germania da accettar il concilio. Trattò l'ambasciatore in
Roma con la destrezza spagnuola: proponeva che, sí come le fiere prese a laccio
conviene tirarle al passo, mostrando di cedergli, né fargli veder il fuogo o le
arme per non irritarle e ponerle in desperazione che gli fa accrescer le forze,
cosí bisogna co' protestanti, quali con dolci maniera e con instruirgli et
ascoltargli conveniva tirargli al concilio, dove quando saranno ridotti sarà
tempo di mostrargli la verità. Che il fargli la sentenza contra inanzi che
udirgli, era un essacerbargli et irritargli maggiormente. Il papa, con la
solita libertà, rispose non voler esser insegnato a combattere col gatto
serrato, ma volerlo in libertà che possi fuggire; che a ponto il ridur i
protestanti con belle parole al concilio e là non corrisponder co' fatti, era
far che, entrati in desperazione, pigliassero qualche precipitosa risoluzione;
che quello che s'ha da fare, se gli dica pur alla chiara. L'ambasciator
secondando diceva che lodava ciò quanto alle cose che era necessario et
opportuno dire; non vedersi opportunità di dire che a lui tocca d'indrizzar i
concilii: queste cose esser verissime, ma la verità non aver questo privilegio
d'esser detta in ogni tempo et in ogni luogo; esser ben tacerne alcuna, quando
il dirla sia per far cattivo effetto; si ricordasse che per il duro parlar di
Leone X e del cardinal Gaetano, suo legato, è acceso il fuogo che vede ardere,
il quale con una dolce parola si poteva estinguere; che li seguenti pontefici,
e massime Clemente e Paolo, prencipi savii, molte volte se n'erano doluti; se
adesso con destri modi si può acquistar la Germania, perché con le amarezze
separarla maggiormente?
Il papa, quasi sdegnato, diceva che s'ha
da predicar sempre apertamente et inculcare quello che Cristo ha insegnato, che
Sua divina Maestà l'ha fatto suo vicario, capo della Chiesa e principal lucerna
del mondo; che questa verità era di quelle che bisognava dire, che sempre
bisognava aver in bocca, in ogni tempo et in ogni luogo, e secondo san Paolo
opportunamente et importunamente; che il far altrimente sarebbe, contra il
precetto di Cristo, porre sotto il staio la lucerna che si debbe alzar nel
candeliero. Che non era dignità della Sede apostolica procedere con artificii e
dissimulazioni, ma parlar all'aperta. L'ambasciator, cosí in dolcezza di
raggionamento, disse anzi parergli che l'ascondere la sferza e mostrarsi
benigno e condescendere a tutti era il vero ufficio apostolico, aver sentito
legger in san Paolo che, essendo libero, si era fatto servo di tutti per
guadagnar tutti: co' giudei, giudeo, co' gentili, gentile, co' deboli, debole,
per guadagnare anco quelli, e che quella era la via di piantar l'Evangelio. In
fine il pontefice, per non entrar in disputa, si ritirò a dire che la bolla era
formata secondo lo stile della cancellaria, quale non si poteva alterare, che
egli era alieno dalle novità, che conveniva seguire le vestigia de'
predecessori: usando la solita forma, nissuna poteva attribuir a lui quello che
fosse riuscito; se ne avesse inventato una nuova, tutto 'l male sarebbe
attribuito a lui. L'ambasciator per dargli tempo di meglio pensare, concluse di
non volere ricever la risposta per una negativa, ma confidare che Sua Santità
averebbe con affetto paterno compatito alla Germania, dissegnando di lasciar
passar le feste di Natale, perché allora era mezo decembre, e poi di nuovo
dargli un altro assalto.
