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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro quarto
    • [Il re fa vista di voler tenere un concilio nazionale, onde il papa si rammodera]
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[Il re fa vista di voler tenere un concilio nazionale, onde il papa si rammodera]

Il re, veduto che non era possibile persuader il papa, scrisse una lettera publica e commune a tutti i vescovi del suo regno, cosí a quelli che erano in Francia, come altrove, che dovessero andar alle loro chiese fra sei mesi, e mettersi in ordine per un concilio nazionale, e la lettera fu anco presentata a quelli che si ritrovavano in Roma; né il papa ebbe ardire d'impedirgli, dubitando di far danno a loro et interressar maggiormente la propria riputazione. Ma prese ispediente di mandar Ascanio della Corna, suo nipote, in Francia, con instruzzione di far ogni opera per dissuader il re dalla protezzione di Parma e farlo capace che, essendo Ottavio Farnese suo feudatario, non poteva in alcun modo comportare d'esser sprezzato da lui, che sarebbe stata un'infamia eterna et un essempio a tutti di non riconoscerlo per papa. Esser grandissima l'inclinazione sua alla Francia et alla Sua Maestà, e l'animo suo alienissimo dagl'emuli di quello, e questo esser notissimo a tutto 'l mondo. Nondimeno esser cosí potente il rispetto sopra detto che, quando Sua Maestà non vi porga rimedio, sarà sufficiente di farlo gettar in braccio di chi non vorrebbe. Portava anco l'instruzzione che, se il re non si lasciasse indur a questo, lo pregasse a ben considerare quanti inconvenienti si tirarebbe appresso un concilio nazionale e che sarebbe principio di metter i suoi soggetti in una licenzia della quale si pentirebbe, et al presente causerebbe questo mal effetto, che impedirebbe il concilio generale, il che sarebbe la maggior offesa che si potesse far a Dio e maggior danno alla fede et alla Chiesa. Lo pregasse di mandar ambasciatore a Trento, certificandolo che da' presidenti e da tutti i prelati amorevoli di Sua Santità riceverebbe ogni onore e rispetto. Al che non condescendendo e perseverando in voler che l'editto resti, gli proponesse, per levar ogni scandalo, temperamento di far una decchiarazione che, con quell'editto, non è stato sua intenzione d'impedire il concilio generale.

Il re, udita l'ambasciata, esso ancora mostrò come l'onor suo lo costringeva a perseverare nella protezzione del duca et a mantener l'editto, ma con tal forma di parole che mostravano sentir dispiacere de' disgusti e desiderio di rimediarvi. E per corrisponder al papa, mandò a lui monsignor di Monluc, eletto di Bordeos, non senza qualche speranza di poter indolcire l'animo del pontefice. Ma per ogni officio che si fece quanto alle cose di Parma, restò nella medesima durezza e rimandò l'istesso Monluc con commissione di dolersi col re che avesse mandato sino in Roma l'editto d'un concilio nazionale e lettere a' prelati sudditi suoi ancora in temporale, intendendo del vescovo d'Avignone, la qual cosa tutto 'l mondo interpretava che non si facesse se non per impedir il concilio generale. E concluse pregando il re che, poiché l'uno e l'altro è risoluto, egli in perseverar nella correzzione d'Ottavio e la Maestà Sua nella protezzione, almeno le differenze non uscissero di Parma, come dal canto di Sua Maestà si è uscito con levar i cardinali e prelati da Roma; i quali egli non ha voluto impedire dal partire, sperando che Sua Maestà, essalato il primo sdegno, sarebbe illuminata da Dio a mutar modo. I scambievoli ufficii et il rispetto del concilio non potero appresso alcun di questi prencipi operare che rimettessero niente del rigore. Il consenso universale era favorevole al re, perché, avendo l'imperatore occupato Piacenza, il lasciargli anco Parma era farlo arbitro d'Italia, e pareva indegna cosa che la posterità di Paolo, che per la libertà d'Italia tanto aveva travagliato, fosse da tutti abandonata: e se il papa non si doleva che Piacenza fosse occupata e non faceva alcun'instanza per la restituzione, perché dolersi che il duca s'assicurasse di Parma? E questa raggione poteva tanto in alcuni, che tenevano per fermo esser ben intesa da Giulio, ma per far nascere qualche impedimento al concilio, che da lui non procedesse e potesse ad altri esser ascritto, desiderasse la guerra tra 'l re e l'imperatore. È ben cosa certa che piú frequenti e piú efficaci erano le instanze con Cesare acciò movesse le arme a Parma o alla Mirandola, che gl'ufficii col re acciò s'accommodasse il negozio. Il re, tentati tutti gl'ufficii per quietar l'animo del papa, passò all'estremo, che fu, per mezo di Termes, suo ambasciatore, protestare, e particolarmente contra il concilio che si adunava, sperando che quel rispetto dovesse rimover il papa: della qual protesta, perché dopo fu reiterata in Trento, con quell'occasione si dirà il contenuto.

 

 




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