[Le indulgenze contese da Lutero]
Dalle quali cose eccitato Martino Lutero, frate
dell'ordine degli eremitani, li portò a parlar contra essi questori; prima
riprendendo solamente i nuovi eccessivi abusi, poi, provocato da loro,
incominciò a studiare questa materia, volendo vedere i fondamenti e le radici
dell'indulgenza; li quali essaminati, passando dagli abusi nuovi alli vecchi e
dalla fabrica alli fondamenti, diede fuora 95 conclusioni in questa materia, le
quali furono proposte da esser disputate in Vitemberga; né comparendo alcuno
contra di lui, se ben viste e lette, non furono da alcuno oppugnate in
conferenza vocale, ma ben frate Giovanni Thecel, dell'ordine di san Domenico,
ne propose altre contrarie a quelle in Francfort di Brandeburg.
Queste due mani di conclusioni furono come
una contestazione di lite, perché passò inanzi Martino Lutero a scrivere in
difesa delle sue, e Giovanni Ecchio ad oppugnarle, et essendo andate cosí le
conclusioni, come le altre scritture, a Roma, scrisse contra Lutero frate
Silvestro Prierio dominicano. La qual contesa di scritture sforzò una parte e
l'altra ad uscir della materia e passar in altre di maggiore importanza.
Perché, essendo l'indulgenze cosa non ben
essaminata ne' precedenti secoli, né ancora ben considerata come si difendesse
e sostentasse, o come si oppugnasse, non erano ben note la loro essenza e
cause. Alcuni riputavano le indulgenze non esser altro ch'una assoluzione e
liberazione, fatta per autorità del prelato, dalle penitenze che negli
antichissimi tempi, per ragion di disciplina, la Chiesa imponeva a' penitenti,
(questa imposizione fu ne' seguenti secoli dal solo vescovo assonta, poi
delegata al prete penitenziario, e finalmente rimessa all'arbitrio del
confessore), ma non liberassero di pagar il debito alla divina giustizia. Il
che parendo ad altri che cedesse piú a maleficio, che a beneficio del popolo
cristiano, il quale, coll'esser liberato dalle pene canoniche, si rendeva
negligente a sodisfar con pene volontarie alla divina giustizia, entrarono in
opinione che fossero liberazione dall'una e dall'altra. Ma questi erano divisi,
volendo alcuni che fossero liberazione senza che altro fosse dato in ricompensa
di quelle, altri, aborrendo un tal arbitrio, dicevano che, stante la communione
in carità delli membri di Santa Chiesa, le penitenze di uno si potevano
communicar all'altro e con questa compensazione liberarlo. Ma perché pareva che
questo convenisse piú agli uomini di santa et austera vita, che all'autorità de
prelati, nacque la terza opinione che le fece in parte assoluzione, per il che
se li ricerchi l'autorità, et in parte compensazione. Ma non vivendo li prelati
in maniera che potessero dar molto de loro meriti ad altri, si fece un tesoro
nella Chiesa pieno de' meriti di tutti quelli che ne hanno abondanza per loro
proprii. La dispensazione del quale è commessa al pontefice romano, il quale,
dando l'indulgenze, ricompensa il debito del peccatore con assegnare altretanto
valor del tesoro. Né qui era il fine delle difficoltà, perché opponendosi che
essendo i meriti de' santi finiti e limitati, questo tesoro potrebbe venir a meno,
volendolo fare indeficiente, vi aggionsero i meriti di Cristo che sono
infiniti: d'onde nacque la difficoltà a che fosse bisogno di gocciole de'
meriti d'altri, quando si aveva un pelago infinito di quelli di Cristo. Che fu
cagione ad alcuni di fare essere il tesoro delli meriti della Maestà sua
solamente.
Queste cose cosí incerte allora e che non
avevano altro fondamento che la bolla di Clemente VI fatta per il giubileo del
1350, non parevano bastanti per oppugnar la dottrina di Martino Lutero, risolvere
le sue ragioni e convincerlo; perilché Thecel, Ecchio e Prierio, non vedendosi
ben forti nelli luoghi proprii di questa materia, si voltarono alli communi e
posero per fondamento l'autorità pontificia et il consenso delli dottori
scolastici, concludendo che, non potendo il pontefice fallare nelle cose della
fede et avendo egli approvata la dottrina de' scolastici e publicando esso le
indulgenze a tutti i fedeli, bisognava crederle per articolo di fede. Questo
diede occasione a Martino di passar dalle indulgenze all'autorità del
pontefice, la qual essendo dagli altri predicata per suprema nella Chiesa, da
lui era sottoposta al concilio generale legitimamente celebrato, del quale
diceva esservi bisogno in quella instante et urgente necessità; e continuando
il calore della disputa, quanto piú la potestà papale era dagli altri inalzata,
tanto piú da lui era abbassata (contenendosi però Martino nei termini di parlar
modestamente della persona di Leone e riservando alle volte il suo giudicio). E
per l'istessa ragione fu anco messa a campo la materia della remissione de
peccati e della penitenza e del purgatorio, valendosi di tutti questi luoghi i
romani per prova delle indulgenze.
Piú appositamente di tutti scrisse contra
Martin Lutero, frate Giacomo Ogostrato, dominicano inquisitore, il qual
tralasciate queste ragioni, essortò il pontefice a convincer Martino con ferro,
fuogo e fiamme.
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