Ma il papa, risoluto di non mutare un
iota, dicendo spesso: voglio prevenire e non esser prevenuto, e di levarsi ogni
molestia di raggionamento, fece il dí di san Giovanni un breve, nel quale
narrato sommariamente il contenuto della bolla sua sopradetta e preso pretesto
che, per non esser publicata, alcun potrebbe pretendere ignoranza, ordinava che
cosí quel breve, come la bolla fossero lette, publicate et affisse nelle
basiliche di San Pietro e San Giovanni Laterano, con intenzione di mandarne
essemplar stampato agli arcivescovi, acciò da loro fossero intimate a' vescovi
et altri prelati. Fu levato il modo di parlarne piú col papa all'ambasciator,
il quale immediate spedí corrier espresso a significar il tutto all'imperatore,
et egli, vedendo la risoluzione del papa e pensato come rimediare, fece legger
la bolla nel publico consesso; la qual veduta produsse a ponto l'effetto che
egli aveva preveduto, cioè che sarebbe revocata la parola data da' protestanti
di rimettersi, e da' catolici d'andar al concilio. A' catolici dispiacque per
il duro modo et intrattabile, a' protestanti per le cose dette. Queste erano:
partener a lui non solo congregar, ma indrizzar anco e governar i concilii; che
avesse risoluto di continuare e proseguire le cose incomminciate, il che levava
il reessaminar le già trattate; che fuor di luogo e senza occasione dicesse la
Germania aver riconosciuto i pontefici per vicarii di Cristo; che si avesse
dichiarato presidente del concilio e che non chiamasse se non ecclesiastici che
gli ubedivano, e confermasse con tanta ampiezza di parole affettatamente la
bolla della convocazione di Paolo. Dicevano i protestanti che vanamente si
farebbe il concilio con quei fondamenti; che il sottomettersi a quelli era far
contra Dio e contra la conscienza. I catolici dicevano che quando non vi era
speranza di ridur i protestanti, vanamente si pigliava la fatica e la spesa.
Cesare temperò l'ardire d'ambedue le parti con dire che il concilio era
generale di tutte le nazioni cristiane, che ubedendo tutte l'altre al
pontefice, egli aveva formato la convocazione, come conveniva a quelle; che per
quanto s'aspetta alla Germania, rimettessero il tutto alla cura sua, che sapeva
come trattare; lasciassero convenire le altre nazioni, che egli sarebbe andato
personalmente, se non là, almeno in luogo prossimo, et averebbe operato non con
parole, ma con fatti, che le cose passassero per i debiti termini; non avessero
risguardo a quello che il papa diceva, ma a quella che egli prometteva sopra la
parola imperiale e regia.
Con questa maniera l'imperatore quietò
gl'animi, et a 13 febraro si fece il recesso, publicando il decreto, il tenor
del quale fu: che essendo proposta nella precedente dieta non esservi modo di
componer le discordie di Germania per causa della religione, se non per mezo
d'un pio e libero concilio generale, tutti gl'ordini dell'Imperio hanno
confermato la proposizione e deliberato d'accettarla, approvarla e
sottomettersegli; la qual cosa, non avendosi esseguita ancora, nella presente
dieta è stata fatta la medesima proposizione e deliberazione. Perilché Cesare
aveva operato e finalmente impetrato dal papa che rimettesse il concilio di
Trento al primo di maggio dell'anno futuro; il che avendo il pontefice fatto et
essendo la convocazione stata letta e proposta nella dieta, è cosa giusta che
si resti nella medesima risoluzione d'aspettare con la debita obedienzia il
concilio, et intervenire in quello, al quale tutti i prencipi cristiani
assisteranno, et esso Cesare, come avvocato della santa Chiesa e defensor de'
concilii, operarà tutto quello che si conviene al suo carico d'imperatore, sí
come ha promesso; e per tanto notifica a tutti esser sua volontà che per
l'autorità e potestà imperiale sia sicuro ciascuno che anderà al concilio di
poter liberamente andare, stare e ritornare e proponer tutto quello che in sua
conscienza giudicherà necessario; e per ciò starà ne' confini dell'Imperio et
in luogo piú prossimo che si potrà; et ammonisce gl'elettori, prencipi e stati
dell'Imperio, massime gl'ecclesiastici e quelli che hanno innovato nella
religione, che si preparino per ritrovarsi là ben instrutti, acciò non possino aver
alcuna scusa, dovendo egli aver cura che tutto possi legitimamente e con ordine
et operare che si tratti e definisca ogni cosa pia e cristianamente, conforme
alla Sacra Scrittura e dottrina de' padri. E per quello che s'aspetta alla
trasgressione de' decreti dell'interreligione e riforma, fatto certo che era
impossibile superare le difficoltà, e che quanto piú si operava, tanto le cose
piú peggioravano, acciò maggior confusione non nascesse, avvocò a sé ogni
cognizione delle contravenzioni passate, incaricando però i prencipi et ordini
dell'Imperio all'osservanza in futuro.
Il decreto veduto per il mondo, fu
stimato, come era, un contraposto alla bolla del papa, a ponto in tutte le
parti. Questo vuol indrizzar i concilii, quello vuol aver cura che tutto si
faccia con ordine e giuridicamente; questo vuol presidere, e quello vuol che si
decidi secondo la Scrittura e padri; questo vuol continuare, e quello vuol che
ogni uno possi propor secondo la conscienza. In somma la corte non poteva
digerir questo affronto e si doleva che fosse un'altra convocazione del
concilio; ma il papa, con la solita piacevolezza, diceva: «L'imperatore m'ha
reso la publicazione della bolla fatta senza di lui».
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